Bugie

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È affascinante come la mente umana riesca ad associare quanto gli occhi vedano a determinate sensazioni.
I colori, per esempio. Light aveva sempre avuto una predisposizione per l'indossare i caldi toni del marrone, spesso abbinati a tracce di nero. Non c'era un vero e proprio motivo dietro quella scelta; forse gli ricordavano casa, dov'era cresciuto, tra quelle ben note quattro mura così sicure dove a stento trapelavano notizie su quanto accadesse nel mondo, almeno fino a quando Light non fu abbastanza grande per capirlo. L'unico tramite tra il ragazzino e il mondo esterno era il padre, figura così rispettata e onorevole.
Gli piaceva sedersi sul divano e porgli innumerevoli domande sul lavoro alla centrale, gli occhi brillanti di ammirazione mentre la mente volava verso gli scenari più disparati, dove Light era un grande poliziotto, come il suo papà. Anche Soichiro indossava spesso il marrone.
Che volesse soltanto continuare ad imitarlo? No, non avrebbe più avuto senso. La speranza riposta nel padre e nella polizia, come organo e come tipologia di persona che vi faceva parte, era sbiadita anni prima, con l'avvento della naturale consapevolezza che sopraggiunge con la crescita del fatto che la giustizia terrena che il sistema sostiene di mantenere altro non sia che un concetto effimero e senza fondamenta, che vedrà sempre disaccordi e mai la realizzazione.
Soichiro Yagami era soltanto l'ennesima pedina del sistema ridotta ad un automa cui unico scopo era quello di rassicurare le masse solamente con la propria presenza. Bastava si sentissero al sicuro.
Il completo marrone scuro di sartoria, la camicia bianca inamidata e la cravatta nera avevano, effettivamente, sempre infuso un senso di sicurezza in Light, ma da qualche tempo aveva iniziato a sentirsi a disagio nel vederli su di sè.
Erano i colori che vedeva sui corpi di chi lo avrebbe dovuto proteggere, e che aveva soltanto contribuito ad accrescere il suo scetticismo nei confronti del mondo. Ma continuava ad indossarli, forse perchè, in fondo, quel sogno di giustizia non si era mai affievolito.
Oppure, semplicemente, Light si era accorto del fatto che il marrone mettesse in risalto i suoi occhi, di una sfumatura simile, ma resa più brillante da piccole pagliuzze dorate sparse a raggi intorno alla pupilla. Sì, non c'erano dubbi. A Light il marrone era sempre stato bene.
Alla Task Force, però, tutto era freddo e inospitale.
Le pareti della sala principale erano di un azzurro polveroso, che trasudava decadenza, così come il resto dell'arredamento dell'ufficio.
Il grigio dei computer e delle telecamere appese alle pareti, il marrone opaco delle poltroncine sparse rade per la sala, attorno a piccoli tavoli bianchi sporchi di cenere e caffè, e la luce giallastra che illuminava a stento tutti gli angoli della stanza contribuivano alla costruzione di un ambiente surrealmente familiare.
Tutto in quell'edificio gli ricordava L.
Ogni dettaglio rispecchiava pienamente la sua persona, o almeno per quanto ne avesse lasciato trasparire.
Dall'intonaco immacolato ai rivestimenti delle sedie, la cura che L aveva messo nella scelta di ogni particolare saltava inevitabilmente all'occhio.
E Light odiava quel posto. Era impossibile distrarsi, distogliere il pensiero dall'investigatore.
Sicuramente anche questo faceva parte del piano di L.
Efficace, davvero. Questo fu ciò che Light ammise riluttante a sè stesso, una volta resosi conto di come ormai il detective avesse monopolizzato la sua mente.
Il resto della Task Force era già posizionato attorno ad un tavolino nella spoglia stanza, chi seduto e chi in piedi, Matsuda che balbettava scuse tremando di fronte ad un accigliato Aizawa, che sfoggiava una macchia di caffè sulla manica della giacca color crema.
Soichiro si alzò in cenno di riverenza verso L, chinando leggermente il capo con fare cordiale.
<Buongiorno, Ryuzaki.> spostò lo sguardo, abbozzando un sorriso. <Light, stai meglio?>
Ipocriti. Nessuno in quella stanza era salvo dal giudizio.
Sicuramente L sapeva di come Soichiro parlava di lui agli altri poliziotti. Aveva messo più volte in discussione i suoi metodi, non si era mai fidato completamente di lui.
E ora faceva la parte del perfetto sottoposto, educato e rispettoso nei confronti di un uomo che avrebbe sminuito dopo un unico bicchiere di vino.
Non che Light si ritenesse esente dalla categoria degli ipocriti. Chi era lui per giudicare, per smistare i suoi colleghi in gironi dell'inferno, considerandoli colpevoli di semplici difetti umani.
Non avrebbe potuto esprimere il concetto con nessun altro termine, per quanto ripetitivo e scontato quello scelto sembrasse.
In un modo o nell'altro, Light era un ipocrita. Era, certamente, portato a porsi su un piedistallo più alto rispetto agli altri membri della Task Force, in quanto impegno e fedeltà nei confronti di L, ma nonostante i suoi sforzi per mantenere un'immagine diligente e inattaccabile, sapeva di far parte della fascia degli ipocriti. Lo era, come tutti gli altri.
Era inutile cercare di fuggire, come in qualsiasi altra circostanza. Anche lui aveva diffidato di L più volte. Persino in quel momento, stava dubitando dell'efficenza dei suoi mezzi. Ma questo era un caso totalmente diverso da quello che gli altri membri della Task Force si erano ritrovati ad affrontare.
Light non si sentiva più una vittima. In quel frangente, la sua maggiore priorità era mantenere la vicinanza che si era creata con L.
Era un piano banale, sciocco e destinato ad una fine ingloriosa, o almeno questo era ciò che Light avrebbe pensato prima di quella mattina.
Ritenerlo il suo unico appiglio sarebbe stato un'esagerazione del tutto inopportuna. Aveva sempre un cervello agile e pronto, e una vasta conoscenza della mente criminale che avrebbe certamente aiutato lo svolgersi delle indagini. L'essere ritenuto l'oggetto principale delle attenzioni di L era solamente un punto in più a suo favore, che avrebbe saputo sfuttare a dovere.
Fare l'ipocrita non gli sarebbe servito a niente, ma in qualche modo continuava a crollare in quei piccoli tradimenti quotidiani, bugie apparentemente insignificanti che scaturivano un duplice effetto nella psiche di Light, focalizzato più sull'indecisione tra il soffrire o meno per il proprio comportamento che sulla scelta di un modo per cambiarlo in meglio.
Eppure, non sapeva ancora cosa provare, se non il peso della cappa di piombo dorato sul collo.
Ah, si era dimenticato della domanda di Soichiro. Persino suo padre ora veniva posato in secondo piano, sovrastato dal vociare sconcusionato della mente di Light.
Cercò di apparire calmo, e formulò la più casuale delle risposte. Aveva tenuto conto del fatto che Soichiro fosse comunque un ispettore di polizia, sebbene Light avesse sempre avuto qualcosa da ridire sull'approccio del genitore al proprio lavoro. Era certo si sarebbe insospettito nel vedere il figlio tentennare dopo una semplice domanda.
<Potrebbe andare meglio, ma non c'è nessuna ragione per cui ti debba preoccupare di me, papà.> accompagnò la risposta con un piatto sorriso.
<Perdonami,> fece l'ispettore, <spero tu possa capire però che è per me impossibile non fare questo genere di domande.>
<Si, Light, abbiamo ragione a preoccuparci di te!> intervenne Matsuda, esuberante come al solito nonostante l'orario.
La quiete ripiombò improvvisa nella stanza. Matsuda sarà anche stato l'elemento più scarso della Task Force, ma aveva anche la straordinaria di far assumere a qualsiasi situazione un tono diverso con nient'altro che la propria presenza. I tentativi di Matsuda per sdrammatizzare la quotidianità del lavoro avevano il solo effetto di rendere l'atmosfera più pesante di quanto già non fosse prima dell'intervento del poliziotto.
È solo quando i fatti vengono messi a parole che la loro effettiva rilevanza viene notata ai più. Per quanto noiosa questa frase possa sembrare.
Ma era vero. Ed erano tutti lì, impettiti, in piedi ad almeno un metro di distanza gli uni dagli altri, volesse mai il cielo che qualcuno lasciasse trasparire segni di debolezza.
Matsuda aveva nuovamente fallito nel suo intento, ma aveva provveduto a Light l'ennesimo pretesto per isolarsi a riflettere, ignorando i respiri e l'aria densa della sala.
Era bello, ignorare. Scordarsi per un istante della Task Force, della pressione, dell'ansia, e, per essere il più generici possibile, dei problemi. Ma ormai era diventato impossibile.
Da quando era rinchiuso in quelle poche mura, aveva iniziato a pensare diversamente dal solito. La faccenda era piuttosto preoccupante, specialmente se considerato il fatto che in più di un'occasione si era ritrovato a sperare che quei pensieri venissero uditi da L.
L'idea di sentirsi la testa aperta in due, di lasciare i pensieri veleggiare verso lo scettico detective e depurarlo da ogni dubbio lo allettava in maniera quasi oscena. Voleva davvero che L, scaltro e malizioso com'era, trovasse un modo per sentire i pensieri del sospettato?
Almeno dieci diverse versioni di Light litigavano al parlamento della mente, chi d'accordo e chi non all'aprirsi, al mostrare quei pensieri così insoliti e inquietanti dettati da chissà quale malattia.
Solo una non si alzava, ed era un Light vestito di beige dai capelli profumati e impeccabili, che aveva ormai abbandonato ogni discussione all'interno di quel cervello devastato.
Stava seduto in un angolo, con una mano sulla testa, a fissare imperterrito un libro senza titolo. Non parlava più, ma implorava attenzione sospirando piano.
Si sentiva pressato, in quell'ambiente così diverso dalla solita piccola utopia. Era quasi impossibile pensare che una volta fosse solo, al comando della mente e delle azioni.
Quella mattina, ignorare si rivelò un'impresa particolarmente ardua, specialmente con l'insopportabile cinguettio di Matsuda che deturpava l'aria di un'oziosa mattina.
<Hey, Light, che avete fatto anzichè dormire ieri notte? Hai davvero una pessima cera--> il giovane poliziotto si vide costretto a tacere, sentendosi frantumato sotto il peso dello sguardo furibondo di Light, il ritratto martoriato di una notte insonne.
L, che non aveva ancora dato alcun segno della propria presenza, subentrò senza invito nella conversazione, comparendo alle spalle di Light, che tremò per un istante come lo scenario di pochi minuti prima gli ripassò veloce per la mente.
<Già, Light, qualcosa ti ha impedito di riposare?>
L'istinto di spezzargli il collo fu fortissimo.
Così non va, Ryuzaki, non va per niente. Si stava prendendo gioco dei sentimenti di Light, e sembrava così soddisfatto del risultato ottenuto nel giovane, che ora tremava imbarazzato con le braccia tese e i pugni chiusi.
Sì, a giudicare dal colorito cremisi del volto di Light, aveva fatto proprio un bel lavoro.
Il ragazzo scelse nuovamente di evitare il conflitto, biascicando una scusa a testa bassa.
Fortunatamente, (sotto certi punti di vista, tra i quali di certo non v'era quello dell'andamento delle indagini) l'acutezza dei membri della Task Force aveva un limite, che sicuramente non si estendeva al livello che era stato toccato quella fantomatica mattina. L'intervento di L, ambiguo e destinato a non ricevere una vera e propria risposta, pose fine alla conversazione.
Non sarebbe servito a nulla continuare a discutere, dato anche che l'attenzione dell'intero gruppo era ormai stata catturata dall'invitante profumo di glassa che si era fatto strada nell'aria polverosa della sala.
Senza emettere il minimo rumore, Watari si era avvicinato piano ai convenuti, ancora in cerchio ad L e Light, spingendo un carrello metallico ritenuto ormai una vera e propria manna dal cielo per i membri della Task Force.
Sopra di esso, una distesa di dolci e paste accuratamente selezionati da una patissèrie di fiducia conosciuta probabilmente soltanto da L in tutto il mondo.
Eppure, sarebbe stato esagerato persino da parte di Light arrivare a disprezzare i dolci soltanto perchè ormai associati alla figura dell'investigatore. Dopotutto, aveva sempre apprezzato il cibo a cui Watari provvedeva.
L fu il primo ad inaugurare la colazione, come al solito, d'altronde. Light decise di osservarlo, prestando particolare attenzione al modo di fare dell'uomo, tentando invano di percepire un qualsivoglia tipo cambiamento.
Ma, nonostante l'impegno che impiegò nella ricerca di mutamenti nell'atteggiamento di L, non notò nulla, e l'unico fatto degno di nota di quei pochi secondi fugaci fu la consapevolezza che guardarlo troppo a lungo provocasse un leggero tremore alla mandibola. Incolpò la fame e la nausea che gli stringeva ancora lo stomaco.
L riempì un piattino bordato d'oro con bignè e trancetti di torta, aggiungendo un secondo pezzetto di brownie al cioccolato, dopo un attimo di indecisione. Fu l'unico momento nel corso dell'intera giornata in cui Light lo vide tentennare, e fu un'immagine veramente patetica.
Seguirono a ruota i colleghi rimanenti, che, nonostante già reduci da un veloce caffè mattutino, non disdegnarono certo concedersi a qualche sfizio prima di iniziare a lavorare.
L si sistemò su una poltrona, e Light l'osservò, poco distante, gettare con noncuranza cinque candide zollette in una tazza caffè.
Forse tutto quello zucchero stava iniziando a corroderlo. Sicuramente, qualcuno in passato doveva averlo definito carino, nella sua stravaganza, con questa mania per qualunque cosa contenesse saccarosio.
Ma evidentemente, lo zucchero non aveva fatto altro che creare una patina vischiosa sulla vera natura dell'uomo, ora ruvida e disgustosamente opaca, intenta a nascondere il sapore che Light non aveva ancora provato fino in fondo.
<Stando alle informazioni di cui ci ha cortesemente provvisto Namikawa, e dall'intervento di Matsuda di ieri sera,> iniziò L, appena sarcastico, <abbiamo potuto appurare che non tutti i membri della Yotsuba siano in contatto con Kira. Una volta scovato l'interlocutore, ci basterà guidarlo verso di noi con qualche semplice trucchetto, ma per questa parte del piano non ho ancora nessun'idea specifica, o almeno non l'avrò fino a quando non sarò certo dell'identità dell'uomo che stiamo cercando.>
<In contatto con Kira?> intervenne Light.
Come gli sguardi dei due giovani s'incontrarono, la tensione gremì l'intera stanza, e Light si sforzò per apparire il più calmo e sicuro possibile, sei paia di occhi puntati contro e troppa rabbia in corpo.
<Pensavo fosse Kira colui che stavamo cercando all'interno della Yotsuba. Stai forse cercando di dirmi qualcosa, Ryuzaki?>
<Il vero Kira ha concetti molto meno materialisti,> L abbassò delicatamente le palpebre, in un atteggiamento scostante nei confronti dell'accusato. <dubito fortemente che il Kira originale possa mai abbassarsi al livello che il corrente impostore, o sottoposto, per quanto ne sappiamo, sta toccando. Favorire una ditta? Se i piani di Kira sono la conquista del mondo e l'imposizione del proprio culto, non credo proprio che lasciare la giustizia in secondo piano per favorire otto affaristi sia la spinta necessaria verso il suo nuovo governo.>
Si prese l'ennesima pausa per voltarsi a guardare gli altri poliziotti, seduti a bocca aperta curiosi di vedere gli sviluppi della discussione. E Light non seppe decidere cosa fosse peggiore, quanto alieni fossero lui ed L rispetto al resto della Task Force o il fatto che il detective traesse un certo gusto nel vivere in quella situazione.
<I criminali hanno continuato ad essere giustiziati. Non sto cercando di mettermi sulla difensiva, ma tu stesso avevi detto proprio ieri di quanto fossi certo del fatto che Kira si nascondesse tra i membri della Yotsuba. E per quante informazioni abbiamo ricavato, non credo che ci convenga saltare subito a conculsioni così affrettate.> fu tutto ciò che Light riuscì a dire, la voce sotto sforzo per rimanere ferma.
L non poteva essere così complesso. In una sola giornata, aveva già mostrato troppe sfaccettature. Era rischioso, da parte sua.
Le possibili interpretazioni di quella scelta erano due:
Il solito trucco ideato per confondere Light e metterlo alle strette, costringendolo così ad abbassare la guardia e scoprirlo alle accuse e alle calunnie, o che avesse effettivamente esposto alcune parti di se al ragazzo in maniera sincera. Ma non c'erano abbastanza prove per sostenere nessuna delle due teorie, se non in sapore dolciastro sulle labbra che il caffè non si decideva a sciacquare.
Light sospirò appena sentì la voce di L rimbombare nuovamente nella sala spoglia. Per quanto ancora sarebbe andato avanti così, ad analizzare ogni suo respiro?
Cosa sperava poi di trovare? La parola "soluzione" suonava distante.
<Giustiziati, questo è vero, ma in numero ridotto. Mi pare anche di aver riscontrato qualche leggera differenza tra il modo di uccidere del primo Kira, quello del secondo ed infine di quest'ultimo di cui stiamo discutendo tanto animatamente. Detto Kira della Yotsuba manca di creatività, devo ammettere che sfogliare i registri delle morti delle ultime settimane sia diventato quasi noioso. Non sono ancora certo, tuttavia, se questa persona riconosca il vero Kira come una figura rispettabile, o comunque al di sopra delle sue capacità. Come ho detto prima, le informazioni sono ancora troppo poche per emettere un verdetto.>
<Ryuzaki, stai forse dicendo che al momento si trovano ben tre Kira a piede libero?> fu il prevedibile intervento di Soichiro, che appariva scosso nella sua piatta integrità di poliziotto.
<Magari non proprio a piede libero.> riprese L. Si era alzato, e si era avvicinato di poco verso Light, ancora non intenzionato ad arrendersi o ad abbassare lo sguardo. Non doveva fuggire.
<Sì, per quanto mi veda costretto ad accantonare per un attimo il secondo Kira per mancanza di prove, penso di essermi avvicinato un po' all'originale. Credo che in questo momento, l'unico dei tre Kira ad essere attivo sia l'interlocutore della Yotsuba. Credo che il primo Kira stia soltanto aspettando che si calmino le acque per tornare a colpire, anche se c'è la possibilità che ora sia probabilmente in stato di semi-coscienza se non di amnesia totale.>
Matsuda aprì la bocca incerto, solamente per essere interrotto prima di formulare una qualsiasi domanda.
<In altre parole, Kira potrebbe non essere più consapevole di essere stato tale. Noi stiamo dando la caccia ad un successore illegittimo, una pedina nelle mani del fato lanciata da Kira per confonderci o per incastrarsi in qualche puzzle contorto ideato dalla sua mente.> L finì il suo discorso volgendo lo sguardo dritto verso il ragazzo ancora seduto, consapevole e stanco di essere il soggetto indiretto di ogni conversazione.
<Cosa staresti insinuando con questo tuo ragionamento, Ryuzaki?> Light attaccò bruscamente, una mano stretta a pugno e l'altra a fargli da supporto sul tavolino da caffè.
