Skanks

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Ogni volta che avevo una conversazione con Artie, finivo sempre per continuare a pensarci per il resto della settimana.

Aveva ragione, non potevo certo negarlo, ma ero arrabbiata per quello che mi aveva detto e per come mi aveva trattata.

La faccenda, in ogni caso, non riguardava lui. Non aveva nessun diritto di intromettersi e dirmi che stavo sbagliando.

Ad interrompere i miei pensieri fu la sveglia, che suonò puntuale e che mi costrinse ad alzarmi e ad affrontare quella giornata. Era lunedì, il giorno dell’incontro con gli Skanks.

Indossai dei pantaloni neri e una camicia a quadri rossa legata alla vita, una maglietta e un giacchetto di pelle nero senza maniche. Misi un cappello nero in testa e presi lo zaino.

Guardai l’orologio.

Ero in orario.

Dopo la punizione mia mamma aveva completamente dato di matto: ero tornata a casa ore dopo senza avvertire, e  lei, appena mi aveva visto entrare in casa, era corsa ad abbracciarmi chiamando mio padre.

“Russel, vieni! Grazie al cielo è tornata!”

“Mamma, per favore…” avevo detto cercando di allentare la presa delle sue braccia che ancora mi stringevano.

Di colpo si ricordò di essere arrabbiata e la sua espressione cambiò immediatamente.

“Dov’eri? Ho quasi chiamato la polizia, sono passate due ore!” disse, marcando la parola due.

“Ero in punizione mamma” risposi tranquillamente

Già il fatto che fossi in ritardo di due ore non giocava a mio favore, in più, quando pronunciai la parola “punizione” mia madre emise un suono strozzato. Mai era stato commesso un disonore così grande nella famiglia Fabray.

“In punizione?! Per cosa?” Disse, mentre il suo viso assumeva una sfumatura violacea e la sua voce si faceva più strozzata ad ogni parola.

“Troppi ritardi” Dissi, porgendole il foglio da firmare per giustificare tutte le volte che non mi ero presentata.

“Ritardi?” Spalancò gli occhi

“Sì, ritardi mamma, firmeresti?” dissi spazientita, muovendo il foglio che avevo ancora in mano davanti ai suoi occhi.

Mi strappò il foglio dalle mani e mi indicò le scale, mentre il colore del suo viso passava da viola a rosso intenso.

Salii le scale, con il suo sguardo e quello di mio padre (che per tutto il tempo era rimasto in disparte a guardare la scena) puntati addosso.

Da quella spiacevole conversazione si era deciso che sarei uscita di casa non dopo le sette e quarantacinque, e che sarei andata di filata a scuola. Mia mamma aveva chiamato la scuola chiedendo di essere avvertita ad ogni mio ritardo o assenza ingiustificata. Ero incastrata.

Dunque, alle otto e cinque mi trovavo già davanti alla scuola, in attesa del suono della campanella. Vidi Puck che entrava a scuola. Mi fece un occhiolino che prontamente ricambiai con un cenno della testa.

Glee- Sweet sixteenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora