Parte 4 - La Notte

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 LA NOTTE 

Sandsvatn, radura adiacente alla chiesa di Sandur, ore 03:44 del 13 Agosto 2002.

Da quel giorno di due anni fa non parlai più molto spesso con la nonna. In realtà, la nonna non parlò spesso con nessuno di noi, tranne che con il tutore, che poco dopo l'incidente si trasferì da noi. Furono due anni strani quelli che separarono quel giorno dalla Notte, due anni in cui perdemmo il senso della famiglia e lo riacquistammo in un modo ancora più particolare: ci sentivamo fratelli e sorelle, ma ormai eravamo troppo grandi per illuderci di essere nati tutti dalla stessa madre, volevamo di più di ciò che possedevamo, volevamo scoprire, esplorare, andare avanti. Ognuno di noi stava nascendo come singolo, non più come parte di un tutto, e per questo motivo le differenze tra noi si accentuarono di più, e per la prima volta tra noi nacquero inimicizie, inganni e pugnalate. Eravamo cresciuti brandendo l'etica del Nord che la nonna ci aveva affidato, ma abbiamo usato quell'arma rivoltandocela contro, anche dopo tutte le correzioni che il tutore aveva cercato di instillarci, aprendoci la mente a tutte quelle dottrine che la nonna aveva tralasciato.

Quelli furono gli anni più particolari che avessi vissuto finora, furono gli anni in cui io e Finnbjørn maturammo un odio contro i Cristiani fortissimo, un odio che ci portava quasi ogni notte d'estate a sfuggire dalla presa del tutore e della nonna per compiere razzie nelle chiese e nei luoghi dove si radunavano i cristiani che circondavano la nostra piccola comunità. Ci sentivamo dei veri vichinghi: io, con la mia folta chioma rossa, avevo preso il nome di Þrándr í Götu e durante le notti estive, quando tutte le nubi si diradavano ed eravamo nudi agli occhi degli dèi che si manifestavano a noi come milioni e milioni di stelle diverse, portavo attaccata alla cintola una accetta che il figlio del falegname locale mi aveva procurato, al costo di 80 krónur, intagliando delle rune nel manico, rune che mi avevano portato a consacrare la mia prima arma a Týr, proprio come quelli che consideravo miei fratelli avevano fatto più di mille anni fa. Ero un idiota, Thor non verrà mai schiacciato dai giganti, Odino non perderà il senno per colpa di Mimir né Freyja rovinerà la sua bellezza. Io, invece, proprio io, ero stato schiacciato, rovinato, distrutto, scisso, smembrato. Non c'è una giusta parola per quello che successe quella notte, ma Þrándr í Götu e Gunnbjørn Ulfsson, così si faceva chiamare Finnbjørn, come colui che per la prima volta, guidato dai corvi di Odino, avvistò e scoprì l'America Settentrionale, si recarono, nascosti nel più oscuro buio della notte, a fare razzie nella chiesa di Sandur, quella che mai prima d'ora nessuno aveva osato profanare.

C'è un leitmotiv nell'elegia Anglosassone del periodo alfrediano, un verso la racchiude in The Wanderer, ed è "nipeð nihtscua". S'oscura l'ombra della notte. Ecco, in quel momento l'oscurità della notte aveva toccato il suo nero più profondo, proprio mentre io e Finnbjørn, silenziosamente, ci avvicinavamo alla chiesa immersa nella radura, di fianco al lago che ci aveva più volte coccolati e rigenerati nel corso della nostra breve vita.

«Ricordati il piano», mi disse Finnbjørn, la voce sfuggente quasi come il vento. In passato non mi ero attenuto ai suoi piani, ma comunque tutto era andato per il meglio, perciò anche in quel momento decisi che, se l'occasione si fosse presentata, l'avrei comunque colta al volo. C'era un motivo per cui i piani li ingegnava Finnbjørn, ma tendevo a scordarlo.

«Ci dividiamo, io spacco i vetri e do fuoco al piccolo campanile, attirando quell'infame del prete, mentre tu approfitti della confusione e sfondi la porta per l'ala principale. Ci vediamo tra cinque minuti davanti la porta per l'ala, se dovesse succedere qualcosa, niente sentimentalismi, si corre a casa di Ríkin». Guardai Finnbjørn dritto negli occhi. Niente sentimentalismi significava che non ci avremmo pensato due volte ad abbandonare l'altro, questo in teoria, perché più di una volta avevamo corso più di un pericolo per cercarci tra le fenditure della notte.

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