“Non si può più andare avanti così!”
L’uomo batté un pugno sul tavolo di legno, adirato.
I soldati sussultarono e il boccale pieno d’acqua poco lontano si rovesciò, facendo fluire lentamente il liquido sul pavimento.
Tutti i presenti rimasero immobili e in silenzio, osservandolo rotolare sulla tavola e cadere.
Quando faceva così, il comandate era davvero spaventoso.
“Avevo chiesto che mi mandassero gente qualificata, non dei ragazzini che non sanno nemmeno come impugnare una spada!” continuò.
Ognuno dei sottoposti abbassò la testa e strinse gli occhi.
Si sentirono inutili, degli incapaci.
Era difficile trattenere le lacrime in quella situazione.
“Ah... finirò per impazzire!” l’uomo si girò, dando loro le spalle, e portò le mani dietro al capo sbuffando “Che cosa posso farmene, di voi?!”
“Signore, noi…”, Fanyul voleva davvero provare a convincere il comandante che sapevano fare qualcosa e che l’Accademia aveva insegnato loro le basi per divenire buone guardie, ma l’uomo sembrava non voler accettare ragioni.
“Non mi interessa!” gridò girandosi “Non posso gestire la città da solo, e dei bambini come voi sono solo un intralcio!”
Fanyul sollevò la testa di scatto e spalancò gli occhi.
Li aveva chiamati… bambini?
Poteva accettare di essere definito un incompetente, uno scansafatiche, un dilettante… in fondo aveva solo vent’anni e aveva molto da imparare, ma bambino proprio non gli andava giù.
Raccolse tutto il coraggio che aveva e, stringendo i pugni, si alzò dalla sedia, mentre l’attenzione dei compagni ricadeva su di lui.
Non era abituato ad avere tutti gli occhi addosso, ma in questa situazione non gli importava più di tanto.
Dopo aver fatto passare lo sguardo su ognuno degli altri ragazzi, fece un profondo respiro e sperò che quello che stava per dire non gli sarebbe costato caro.
“Signore.” esordì, provando a gonfiare il petto “Con tutto il rispetto, credo che quello ha detto non sia corretto.”
Il comandante sembrò emettere fumo dalle narici e, con il suo passo pesante, si avvicinò al ragazzo guardandolo dritto negli occhi.
Fanyul si irrigidì stringendo ancora di più i pugni.
Deglutì e provò ad andare avanti. “Io penso che…”
Con una rapidità quasi inumana, il comandante lo afferrò per il bavero e, facendogli dare le spalle al tavolo, digrignò i denti.
“Credi davvero che mi interessi ciò che pensi tu?”
Fanyul spalancò ancora di più gli occhi.
Allora era vero ciò che gli avevano detto.‘Vuoi davvero andarci?’
‘Sarà dura.’
‘Lì la tua opinione non conta niente.’
‘Puoi ancora tornare indietro..’Gli venne in mente l’espressione della sorella mentre lui partiva per l’Accademia di Kreth-Lahtu, lasciandola con la madre e il padre che ancora non avevano accettato il desiderio di carriera del figlio.
Gli aveva afferrato le mani, implorante.
Lo supplicava di non partire.
Il ricordo della disperazione con cui lei gli aveva stretto i lati delle spalle da dietro mentre si stava incamminando gli provocò un dolore sordo al petto.
Aveva davvero preso una buona decisione a lasciare il piccolo e tranquillo villaggio di campagna in cui abitava per poi non contare nulla?
Per non essere ascoltato?
Se lo chiese per la prima volta seriamente in quel momento.
Volle riprovare.
“Signore, se noi…”
Il comandante lo tirò leggermente più vicino a sé, ma poi gli lasciò il bavero e lo fece sbattere con violenza contro il tavolo che aveva dietro.
Gli altri soldati sembrarono spaventarsi un poco e si scossero sulle sedie appena sentirono il rumore dell’urto del corpo del compagno contro il legno duro.
Una fitta lancinante colpì il ragazzo alla schiena, facendogli comparire involontariamente una smorfia di dolore sul viso.
“Fa male?” chiese con scherno l’uomo “Sappi che questo non è niente. Per questo voi bambini non andate bene. Non sopportate il dolore. Nemmeno il più piccolo e insignificante. Se solo sapeste cosa dovreste fare sul campo, vi verrebbe voglia di tornare a casa prima ancora di sentire la paura attorcigliarvi le budella!” sibilò.
Fanyul iniziò a respirare affannosamente.
Gli venne voglia di correre verso il comandante e di tirargli un pugno, ma sapeva benissimo che non poteva.
Sbatté più volte le palpebre per riuscire a controllare la sua rabbia.
Con la testa bassa e le mani e la schiena appoggiate al tavolo, Fanyul sorrise.
Nel silenzio della sala si mise a ridacchiare un po’, mentre sentiva una piccola goccia di sudore scivolargli dalla tempia al mento e cadere giù.
Il comandante se ne accorse e si piantò davanti a lui.
I compagni temettero che potesse succedere qualcosa di molto brutto.
Sperarono che Fanyul non sarebbe stato troppo stupido da provocare ulteriormente l’uomo, ma evidentemente non lo conoscevano bene.
Fanyul amava le sfide, e non voleva certamente lasciarsi sfuggire questa.
O almeno lui la considerava tale.
“Che cosa stai facendo, ragazzino?” domandò il comandante prendendolo per i capelli scuri come la pece e tirandogli su la testa.
“Ridi?”
Fanyul accennò un sorriso.
“E anche se fosse?”
L’uomo scosse la testa divenendo serissimo. “Non ti permettere, giovanotto. Non sai con chi hai a che fare.”
Il sorrisetto sul suo viso sembrava non voler scomparire, e questo dava assai fastidio al comandante.
Desiderava colpire infinite volte quel ragazzino che voleva provare a fare il ribelle non ascoltando ciò che diceva, ma sapeva che non poteva.
Che fine avrebbe fatto la sua reputazione di uomo professionale?
Non poteva rovinarla per una sciocchezza del genere.
Oh no.
Ma poi il ragazzo rispose.
“Con qualcuno che non riesce nemmeno ad affrontare un bambino senza le maniere forti?” lo schernì.
La situazione stava precipitando: ognuno dei due voleva colpire l’altro per ragioni diverse, ed erano ad un soffio dal farlo.
Se solo una fiammata non avesse squarciato la parte di cielo visibile dalla finestra della torre di guardia, sarebbe potuta finire davvero male.
Il comandante lasciò andare i capelli di Fanyul ed entrambi si girarono alla loro destra contemporaneamente, mentre tutti gli altri soldati si alzavano e si ammassavano addosso al vetro per cercare di vedere meglio.
Tornarono a guardarsi negli occhi: nessuno dei due voleva darla vinta all’altro, ma la situazione e le domande degli altri soldati costrinsero l’uomo a dire qualcosa.
“Cosa dobbiamo fare, comandante?!”
Senza interrompere il contatto visivo con Fanyul, l’uomo gridò: “Cosa state dicendo?! Preparatevi! È nostro dovere di guardie provvedere ai casini che questi campagnoli combinano! Prendete le spade e aspettatevi di tutto: quella fiammata non sembrava naturale.”
I soldati si guardarono tra loro intimoriti. “Che intende dire?”
“Andate!”
“Sissignore!”, uno ad uno iniziarono a scendere le scale verso l’armeria, solo un soldato era rimasto per controllare se Fanyul si sarebbe preparato, ma questi era ancora immobile a fissare il comandante con il solito sorrisetto di scherno.
Il soldato scese le scale, lasciandoli soli.
Fanyul si raddrizzò, fece un piccolo inchino e si diresse verso le scale.
“Vado ad adempiere i miei doveri di guardia, comandante.” annunciò “Spero che non abbia preso male la nostra… chiacchierata.”
Appena il ragazzo fu fuori dalla stanza, l’uomo batté furioso un altro pugno sul tavolo.
Mai doveva ricapitare una cosa del genere.
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Aranel e la Guerra delle Province
FantasyEra solo un piccolo villaggio, no? Che mai sarebbe potuto succedere? Di grandi cambiamenti non ce ne erano mai stati. A parte quella volta. Già, la faccenda aveva suscitato scalpore all'inizio, ma le acque si erano calmate quasi subito. Anche perch...