Aprile 10, 2014 [pt.2]

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Ho dovuto interrompere dopo essermi accorto di star divagando. Ma ciò che è scritto, è scritto. E sai come la penso a riguardo: non rinnego nulla, né voglio cancellarlo.
Ciò che è successo, son state quattro chiacchiere, dopo aver fatto l'amore, sdraiati sul suo divano, davanti alla finestra spalancata. Ci avranno sentiti di sicuro -ha detto- ma... sai che c'è? Non mi importa...
Mi ha offerto del caffè e qualche resto della pizza che aveva mangiato la sera prima. È stato bello non chiedersi nulla, non dirsi molto, se non cose banali, come se chiacchierassimo sempre troppo per farlo anche in quel momento. Mi ha baciato il petto, chiedendomi se poteva permettersi di chiedermi quando ci saremmo rivisti. Uneke è per lui di passaggio, dal momento che vive a Solelka. Gli ho detto che ci saremmo tenuti in contatto. Non ha fatto troppe domande.

Al ritorno, tutto ha iniziato a farsi offuscato. Ho avuto delle sensazioni simili solo quando, anni fa, mi sono ubriacato tanto da non ricordare nemmeno chi fossi – e in quel momento, non mi dispiaceva neanche poi così tanto...
Son salito in casa, ritrovando Kaleb seduto su una poltrona con qualcosa fra le mani.
Ho sentito il sangue arrivare al cervello quando mi sono accorto che, invece di un libro, come mi era sembrato, era la mia agenda che teneva spavaldo e con quel mezzo sorrisetto. Mi ha chiesto se, fra il gettarla nel fuoco e il gettar lui, non avessi scelto quel mucchio di robaccia.
Nessuno sa le urla che gli ho lanciato contro, i colpi sul suo petto, mentre continuava a gridare, gettando l'agendina per terra, scaraventandovi foto, cartaccia e stropicciandovi i fogli. Capivo che non doveva nemmeno averla toccata perché, approfittando di quell'occasione, aveva gettato un'occhiataccia quanto più rapida possibile per sbirciarvi dentro. Mi son chinato, e l'ho sentito tirarmi indietro per i fianchi. Il suo viso, adesso, era cambiato. Ho pensato subito che fosse deluso del fatto che fosse stato messo al secondo piano da un mucchietto di carta scarabocchiata. E invece, i suoi occhi, mi hanno urlato contro di dirgli immediatamente con chi fossi stato.
Ho negato tutto, dandogli dello stupido e del folle.
Mi ha voltato con forza, tirando su la camicia, prendendomi per il petto e trascinandomi, ad una spanna da terra. Urlandomi di guardare la mia schiena di fronte allo specchio, ha domandato di chi fossero i segni di quelle unghie sui miei fianchi.
Ho negato tutto. Anche l'ovvio. Ha urlato e iniziato a cercare di togliermi l'agenda dalle mani. L'ho lanciata lontano, e mi son messa fra loro due, tenendo Kaleb lontano da me, con le braccia che tremavano violentemente. Mi ha spinto per terra, e quel dolore sul fondoschiena ancora infastidito, ha acutito tutto il mio nervosismo, facendomi scoppiare in lacrime.
Ha solo urlato di star uscendo via, seppur stesse cominciando a piovere. Mi è sembrato di avere un deja-vù. Prima di andarsene, ha anche staccato il generatore di corrente.
Solo in quel momento, quando mi sono alzato in cerca della torcia, ho trovato una lettera, messa fuori posto, che chissà quando avevo dimenticato di inviarti.

È datata aprile 8, 2014. Ma non ricordo di averla mai scritta, né di aver avuto una discussione simile con Kaleb. Non ricordo di nessun amico di cui parlo, né di aver litigato. Eppure, ho scritto quelle cose di mio pugno...

Scusa, ma ho bisogno di respirare.

W.B.

W. B., Letters from Nowhere [🌈LGBT+ STORY]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora