Sandsvatn, radura adiacente alla chiesa di Sandur, ore 15:57 del 6 Marzo 2000.
Non ci eravamo mai allontanati tanto per una singola lezione. Non ci saremmo mai più allontanati tanto. Era come se il nostro piccolo gruppo, la mia ingannevole famiglia, rifiutasse intrinsecamente qualsiasi cambiamento, come se ogni innovazione, modifica, ogni passo avanti, ecco, passo avanti fosse distrutto ancor prima di essere compiuto. Eravamo in gabbia, ma ciò sembrava non importare a nessuno, perché la gabbia portava loro sicurezza. Eravamo bambini, il mondo a detta della nonna era troppo grande e troppo pericoloso, per noi, per questo anche la nostra gabbia ci stava larga, alcune volte. Avevamo paura, e la nonna lo sapeva, perché ce l'aveva instillata lei.
«Oggi ci fermiamo qui. Abbiamo molto da imparare da questo luogo, soprattutto tu, Thorkil». Gli altri mi guardarono, tutti, tranne il tutore. Mi guardavano con stupore, con paura, mi condannavano con i loro sguardi. Del resto, avevo fatto fare di nuovo una brutta figura alla nonna. Lei odiava le brutte figure, soprattutto con i tutori. E non mi avrebbe mai perdonato.
«Il lago Sandsvatn era molto importante per i nostri antenati, perché qui le famiglie si radunavano per molte attività...». Persi subito la voglia di ascoltare mia nonna, le sue lezioni iniziavano a darmi sui nervi, anche se ogni giorno che passava venivo attratto dalla Glíma, dal sudore, dal dolore e dalla sofferenza che la lotta scatenava in me, avrei voluto essere di pietra come il tutore, forte come una roccia e pesante come Surtr. La nonna ci aveva raccontato la storia di Surtr il Nero, un gigante enorme che faceva da guardiano a Múspellsheimr soltanto brandendo la sua spada di fuoco, un gigante che durante il Ragnarǫk avrebbe ucciso uno degli dèi più potenti, un gigante straordinario che però si diceva essere tormentato giorno e notte dalla voce di Víðópnir, un gallo. La nonna ci aveva insegnato che anche un gigante può essere vittima e soccombere a forze minuscole, così come la nostra piccola nazione avrebbe potuto fronteggiare la vastità del mondo, se solo si fosse stretta alla sua "etica del Nord."
«E Loki come fece a far vincere la scommessa agli dèi?», Mildrið interruppe i miei pensieri, parlando con la sua voce stridula. Eravamo tutti cresciuti, col tempo; nel primo dei miei ricordi sembravamo tutti uguali, ognuno perso in sé, mentre ora eravamo cambiati, eravamo diventati una vera famiglia, seppur io cercavo sempre di nascondere i pesanti fili che ci univano. Volevo molto bene a Mildrið ed è un vero peccato che l'abbia persa; molte volte da ragazzino mi ero ritrovato a pensare che sarebbe potuta diventare mia moglie, se non fossimo stati fratelli: i suoi occhi verdi mi facevano sognare ad occhi aperti, portava sempre i capelli legati in lunghe ed elaborate trecce che la facevano sembrare una skjaldmær, aveva un viso severo ma le sue labbra erano infinitamente dolci, così come la sua voce, che si trasformò moltissime volte nel corso degli anni; amavo e odiavo quella voce. L'amavo, perché riusciva sempre a farmi sentire a casa, e la odiavo perché mi ha sempre fatto mancare la nostra piccola abitazione a Skálavík.
«Thorkil!» Il bastone della nonna mi arrivò dritto tra la spalla e il collo, facendomi sobbalzare. «Come ti permetti a non ascoltarmi?» la nonna urlava e il suo bastone mi colpì almeno altre tre volte, facendomi sanguinare. La nonna odiava le brutte figure, soprattutto davanti ai tutori. «Stanotte resterai fuori al freddo e ringrazia che non ti abbandoni nella foresta, idiota!» Era furente, ma fortunatamente non mi percosse più, o almeno finché non parlai di nuovo. «Grazie, nonna», mi aveva detto di ringraziarla, e così feci. Una mossa stupida, non mi avrebbe mai perdonato.
«Mildrið, come ho detto Loki è il maestro degli inganni. E così, ne pensò un altro». La nonna prese un libro pesante e polveroso dalla sua bisaccia, e iniziò a leggere.
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Sleipnir
HorrorLandssjúkrahúsið, sospeso tra passato e presente, Thorkil Stefnirsen nasce tra le maledizioni di uno degli infermieri dell'ospedale nazionale delle Isole Fær Øer. La sua vita è segnata, così come lo è la sua mano, portatrice di un simbolo perso nel...