<Nulla di cui non abbiamo già discusso, Light.>
E finiva sempre così. Ryuzaki, Light, e c'era qualcosa nel tono in cui quei nomi venivano pronunciati che donava alle interazioni tra i due un'aria quasi dolce, delicata, nonostante l'astio con cui i giovani si apostrofavano.
Vi furono pochi secondi di silenzio, durante i quali L e Light trovarono il tempo necessario per risedersi, sempre con quella debita distanza resa nulla dalla catena argentea.
Light decise di ignorare le accuse di L e godersi la colazione. Una parte di lui si chiese se meritasse veramente un barlume di serenità quale il cibo nel corso di quella maledetta mattinata, donandogli un nuovo motivo per tormentarsi.
Resosi conto di non aver ancora favorito delle leccornie sul vassoio, prese un bignè al cioccolato e se lo portò alla bocca, sperando nel primo sapore decente della giornata.
Ma, non appena affondò i denti nella pasta spugnosa, sentì lo stomaco chiudersi, e il senso di disgusto lo riavvolse in un dolore che rasentò l'apice della sua soglia di sopportazione.
Una mano coprì rapida le labbra, gli occhi si spalancarono e il busto si contorse in avanti, e Light si sentì emettere un verso tremolante simile ad un miagolio mentre si accasciava senza gloria verso il tavolo. Si odiò, si odiò per essersi mostrato così vulnerabile di fronte alle persone che più avrebbe dovuto temere, i più vicini a lui, così distanti, silenziosi, giudiziosi. Immaginare le espressioni dei colleghi seduti dinnanzi a lui alimentò la bile in corpo e il rossore in volto.
Sentì una mano posarsi sulla spalla destra, un tocco familiare ma che non scaturì in lui nessun'emozione.
<Light! Light, stai bene?> Matsuda sembrava più che pronto a praticargli la manovra di Heimlich, ma Light fu veloce a riprendersi e allontanarlo nel modo più gentile e noncurante possibile.
<Si, tutto bene, non ti preoccupare. Deve essermi andato di traverso un boccone.> mentì, nessuna novità.
Spostò il piattino ancora pieno verso l'interno del vassoio, il bignè mezzo mangiato risaltava sulla porcellana bianca.
<Light, non sembri te stesso in questi ultimi giorni.> fece Aizawa, forse stizzito di non aver ancora preso parte alla conversazione.
"Me stesso. Un pugno di ufficiali scadenti si ritiene davvero in grado di giudicare chi io sia effettivamente?"
<Devo ammettere che lavorare a questo caso mi stia mettendo davvero molta pressione,> Light sentì la voce uscire debole e fiacca, mentre le parole tentavano di suonare rassicuranti e motivazionali, <ma non mi darò per vinto. Non ora che siamo così vicini a Kira. Cattureremo quel bastardo, lo giuro sulla mia stessa vita. Non c'è nessun bisogno di dare tanto peso al mio comportamento, sono certo che a breve si sistemerà tutto.>
Si voltò verso L, per nessun motivo se non puro egocentrismo.
<E quel momento coinciderà con la consegna di Kira alla giustizia. Soltanto allora potremo finalmente tirare un sospiro di sollievo, abbandonare questo posto e tornarcene tutti a casa sani e salvi. Senza offesa, Ryuzaki.>
Che gusto c'era nel continuare ad irritarsi a vicenda? Erano così infantili, e il loro alone di autorevole mistero non nascondeva affatto questo aspetto.
<Perchè mai dovrei offendermi, capisco pienamente la tua fretta di porre fine a questa situazione, Light. Sarà strano, però, quando arriverò a non dover più dividere la stanza con te. Prometti di non perseguitarmi.>
Il tono di L non gli piacque per niente. Stava di nuovo prendendosi gioco di lui? Rischioso, persino da parte del più grande detective al mondo, giusto per fomentare il suo ego.
Per quanto poco efficenti potessero essere i membri della Task Force, erano pur sempre poliziotti, e umani prima di tutto. Qualche altro indizio di troppo e avrebbero afferrato la situazione, domandando spiegazioni che Light non sarebbe riuscito a fornire.
Ma forse stava solo scherzando. Sì, questo scenario suonava decisamente meglio nella sua testa. Light rispose con una risata, ad occhi chiusi per scampare agli sguardi.
Inutile dire che la colazione si concluse verso quell'istante, come Watari iniziò a pulire il tavolo in un in una forma d'invito nei confronti dei colleghi (per nulla subliminale) a levarsi di mezzo.
Finiva sempre in quel modo, e Light si era già abituato. Come si era abituato al suono dei passi trascinati verso la postazione computer, alla tastiera troppo stretta per le sue mani e agli inutili interventi di Matsuda. Gli risultò difficile scegliere quale dei tre fattori fosse il più fastidioso.
Si sedette sulla poltrona girevole grigia vicino alle scale, ormai posto riservato alla figura dell'osservato. Proprio accanto ad L, ma più lontano dalla via d'uscita più vicina rispetto a questo.
E ogni dettaglio sembrava incastrarsi alla perfezione.
Una buona mezz'ora fu trascorsa a discutere sulle informazioni donate da Namikawa, nell'eco di un vociare spento.
Light non avrebbe dato un soldo a quel Namikawa, forse per via del suo aspetto mediocre da borghese, nel quale temeva di potersi riflettere. O forse era soltanto per l'appartenenza alla Yotsuba.
Ma quell'uomo dai capelli impomatati si era rivelato veramente utile alla squadra. Sicuramente L lo avrebbe onorato di qualche riconoscimento, appena finite le indagini.
Strano, come una persona così anonima potesse rivelarsi così brillante.
Magari Namikawa sarebbe potuto essere una buona aggiunta alla Task Force, oppure si sarebbe potuto rivelare un nuovo insopportabile motivo di veglia notturna e commiserazione.
Assolutamente. Con tutti i problemi con cui Light era costretto a convivere, la presenza di Namikawa avrebbe soltanto peggiorato la situazione.
E uno dei principali problemi, ma comunque non di certo il più importante, fece il suo trionfale ingresso nella stanza, portando nell'aere un forte profumo di patchouli.
<Buongiorno!>
Era una voce acuta, maledettamente irritante. La seconda voce che Light si era trovato ad ascoltare all'improvviso, associata all'abbozzo di un'identità nient'affatto interessante.
Tutto ciò che Light sapeva di Misa Amane era che fosse un'aspirante modella che mascherava la sua quasi totale mancanza di personalità con ingenti litri di profumo e balsamo.
Magari una personalità quella ragazza l'aveva, ma Light non riusciva proprio ad apprezzarla. Gli ricordava alcune ragazze della To-Oh, che lo additavano per i corridoi condendo i loro sguardi furtivi con risatine stridule, attrate da lui solamente per il suo aspetto.
"Se mi vedessero in questo stato..."
Ma questa era diversa. Provava verso di lui una sorta di affetto incondizionato, che rasentava l'ossessione.
Cazzate. È impossibile provare tali emozioni per qualcuno. Non è mancanza d'empatia, è soltanto chimica.
Ma quella ragazza non aveva certo una mente capace di comprendere simili concetti.
Misa si ergeva sulle scale, bionda, radiosa.
Scese quasi di corsa, la gonna rossa che sventolava ad ogni gradino. Salutò Watari con la mano, e riuscì in qualche modo a sottrargli un biscotto, il cibo più magro e spoglio del vassoio ancora mezzo pieno di delizie.
Misa ricevette un saluto cordiale a base di cenni del capo e sorrisi da parte della Task Force, seppur L e Light si limitassero a squadrarla in cerca di risposte.
Ogni volta che faceva la sua comparsa in una stanza, ogni volta che si attaccava al braccio di Light o attaccava una lite con L, decine di domande percorrevano le menti dei due investigatori (ormai era consueto associarli sotto lo stesso titolo).
Perchè la gelosia? Perchè la venerazione? Perchè i rischi che correva?
<Sono innamorata.> rispondeva, sorridendo.
Forse non lo sapeva nemmeno lei il motivo di tante emozioni. E sentirsi simile a quella ragazza, sempre d'intralcio, mai totalmente lucida, scaturiva in Light un profondo odio per se stesso.
Misa gli gettò le braccia al collo, sporgendosi dallo schienale della sedia. Ora il profumo di patchouli era nauseante, e Light si chiese se il suo stomaco fosse in grado di reggere ancora.
<State lavorando?> chiese, stringendo la presa. Doveva esistere al mondo una forza superiore decisa a far vomitare Light, a giudicare dalla piega presa da quella mattina.
<Mi pare ovvio. Non avresti anche tu del lavoro da sbrigare, Misa?> L parlava senza staccare gli occhi dallo schermo. Bizzarro come quasi esternasse il modo in cui la presenza di quella ragazza lo irritasse.
Misa storse la bocca in una smorfia offesa, allentando un poco la stretta alla gola di Light, che boccheggiava patetico sulla sedia.
<Stavo andando proprio ora,> si passò una mano tra le lunghe ciocche bionde. <ma evidentemente salutare ed essere cortesi non è più legale, secondo qualcuno.>
L non le rispose. Era così poco professionale, il modo in cui il suo comportamento variava tra i due sospettati.
Misa sospirò pesantemente, prima di macchiare la guancia di Light di rossetto scarlatto.
<Oggi vado ad una riunione importante con la Yotsuba. Mogi mi sta aspettando fuori. Devo fare una bella impressione, per questo mi sono vestita discreta. Beh, anche per nascondere meglio i microfoni.> rise. <Mi auguri buona fortuna, Light?>
Si chinò in avanti, aspettandosi l'opposto di ciò che ottenne, ovvero una mano sulla spalla ad allontanarla e un freddo incoraggiamento.
<Spero vada bene, ricorda che è necessaria la tua collaborazione per il caso.>
Misa rimase immobile per qualche secondo, prima di coprire la propria delusione con una risata.
<Vedrò di fare del mio meglio. Ci vediamo dopo!>
Light non sapeva cosa provare nei confronti di Misa. Erano tutte emozioni negative, che variavano dalla repulsione alla pena.
E Misa era dolce, ma era di una dolcezza simile al miele, tutta sorrisi e carezze, stucchevole.
Light si passò il dorso di una mano sulla guancia, andando a rimuovere eventuali tracce di rossetto. Se solo altre macchie fossero state altrettanto facili da eliminare.
Strinse la mano ammanettata alla catena.
Lo zucchero aveva mai portato a Light niente di buono.
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<Giornata tosta?>
Matsuda colpì delicatamente Light sulla spalla, aspettando che Soichiro gli allungasse la giacca.
Per un motivo o per un altro, lo toccavano tutti. Ogni sforzo per apparire distaccato e irrangiungibile vanificato dalla sciocca voglia umana di contatto.
<Decisamente più tranquilla di quella di ieri, vedi di non cacciarti in altri guai, Matsuda.> se solo il giovane polizotto avesse saputo di come Light lo stesse maledicendo in quell'istante.
Matsuda, dopotutto, era piuttosto imprevedibile. Nessuno conosceva a fondo cosa si nascondesse dietro il volto innocente e la sbadataggine di un ragazzo da poco uomo con poca voglia di crescere, ufficiale per qualche irrazionale sogno di bambino protrattosi troppo a lungo nel tempo.
Ci sarebbe rimasto male, probabilmente.
Dopotutto, era affezionato a Light, che aveva conosciuto come il ragazzino brillante e curioso dalla spiccata personalità che non perdeva mai occasione di intrattenere gli ospiti di Soichiro con i suoi discorsi sulla giustizia e le sue doti di oratore.
Ma ora Light era cresciuto, e sognava ancora un mondo perfetto in mano al bene dei più giusti, nonostante fosse il sospettato numero uno di una brutale serie di omicidi.
Se Light si fosse davvero rivelato colpevole dei delitti commessi da Kira, Matsuda avrebbe probabilmente avuto la reazione peggiore, insieme a Soichiro, naturalmente.
Ma in quel momenro importava soltanto che tutti i giudici della sanità di Light se ne stessero finalmente tornando a casa, non di certo sereni, ma lontani dal luogo tanto odiato teatro di innumerevoli disagi.
Misa doveva essere a dormire nella sua stanza. Era ritornata presto, dopo la riunione, e subito si era fiondata in camera senza fiatare, salutando appena Light.
Questo suo comportamento aveva destato qualche sospetto tra i membri della Task Force, che ora si scambiavano gli ultimi saluti di fine giornata senza toccare l'argomento.
Il suono dei motori di macchine grigio fumo accompagnò l'uscita di scena dei colleghi, e Light non si sentì di invidiare la loro libertà.
Lui aveva pur sempre un gioco da vincere.
Gli parve di sentire un rumore soffocato provenire dal pianerottolo, ma non vi diede troppa importanza.
<Che dici, prendiamo l'ascensore?>
La domanda di L fu alquanto improvvisa, e lasciò ampio spazio ad incomprensioni e dubbi.
<Ti ricordo che ci sono telecamere anche lì, nel caso ti fosse venuta qualche strana idea.> tagliò corto Light.
L fece qualche passo avanti, dirigendosi verso l'ascensore in questione.
Era un ambiente piccolo ma stranamente accogliente, forse per via della parete trasparente che permetteva a chi lo prendeva di gustarsi la visuale dei grattacieli di Tokyo durante i tragitti di piano in piano.
<Se vedi ogni mia azione sotto queste luci, come pretendi di poter instaurare un rapporto sano ed aperto con me?> L posò un dito su un tasto argentato, una placchetta metallica che s'illuminò di rosso al tocco improvviso.
Light sospirò, a testa bassa. Era veramente fastidioso.
Entrò nella cabina trasparente insieme ad L, sperando in un viaggio breve. Discutere non sarebbe stato necessario.
Non appena la porta si chiuse, L gli si avvicinò, posando una mano sulla parete dell'ascensore più interna, di vernice rossa.
Come si protese in avanti, Light lo bloccò con un gesto della mano, intenzionato a strappare quell'assurda fantasia dalla mente del detective.
<Non qui.>
Freddo. Gli somigliava, dovette ammetterlo.
L si tirò subito indietro, voltandosi appena a guardare in alto.
<Perchè mi respingi?> la sua voce non aveva alcuna traccia di delusione o collera. Sembrava soltanto divertito dalla reazione di Light, da come si fosse subito messo sulla difensiva.
Questo abbassò le palpebre, e passò una mano sul collo di L mentre la bocca si contraeva in un sorriso tirato.
