▪️Capitolo XLIII - April

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"Pelle di seta, magica notte
profondi i tuoi occhi, come una botte.
Non vive sereno un cuore d'acciaio;
si nutre di bacche l'animo amaro.

Frutti proibiti, freddo Gennaio.
Cerca la pace e trova un suo caro:
labbra scarlatte che parlano chiaro;
sulla bocca due alghe bagnate
disegnano forse una umida croce.

Il respiro rubato dall'estate,
che segnò il destino atroce
di un fiore fragile e smorto
in un mare senza porto." 

Come se posseduta da uno spirito, April continua a incidere quelle parole su carta. Chiusa nei bagni argentei, trafigge con gli occhi castani la poesia che ricevette per errore il Febbraio dell'anno precedente.

Adam si era già allontanato, negandole i suoi sorrisi e concedendoli più luminosi a Celine. Lesse i suoi versi senza respirare e stracciò la lettera il secondo successivo; un impeto di rabbia l'aveva invasa, mentre riduceva in brandelli l'arte del ragazzo.

Eppure eccole lì, quelle parole, ancora scolpite nella sua mente. Basta lustrarle un poco ed è sorprendente come l'antica lucentezza possa tornare a illuminare il viso delicato di April.

I tratti della mutante della natura sono ora gentilmente accarezzati dal trucco intinto nei caldi toni della terra; la semplice maglietta bianca e i classici pantaloni neri abbracciano la sua pelle, permettendo all'ombelico di respirare.

Accartoccia la carta igienica e getta la poesia nello scarico, esplodendo poi in un lungo sospiro frustrato. Non dovrebbe trovarsi sola nei bagni di un lussuoso locale per mutanti e, benché meno, dovrebbe pensare a certe cose ormai più che passate.

«Ma che mi prende» sussurra, stringendo con eccessiva forza la stilo che ha preso in prestito da un mutante troppo gentile per essere solo uno sconosciuto.

La serata aveva avuto il giusto avvio, nutrendo di euforia e voglia di divertirsi lo strambo gruppo di mutanti; April aveva ballato senza tener conto dei problemi chiusi fuori dalle porte del Don't mind - battenti che probabilmente valevano più del patrimonio della famiglia Johnson.

Dopo un paio di cocktail, qualche attenzione di troppo da parte di presenze mai viste e, soprattutto, dopo il lungo - e interminabile - dialogo tenutosi tra Adam ed Eden, April era stata avvolta da un potente senso di nausea.

Quella falsa dai capelli falsi - appellativo ormai ben noto nella mente della riccia - gli aveva raccontato chissà quali esperienze trasgressioni nell'orecchio avvolto dal baccano della discoteca.

Ma non è il momento per pensare a queste cose, si ripete la ragazza, scuotendo il capo riccioluto davanti allo specchio. "Specchio", ancora quella parola, eccola lì a infestare i suoi pensieri, le sue emozioni. Si bagna le mani rosee con l'acqua fresca del lungo lavandino color tramonto lunare. Com'è rilassante la sensazione di venire purificata, magari potesse sciacquare via ogni preoccupazione con questo semplice gesto, sfregando le dita, chiudendo gli occhi, forse piangendo un poco. Chi può dire se quelle siano lacrime o gocce di pioggia.

Il giardino profumava di vento umido, un odore più unico che raro in un mondo dominato dalla frenesia degli artifici umani, dal falso, dalla menzogna. Il prato luccicava pigramente quella sera ed April avrebbe voluto rivolgere una dolce carezza ad ogni singola foglia per infondere calore alla natura, per comunicarle che la pioggia sarebbe presto tornata a rinfrescarla. Poco dopo iniziò a piovigginare, un sincero dono per tutte le piante ed anche per April, che decise di godersi ogni granello di vita sulla propria pelle. Fu con un sorriso involontario che accolse Adam, vagabondo in cerca di schiaffi.

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