Puck

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La sveglia suonò alle 7 e io prontamente la spensi, già ben sveglia da ore.

La domenica era trascorsa troppo velocemente.

 Mi ero svegliata tardi ed ero scesa per la colazione. La scena che mi si era presentata davanti era più o meno la stessa della sera prima: Mia madre mi aveva guardata, aveva emesso una specie di “sgrunt” misto ad uno sbuffo, e si era rimessa a pulire il piano cottura. Mio padre mi aveva guardata scuotendo impercettibilmente la testa e io avevo afferrato una mela al volo ed ero corsa su per le scale nella mia camera.

Avevo passato la mattinata messaggiando con Rachel e leggendo, e a pranzo ero scesa a mangiare. Inutile dirlo: stesso scenario.

 Ora: mia madre ha un bel carattere: è aperta e socievole, quasi sempre comprensiva e gentile, ma quando qualcosa non le va giù è capace di rimanere in silenzio per giorni, come quella volta che mio padre comprò quell’orribile poltrona senza consultarla. Silenzio di tomba per una settimana

“Mi chiedo quando le passerà” pensai tornando su per le scale dopo il pranzo.

 Il pomeriggio era trascorso velocemente, ed io ero stata impegnata a scegliere con molta cura i vestiti per il giorno dopo e ad accertarmi che tutto fosse perfetto. La sera avevo un nodo allo stomaco dovuto all’ansia del primo giorno di scuola ed ero andata a dormire presto con solo un pezzo di pane nello stomaco.

 Mi alzai dal letto e andai in bagno.

 Ero consapevole che la mia classe sociale all’interno della scuola sarebbe stata decisa quel giorno, e avrei dovuto portarmela dietro per anni. L’ansia era troppa e mi stringeva lo stomaco.

Come era prevedibile, per colazione non riuscii ad ingoiare nulla se non una fetta biscottata.

 Sapevo cosa fare, era semplice: Dovevo conoscere Puck e rendermi simpatica, e di sicuro sarei stata nel suo gruppo.

 “Nulla di più facile” dissi ironica a me stessa.

 Finii di vestirmi e sistemarmi i capelli e mi guardai allo specchio prendendo un respiro.

C’era da dire che avevo fatto proprio un buon lavoro.

 I capelli erano perfetti con il mio nuovo modo di vestire e mi incorniciavano il viso in un caschetto scompigliato.

Avevo una canotta nera, non attillata, che arrivava sopra il mio ombelico, strappata nella parte inferiore, e una gonna lunga, a sfumature bianche e nere, che mi arriva ai piedi, nascondendo alla vita le scarpe nere e borchiate.

L’orecchino appeso al mio orecchio destro si univa alla collana, e avevo anche trovato un finto piercing da mettere al naso, in attesa di fare quello vero. Occhiali da sole tondi, scuri e smalto nero sulle unghie.

 Era esattamente questo che mi ero immaginata, e mi piaceva. Avevo chiuso con le gonnelline da ragazzina delle medie, le camicette dai colori pastello e le giacche chiare ed avevo aperto la porta a borchie e giacche di pelle. Ora ero la vera Quinn.

In qualche modo (ancora ora non riesco a spiegarmelo) mi sentivo come se la vera Quinn fosse sempre stata così; era solo rimasta nascosta sotto strati di vestiti e trucchi dai colori chiari e da bambini. Mi sentivo, per la prima volta, veramente io, ed era una bellissima sensazione.

Non dovevo più fingere di essere quella che non ero, ora potevo essere la ragazza che avevo sempre sognato di essere.

In quel momento, davanti allo specchio, mi erano tornati alla mente tutti i vecchi ricordi, le ragazze a scuola che mi chiamavano sfigata e mi guardavano dall’alto in basso, I ragazzi che mi ridevano dietro e mi sfottevano. Tutti che mi insultavano.

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