Capitolo Nove

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Sono a casa malata, e lascio andare la barca dell'ispirazione.

Dedicato a @ila933, perché è sempre la prima a votare, e a @Boo_Is_Mine, perché è una gioia.
Per qualunque dubbio o curiosità, scrivetemi :)
Un abbraccio,
Marta

Ps: nella foto sembra più un pirata, ma non ho trovato di meglio...anche se, mica male poi non è 😎

   Il nuovo vento del nord, che sferzava in raffiche violente ed ululanti, aveva allontanato i cumuli neri densi di pioggia, ma aveva portato con sé l'ultima coda d'inverno.
Edward camminava veloce, solo l'eco dei suoi passi sul suolo umido di brina mentre attraversava la piazza deserta del villaggio.           
   Ogni luce si era persa nell'oscurità della notte, ed erano soltanto i ricordi a guidarlo verso la destinazione. Indossava di nuovo un lungo mantello nero, la testa coperta da un grande cappuccio che gli ricadeva sugli occhi. Procedeva a grandi falcate, l'andatura più incurvata del solito, fino a quando non raggiunse l'edificio di pietra e fango che popolava le sue notti, con i suoi aromi di erbe e di vino scadente.
Bussò, guardandosi attorno nel buio, prima che la solita ragazza dai capelli fulvi, poco più che bambina, aprisse la porta e s'inchinasse di fronte a lui. Gli indicò con un dito la rampa di scale che Edward aveva percorso infinite volte dal suo arrivo ad Arran, ma il cavaliere scossa la testa ancora coperta dal cappuccio.
"Devo parlare con Donna Magdalene," disse, le mani nascoste sotto la cappa. La ragazzina parve sorpresa, ma poco dopo sparì dietro un'altra porta, lasciando il Lord da solo con i propri pesanti pensieri. Lanciò un'occhiata alla cima dei gradini, all'uscio che nascondeva il corpo sensuale di Hamza, probabilmente rannicchiato in un angolo a tracciare strani disegni sulla parete. Lo stomaco di Edward si chiuse in un nodo, il senso di colpa che gli risaliva come fuoco fino alla gola.
La ragazzina comparve nuovamente in quel momento, ed Edward non poté che ringraziarla per aver messo fine, sebbene ignara, ai suoi rimpianti. La seguì per uno stretto corridoio malamente illuminato, dal quale il cavaliere riusciva a percepire le voci e le risate degli avventori al di là della parete, e poi giù, per un'altra corta rampa di scale che portavano al seminterrato.
Quando la porta si aprì, l'odore del vino e dei corpi era svanito, sostituito da un'aria umida e stantia. Alle pareti brillavano due torce malconce, la cui fiamma danzava morente dipingendo ombre allungate sul pavimento di pietra e paglia.
La ragazzina tutta lentiggini gli fece segno di proseguire oltre l'ennesima porticina di legno, e con un altro inchino esagerato, si dileguò alle sue spalle. Edward si schiarì la voce, stringendo il foglio di pergamena che portava celato sotto il mantello, prima di spingere i battenti dell'uscio ed entrare in un'altra saletta. Misera e tetra, anche quella stanza aleggiava di muffa, e l'unica fonte di luce proveniva da una candela che si scioglieva lenta su uno scrittoio. Lì seduta, le spalle dritte ed appuntite sotto una veste cremisi, Donna Magdalene attendeva con le dita intrecciate sul ripiano di legno ed un mezzo sorriso sul volto.
Era bella e glaciale come Edward la ricordava dal loro primo ed unico incontro un paio di mesi prima. Aveva i capelli corvini, legati dietro la testa in una lunga treccia, e coperti da un velo sottile che le ricadeva molle sul collo. Nella semi oscurità, i suoi parevano neri, ma il cavaliere conosceva le loro sfumature dorate ed ipnotiche. Il naso adunco induriva i suoi lineamenti, ma le sue labbra morbide e carnose, rosse come ciliegie in estate, contrastavano con l'asprezza del suo viso candido, sempre sapientemente protetto dai raggi del sole.
Edward fece un passo avanti, raddrizzando la schiena, malgrado lo sguardo di lei sembrasse inchiodarlo al terreno.
"Lord di Arran," lo salutò la donna, gli angoli della bocca arricciati verso l'alto, "cosa posso fare per voi?"
Il suo tono era piatto, ma sapeva insinuarsi sotto la pelle. Edward rabbrividì.
"Donna Magdalene," rispose, prendendo posto di fronte a lei senza invito. Estrasse il foglio spiegazzato e glielo porse, la fronte aggrottata. La osservò spianare la carta porosa con quelle dita affusolate e tempestate di anelli di ogni forma e colore, forse più preziosi di qualunque gioiello lui possedesse.
"Ah," disse Magdalene, inarcando le sopracciglia. Ripiegò la pergamena e la poggiò sul tavolo, aspettando che il Lord la riprendesse.
"Ebbene?" Chiese impaziente il cavaliere, spostandosi sul bordo dello scomodo sgabello sul quale si era seduto. La donna continuò ad osservarlo impassibile, ancora con quel suo ghigno gelido e maledetto.
"Mi hanno detto di venire da te. Mi hanno detto che tu avresti saputo darmi le risposte che cerco," proseguì Edward, impaziente, nervoso.
Magdalene si alzò lentamente, stiracchiando le lunghe membra verso l'alto come un gatto sornione.
"Dove avete trovato questo simbolo?" Domandò, la voce pastosa, flemmatica. Al cavaliere parve che ogni nervo gli schizzasse oltre la superficie della pelle.
"Ditemi solo che cosa significa," insistette, sostenendo il suo sguardo penetrante ed imperscrutabile. Ciò che non disse fu, e lasciatemi andare, malgrado fossero invisibili le catene che lo tenevano prigioniero. Si abbassò il cappuccio con fare solenne, mostrandosi fiero, il mento verso l'alto.
"Sembra una ERRE," disse lei, alzando le spalle. Tornò a sedersi, senza mai lasciare lo sguardo del cavaliere.
"Sembra?" Le fece eco, stizzito, la voce più grossa.
"Avete sentito parlare dei Rinnegati, mio Lord?" Parlava per enigmi. Il senso di repulsione di Edward crebbe insieme al fascino che quella donna emanava come un'aura e sembrava ancorarlo al suolo.
"O forse siete ancora troppo giovane-"
"Ne ho sentito parlare," la interruppe. Quella conversazione era durata fin troppo. Quella parole già troppo grevi. Come aveva temuto, confermavano i suoi sospetti.
Si alzò di scatto e si sistemò il mantello sulle spalle, il cappuccio sulla testa.
"Grazie del tuo tempo, Donna Magdalene," borbottò sbrigativo.
Un rumore alle loro spalle li costrinse entrambi a voltarsi. Dalla soglia, Hamza li osservava con mesto contegno, il corpo come accartocciato contro lo stipite.
"Ti avevo detto di non lasciare il tuo giaciglio, schiavo," lo appellò la donna. Nella sua voce non c'era rimprovero, ma solo sdegno. La nuca di Edward prese a formicolare.
"Vi lascio soli," disse poi, avanzando leggiadra per la stanza, i piedi che sembravano galleggiare sul pavimento come quelli di uno spirito. "Buona notte, Lord Edward, figlio di Edward di Dunskye," si dileguò con quelle parole che sapevano di beffa, ed il cavaliere rimase solo, impietrito di fronte al ragazzo che lo guardava con occhi vacui.
"È trascorsa un'altra settimana," mormorò Hamza, fermo immobile lì dov'era apparso.
"Devo andare," bisbigliò il cavaliere, i denti affondati nella labbra. Provò a superarlo, ma il ragazzo chiuse la porta, appiattendoci contro la schiena.
"Restate. Solo un momento," disse in un sussurro. "Vi prego."
Edward aveva già perso, ben prima di quella supplica. Cadde a terra, inginocchiandosi di fronte a lui, mentre Hamza lasciava che le proprie mani scorressero sui suoi lunghi capelli. Edward sollevò parte della sua camicia logora, respirando sul suo addome, baciando la morbidissima curva del suo basso ventre.
"Un'altra settimana," ripeté il ragazzo con gli occhi di velluto, la testa cascante, rivolta all'indietro, "c'è qualcun altro?"
Edward trasalì. "Come?"
Hamza sorrise un sorriso vuoto come il suo sguardo. "C'è qualcun altro al mio posto?"
Il cavaliere ispezionò il suo viso ambrato alla ricerca di una qualche traccia di scherno, ma non ne trovò. Non c'era mai niente.
"Non c'è nessun altro."

The Chronicles of Arran and Skye Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora