Capitolo 2: Reznor (1)

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CAPITOLO II: REZNOR

Gli speroni tintinnavano facendosi largo senza pietà nella bruma di porto.

Lontane, o almeno così sembravano, le luci fioche degli attracchi di Anchorage, lucciole perse in una notte durata sempre un istante di troppo.

Reznor attese che il suo contatto lo salutasse, in silenzio, appoggiato alla banchina metallica e arrugginita: al suo cenno, toccò la tesa del cappello senza scomporsi.

"Vi aspettavamo un mese fa, ormai pensavamo foste morti. Come vanno i denti?"

"Non sono i denti. Le gengive."

"E' uguale."

"Non è uguale."

"Che vi è capitato?"

"Ci sono stati alcuni contrattempi."

"Hai risolto?"

"Sì. Ho risolto."

"I tuoi uomini?"

"Andati."

"Sei rimasto solo?"

"Sono sempre solo."

"Non dev'essere stato facile."

"Non lo è mai."

"Quando riparti?"

"All'alba."

"Torni a Washington?"

"Non sono affari tuoi."

"Stavano raccogliendo scommesse."

"Su di me?"

"Su chi ti aveva ammazzato."

"Spero tu non abbia puntato, Christopher."

"No. Non potrei mai puntare contro di te."

"E fai bene."

"Aspetta, Reznor."

"Che vuoi?"

"E' arrivato un agente, in città, un paio di settimane fa."

"E allora?"

"Ti sta cercando."

"E' ancora qui?"

"Alla locanda di Montague."

"Cosa vuole?"

"Non lo so, non l'ha detto a nessuno. A quanto pare, è così ossessionato da te da non preoccuparsi di dare nell'occhio."

"Come si chiama?"

"Griffin, o qualcosa del genere."

"Grissom."

"Grissom, sì."

"Figlio di puttana."

"Lo conosci?"

"Non per molto, ancora."

"Se vuoi ti ci porto."

"Ci vado da solo, Christopher."

"Come vuoi, Reznor. Volevo darti una mano."

"Non ne ho bisogno, come vedi."

"Posso chiederti una cosa?"

"Dipende."

"Non hai mai freddo? Giri come se fossi a Washington."

"Il freddo è una questione mentale, Christopher. Come il dolore."

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