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Quando quella mattina mi svegliai non trovai nessuno al mio fianco. Aprii piano gli occhi, guardandomi intorno constatando che ero sola in quella stanza. Subito mi tornarono in mente gli avvenimenti della sera prima, e non potei fare a meno di sentire un dolore acuto al petto.

Avevo ucciso una persona, e poco dopo avevo anche ferito Justin.

Mi alzai meccanicamente dal letto, avanzando a passi lenti fino alla porta della camera. La aprii sbirciando fuori, ma nella casa regnava il silenzio. Camminai piano per evitare di svegliare qualcuno dei ragazzi, ammesso che non fossero già usciti, visto che non sapevo neanche che ore fossero.

Non conoscevo benissimo quella casa, molte delle stanze dietro le porte chiuse erano a me sconosciute, per cui mi limitai ad attraversare il lungo corridoio rimanendo in silenzio. Mi fermai solo quando sentii una voce che conoscevo bene dall'altra parte del muro.

-Lo so Chaz, ma sono preoccupato per lei, per noi- disse con voce agitata.
Seguì il silenzio, segno che stava aspettando la risposta dal telefono dell'amico.
Mi morsi il labbro indecisa sul da farsi, temendo di disturbarlo. Rimasi in piedi dietro alla porta, con l'intenzione di aspettare la fine di quella conversazione.
-Lo spero. Non so davvero come farei senza di lei, probabilmente non proverei neanche a continuare a vivere- rispose con voce bassa, nella quale riconobbi una nota di dolore.

Non ebbi neanche il tempo di realizzare che la porta si aprì, e mi ritrovai davanti Justin che sembrava piuttosto sorpreso di trovarmi lì. Feci un passo indietro con la paura che mi avrebbe punito per aver origliato la conversazione, invece si spostò di lato facendomi cenno di entrare. Presi un lungo respiro, prima di varcare la soglia e ritrovarmi in un grande studio, con una scrivania in legno scuro, una libreria enorme e un divano in velluto rosso davanti al camino spento.

Mi guardai intorno affascinata, fino a quando non sentii una mano sfiorarmi la spalla.
Arretrai impaurita guardando Justin accigliarsi.

-Perché fai così? Lo sai che non ti farò del male- mormorò avvicinandosi, facendomi indietreggiare di rimando.
Si prese la testa tra le mani, respirando velocemente come se stesse cercando di mantenere il controllo.

Sobbalzai quando sbattei la schiena contro il muro, mi sentivo soffocare, mi sentivo in trappola. C'era una parte di me che mi urlava di smetterla, di avvicinarmi a lui e abbracciarlo, sfogarmi, dirgli che non lo avrei mai lasciato, ma era come se il mio corpo non reagisse ai comandi.
-Ti prego Ellen, guardami. Sono io, ti prego- insistette avvicinandosi e prendendo le mie mani nelle sue. Cominciai a piangere, cercando in tutti i modi di spingerlo via. Più passava tempo, più lo vedevo incupirsi, i suoi occhi si facevano lucidi, il respiro accelerava.
Dopo qualche minuto mi lasciò andare, e sospirai di sollievo.

Si diresse verso un piccolo mobile, aprì il cassetto tirando fuori un sacchetto con della polverina bianca, che svuotò con attenzione sulla superficie liscia della scrivania prima di avvicinarsi lentamente alla sostanza.
Sbarrai gli occhi quando capii ciò che volesse fare, e senza pensarci mi fiondai su di lui spingendolo lontano da tutto quello.

Senza neanche rendermene conto lo abbracciai iniziando a piangere, mente lui mi accarezzava i capelli, per poi far scendere le sue mani lungo la mia schiena.

Aspettai che i battiti del mio cuore tornassero regolari prima di allontanarmi per guardarlo negli occhi -Non lo devi fare, non ci devi neanche pensare!- urlai indicando la droga sulla scrivania.
Sospirò iniziando a ridere, mandandomi in confusione. Perché rideva? Io non ci trovavo nulla di divertente in quella situazione.
-Si può sapere perché diavolo stai ridendo?- sbottai dopo alcuni minuti di silenzio, rotto dal suono della sua risata, un suono che in un'altra circostanza mi avrebbe contagiato, un suono che avevo sempre amato.
Tornò serio riportando la sua attenzione su di me -Mi hai parlato- disse sorridendo nuovamente, gli occhi illuminati come quelli di un bambino.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 24, 2014 ⏰

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