Prologo

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"Aranel, ascoltami.", la donna davanti a me si accovacciò e mi mise le mani sulle spalle "Non devi dire a nessuno di questo. Hai capito?" domandò, mostrando il piccolo fuocherello che le si era creato sul palmo della mano.
Lo ammirai per qualche secondo, rapita, notando come scoppiettava e le lingue rosse e arancioni che si intrecciavano tra loro.
Annuii piano guardandola negli occhi, quegli occhi così gialli e così particolari, che ora comunicavano solo ansia e paura.
Per un istante le osservai i capelli scuri raccolti in una treccia un po' troppo morbida, fatta probabilmente di fretta, che le scivolava sulla spalla, e pensai che in ogni occasione fosse sempre bella.
Le orecchie a punta le tremarono un po', così un secondo dopo accennò un sorriso e si voltò di scatto, guardando alle sue spalle. La mano le ricadde lungo il fianco, e il fuocherello scomparve subito in una piccola nuvola di fumo marrone. Fumo magico. Cercò con la mano la mia spalla, così la aiutai a posarla su di essa.
Sentivo le sue mani tremare e il respiro affannoso, poi tornò con lo sguardo su di me. Deglutì lentamente e annuì a sua volta.
"Brava la mia bambina." bisbigliò, cercando di sorridere.
Si sentì uno strano rumore, così lei si girò un'altra volta e sussultò.
"Stanno arrivando." mormorò con la voce strozzata, guardando ancora dietro di se.
Piegai la testa di lato, sbattendo più volte le palpebre. "Chi sta arrivando, mamma?"
I suoi occhi tornarono a guardare i miei, e si vedeva che stava facendo molta fatica per non piangere. "N-nessuno, piccola. Solo... ti ricordi quando ieri abbiamo giocato a nascondino?" chiese, accarezzandomi piano il viso.
"Certo!" esclamai sorridendo "Ti ho trovata subito! Il tuo nascondiglio è sempre lo stesso, dietro casa nostra! Dovresti pensare a nasconderti meglio, mamma." la rimproverai, agitando l'indice con aria superiore.
Piegò il capo mordendosi il labbro inferiore poi, quando lo rialzò, aveva il viso rigato di lacrime. "Lo so, scusami piccola mia."
Le appoggiai la mia manina sulla guancia e la asciugai.
"Perché piangi, mamma?"
Spalancò gli occhi e la bocca e si passò velocemente le mani sul volto.
"Non... non è nulla, t-tranquilla." rispose, ma la sua voce era scossa dai singhiozzi, che si facevano sempre più disperati.
"Ti fa male la pancia?" continuai "Ti posso dare la mia radice di zenzero, basta masticarla per qualche minuto e starai meglio!", misi una mano in tasca e le porsi la radice.
"Grazie mille, piccola." disse con un sorriso tirato, la prese e se la infilò nella tasca della giacca verde che indossava "Ma anche io ho un regalo per te.", mise una mano nell'altra tasca e ne estrasse una piccola collana, che mi allacciò al collo.
"Ecco, questa ti servirà a ricordarti di me." sussurrò, più a se stessa che a me.
"Perché dovrei ricordarti, mamma?" domandai toccando la collana "Vai da qualche parte?"
Sbatté più  volte le palpebre. "Ehm..... io... cioè....." balbettò, scuotendo la testa "Ehm... comunque..... ora ti devo chiedere una cosa importante.", proseguì, tornando seria.
Dondolai un po' le spalle e mi sistemai con le mani le pieghe del vestito a fiori che lei mi aveva regalato appena due giorni prima. "Cosa, mamma?"
Fece un respiro profondo, ma sussultò e si girò di nuovo sentendo in lontananza il rumore di zoccoli che pestavano violentemente il terreno. "Sono sempre più vicini..." scivolò fuori dalle sue labbra, mentre tornava a guardarmi. "Corri, vai al ciliegio in mezzo alla radura qui accanto e arrampicati sui suoi rami. Rimani lì nascosta, come quando giocavamo a nascondino, va bene? E fino a quando non sentirai più rumori, non uscire. Me lo prometti?"
