Capitolo 26: LUI

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Ci ritroviamo chiusi nel grande magazzino. È tutto buio, ma riesco a distinguere almeno una ventina di scaffali e tante scatole impilate. Un po’ di luce filtra da tre enormi finestre poste in alto sulla parete opposta alla porta e illumina la sue figura. È davvero bella. “Mi spieghi cosa è successo?” le domando, “Cosa vuoi che sia successo? Siamo rimasti chiusi qui dentro per colpa tua!” risponde accusandomi. “Perché mai sarebbe colpa mia??? E comunque non mi riferivo a quello scema” dico avvicinandomi e avvolgendola tra le mie braccia. “Mi riferivo a tutto quello che hai detto”, non posso vedere il suo viso tingersi di rosso, ma percepisco il suo imbarazzo: “Scusami, è stato solo un piccolo sfogo, mi sono troppo lasciata andare e ho perso il controllo”, “Non devi scusarti di niente, sono io che devo ringraziarti. Erano anni che non mi sentivo così.”. La osservo seguendo attentamente ogni suo movimento, “Smettila di guardarmi con quegli occhi da pesce lesso e cerca un modo per uscire di qui!”, “Non è colpa mia se non riesco a staccarti gli occhi di dosso”. Inaspettatamente si volta verso di me e mi sorride, spiazzandomi e sparendo, dopo qualche istante, tra gli scaffali. “Dove stai andando?” urlo rincorrendola. “Cercami, vediamo se riesci a prendermi” sento la sua voce in lontananza. “Vieni qui, lo sai che tanto ti trovo”, dico ridendo di gusto. Inizio così a rincorrerla sentendo i suoi passi, seguendo la dolce scia del suo profumo e scorgendola di tanto in tanto tra gli scaffali. La vedo poggiarsi su uno di essi, aspettandomi con ansia, ma non appena le sono vicino, scappa di nuovo. Finalmente la raggiungo e la vedo ferma vicino ad una scala. “Bravo mi hai trovata”, “E non mi merito una ricompensa?”, dico fremendo e vedendola avvicinarsi a me e arrivare così vicino al mio viso da sentire il suo respiro. “No”, mi dice infine, ridendo. “Dopo… Prima usciamo di qui”.
Mi ritrovo così, con la scala in mano, ad avviarmi verso l’unica grande finestra situata un po’ più in basso rispetto alle altre: l’unica via di uscita. Posiziono la scala in direzione della finestra e osservo Monica salirci su per cercare di arrivarci. “Tieni ben stretta la scala e non farmi cadere!”, mi grida contro. “Si certo. E fai pure con calma… Mentre io mi godo la vista”, dico ridendo. “Ma sei proprio uno str…”, non fa in tempo a finire la frase che scivola e cade. L’afferro prontamente e la ritrovo tra mie braccia. “Non pensavo fossi così pesante!”, la derido. “Smettila scemo, siamo destinati a rimanere qui tutta la notte” dice, ma la sua espressione mi sembra tutt'altro che delusa o preoccupata. “Allora sarà meglio che ci inventiamo qualcosa da fare” dico ammiccando. “Non farti strane idee” dice sedendosi per terra ed io mi siedo accanto a lei sbuffando. Di lì a poco ci ritroviamo a parlare del più e del meno, dei nostri cibi preferiti, di quello che ci piace fare nel tempo libero e dei nostri interessi. “Posso farti una domanda, senza ricevere una delle tue solite risposte?”, “Spara, ma non ti prometto nulla”. “Come ha fatto una come te a finire in un locale come quello?”, “Che vuoi dire?”. “Non sembri vuota e superficiale, potevi ambire a qualcosa di meglio”, “È una storia lunga”, “Abbiamo tutta la notte”.
Lei comincia a raccontare: “Avevo 17 anni, a breve ne avrei compiuti 18 e i miei genitori avevano deciso di uscire una domenica e restare fuori poi tutto il giorno per un pic-nic romantico. Erano i migliori nel loro lavoro: due dottori formidabili. Forse per questo erano dei pessimi attori ed io avevo perfettamente capito che sarebbero usciti per comprare il regalo del mio compleanno. Ma feci finta di non sapere nulla e dissi che proprio quella domenica avrei voluto pranzare dalla nonna. Fu l’ultimo giorno che li vidi.” Trattiene a fatica un singhiozzo, poi ricomincia: “Avevamo appena iniziato a mangiare quando il telefono di mia nonna squillò e da quel momento, la mia vita iniziò la sua discesa. Un brutto incidente frontale…”, ad un tratto scoppia in lacrime e mi sento del tutto inutile. Così mi avvicino a lei e la stringo forte a me, per farle sentire tutta la mia compassione, la mia vicinanza e il sostegno per una situazione che conoscevo fin troppo bene. “Dicevano che fosse stata colpa di una donna, una stupida irresponsabile, ubriaca, che a tutta velocità li aveva travolti. Anche lei era morta, ma se fosse stata in vita, non sarei mai riuscita a perdonarle una cosa simile. Per colpa sua ho perso tutto, sono rimasta sola al mondo.” un pianto disperato prende il sopravvento ed io cerco di calmarla mentre forti singhiozzi scuotono il suo corpo. Ma in questo preciso istante smetto di ascoltare e comincio ad analizzare le sue parole… Non può essere! Era Ambra! E quei signori… Non ci posso credere… Erano i suoi genitori. Un dubbio atroce spezza il mio cuore, non so se dirle la verità o tacere. Non voglio perderla ora che l’ho appena trovata e non voglio ferirla ulteriormente. “Scusa, mi dispiace ho rovinato la serata. Non volevo creare questa triste atmosfera.”, dice asciugandosi le lacrime, tirando su con il naso e facendomi notare tutto il suo trucco ormai colato. “Non ti preoccupare, fa sempre bene parlarne. Vieni qui, che sembri un panda con questi occhi!”, le dico strappandole un sorriso e passandole una mano sul viso, le tolgo la matita in eccesso. “Sei bellissima” dico in un sussurro. I nostri visi sono sempre più vicini e i nostri respiri si mescolano, mentre le nostre labbra si sfiorano in un dolce bacio. Poi lei poggia la testa sul mio petto ancora nudo e mi accarezza con piccoli tocchi che mi provocano i brividi lungo tutta la schiena, mentre le nostre gambe si intrecciano, come i nostri cuori. Rimaniamo così per un tempo che sembra infinito, fino a che ci addormentiamo entrambi.

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