"Se ci tieni tanto a giocare, dovrai prepararti ad avere un avversario."
<Non è che ti stia respingendo,> sorrise, Dio, quanto suonava stupida la sua voce, <ritengo soltanto che questo non sia il posto più adatto per...Hai capito.>
L gli voltò le spalle, e le sue parole echeggiarono nell'ambiente stretto e freddo.
<Ah, se fai così non mi diverto. Devi avere frainteso le mie intenzioni. Ti darò meno corda la prossima volta, questa conversazione è finita.>
Light si strinse nelle spalle, gli occhi spalancati.
<In che modo avrei frainteso? Tutto quello zucchero ti ha dato alla testa, Ryuzaki?> attaccò. Si sentì un idiota, cosa gli era passato per la mente?
Non riusciva a darsi un motivo alle azioni che commetteva, alle parole che pronunciava. Si sarebbe gettato nella tromba dell'ascensore per aver preso parte a quel ridicolo scambio di sguardi e gesti.
<Finita.> ripetè L, con lo sguardo ancora verso l'alto. Era sempre più irritante.
Quando finalmente quel minuto si decise a passare, i due tornarono in camera, e nessuno osò più proferire verbo. Perchè parlare avrebbe provocato soltanto ulteriori dispiaceri, vista soprattutto la patetica conversazione precedente, che suonava così insensata, dalle bocche dei due, ormai ammassi indistinti di ragioni per cui detestarsi a vicenda.
Ed entrambi scelsero la via più breve, uno decise di non esternare il proprio dolore e l'altro di ignorare il fatto di aver chiaramente visto un'ombra bionda muoversi rapidamente per le scale, apparentemente intenzionata a mettere le mani su uno dei computer della sala principale.

Nota dell'autrice: Oi!
FINALMENTE HO AGGIORNATO, VISTO CHE NON SONO MORTA?
Questa fanfiction è come il ciclo: appare una volta al mese, in momenti il più delle volte inopportuni, spazza via tutte le aspettative della settimana ed è estremamente dolorosa da subire.
Visto che non ho niente da fare, e non ho ancora scritto una riga della storia vera e propria, vi dirò un paio di noiosissime cose su questa fanfiction;
In primis, scusate se aggiorno ogni morte di papa e risulto il più delle volte scostante e antipatica. Sono veramente desolata. Vi ringrazio anche tantissimo di tutti i complimenti che mi fate, significano davvero tanto.
Spero solo che questa ff non deluderà le vostre aspettative. Chi mi conosce bene, sa che ho un'idea ben delineata di questa ship, sebbene sia la mia OTP assoluta. Il punto è semplice:
Seppur non neghi l'esistenza della coppia, non ritengo sia opportuno che una storia così intricata con due personaggi così complessi sia ridotta ad una storia d'amore, soffice e blanda. Ho sempre paura di finire per annoiare i miei lettori, visto che non ho mai inserito nessun indizio romantico, e questa storia inizia ad assomigliare ad un episodio introspettivo di Evangelion. Perchè è così che li vedo. Vuoti, patetici, umani. Ma solo tra loro.
Per questo ritengo veramente difficile trovare fanfiction che mi sappiano cogliere su di loro, si contano in fretta quelle che effettivamente apprezzo. Mi preme un sacco il fatto che entrambi i personaggi debbano essere mantenuti in character, altrimenti non riesco proprio ad andare avanti con la lettura. E temo che questa storia possa non piacere, perchè povera di romanticismo o, se proprio vogliamo dirla tutta e suonare un po' cattivi, "fanservice", e troppo lenta e fedele alla trama canonica.
Vi avviso perciò di prepararvi psicologicamente per il finale (che arriverà fra un bel po', state tranquilli ;)
I motivi sono...Intuibili, ecco *risata malvagia*
Ringrazio comunque quelli che apprezzano il mio lavoro :3
Aaaa che palle 'sta nota -.-' chiunque l'abbia letta fino in fondo merita il mio rispetto. Spero comunque che la storia vi piaccia!
Ora basta, chiudo il becco, passiamo a cose più importanti, prima di passare per una noiosissima attira attenzioni.
Allora, piaciuto questo capitolo molto poliziesco con un pizzico di triangolo amoroso e di yandere? Secondo me non è il massimo, avrei potuto fare di meglio, lo ammetto.
EDIT: Ok, credo che il modo in cui scrivo sia un po' cambiato dal quarto/quinto capitolo in poi, che sia una coincidenza il fatto che-- beh, diciamo che... BASTA HO DETTO TROPPO-
EDIT: Wow, è proprio difficile carpire bene questi due-- basta! Mollo la Lawlight e inizio a scrivere Shuuneki, 100% harcore yaoi. Niente trama. Sangue. Lacrime. Tsukiyama versione yandere. È un sogno
(Ragazzi scherzo è l'una di notte al momento)
Commentate plz
~Fanny

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