Si udì un grido provenire dal polverone causato dai cavalli in avvicinamento. "Eccola! Presto prendetela!!"
Adesso lei tremava visibilmente e tante goccioline di sudore brillavano sul suo viso. "Me lo prometti?!" chiese, strattonandomi per le spalle, sempre più preoccupata.
"S-sì, mamma. Te lo p-prometto, ma... perché?" domandai, un po' spaventata.
"Tu fallo e basta. Poi capirai." rispose, mettendomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio con la mano traballante, mentre l'altra tornava sulla mia spalla.
Abbassai un po' lo sguardo, poi tornai a guardarla negli occhi. "Quando capirò, mamma?" domandai, con la mia voce innocente.
Chiuse gli occhi scoppiando a piangere di nuovo, e questa volta non si trattenne. "Quando sarà tempo, piccola. Ora va' a nasconderti, veloce!" tagliò corto, spingendomi un poco.
Adesso le lacrime avevano iniziato a scorrere anche lungo il mio viso. "Non capisco mamma, ho paura!" esclamai, gettandole le braccia al collo.
Lei mi strinse forte a se e sentii le sue calde lacrime bagnarmi la spalla scoperta. "Lo so tesoro, e mi dispiace così tanto!" gridò agitandosi sempre di più. Lo scalpitare dei cavalli era sempre più vicino "Ma ora devi andare!" continuò, sciogliendo l'abbraccio e accarezzandomi nervosamente la guancia, mentre mi incitava ad allontanarmi.
"No! Non voglio! Voglio stare qui con te, mamma!" protestai, stringendo gli occhi per il terrore.
"Veloci, portatela via!!", la voce roca di un uomo mi fece riaprire gli occhi, così gettai lo sguardo verso mia madre, che ora non finiva più di piangere, e poi alle sue spalle, dove alcuni uomini stavano smontando rapidamente dai loro cavalli e stavano correndo verso di noi; mia madre se ne accorse e si girò a guardarli per un secondo poi, tornando a me, mi prese il viso tra le mani e mi lasciò un dolce bacio sulla fronte. "Ti voglio bene, piccola mia." sussurrò sorridendomi "Ora corri, o ti prenderanno!" continuò, spintonandomi.
Pochi istanti dopo, due uomini con delle strane armature argento la presero per le braccia e stavano iniziando a trascinarla via, quando un terzo uomo afferrò anche me e mi tenne lontana, trattenendomi. "Aranel!" gridò mia madre, dimenandosi "No! Lasciate la mia bambina, lasciatela!!"
"No!! Mamma!!" strillai, protendendo una mano verso di lei, nel vano tentativo di raggiungerla. "Mammaaa!!"
Cercai di divincolarmi, ma era tutto inutile: io ero semplicemente una piccola bambina e colui che mi stava trattenendo era un uomo forte e deciso. Non c'era proprio confronto.
Lei continuava a contorcersi per liberarsi, ma non ce la faceva. "Aranel! Aranel! Lasciatela!!" gridò lei, in preda al panico e alla disperazione.
"Mammaaaaa!!!" strillai, singhiozzando "Ti prego... mamma, ti prego non lasciarmi!!", anche lei cercava di dimenarsi, senza successo.
La vidi abbassare il viso per un attimo, per poi alzarlo e guardarmi negli occhi. "Mi dispiace tanto, tesoro! Io... io ti voglio bene!", disse lei urlando per farsi sentire.
"Mammaaa!! No no no!", un uomo le premette un fazzoletto sulla bocca e la osservai mentre non tentava più minimamente di liberarsi e corrermi incontro. Guardai gli uomini mentre la caricavano su un cavallo, ma quello che mi stava trattenendo non accennava a muoversi.
"Capitano! Cosa faccio con la bambina?!" domandò lui a quello che sembrava essere il capo: un ragazzo giovane, sulla trentina, che teneva elegantemente le mani dietro la schiena, come se quello a cui aveva appena assistito non lo avesse turbato per niente.
I suoi capelli castani erano tagliati corti, in un comune taglio militare, ma io ancora non lo sapevo, e lasciavano intravedere le orecchie tonde.

Aranel e la Guerra delle ProvinceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora