Quella sera di dicembre, per Lisa, era iniziata come tante altre.
Osservava le gocce di pioggia battere sul vetro della finestra di camera sua.
Alzò il volume del suo MP3 per coprire le urla.
I suoi genitori stavano di nuovo litigando.
Sbuffò.
Era stanca di quella situazione, in cui si trovava da troppo tempo.
Sentì, nonostante la voce di Kurt Cobain che risuonava attraverso le cuffiette, il rumore di qualcosa che va in frantumi, ma non era il suo cuore, stavolta era caduta realmente qualcosa. O l'avevano lanciata.
Tanto alla fine arrivavano sempre a mettersi le mani addosso.
Lisa pensò che sta volta ci sarebbe potuto scappare il morto talmente che urlavano e schiamazzavano.
Aveva i brividi lungo tutto il corpo, ma non se ne accorse subito.
Muoveva con la lingua il pearcing al labbro. Era una cosa che faceva senza pensarci.
Indossò una felpa più pesante sopra il maglione e poi, di soppiatto, scese le scale e uscì fuori indisturbata.
I suoi genitori erano troppo occupati a urlarsi contro per accorgersi che era uscita.
Scese i tre scalini che separavano il portico dal giardino privo di fiori, poi attraversò la strada senza controllare se ci fossero macchine, tanto non le sarebbe dispiaciuto morire.
La pioggia stava diminuendo.
Quando ebbe attraversato, sfrecciò poco distante da lei una macchina bianca.
I ragazzi della sua età uscivano con gli amici, andavano in città , a divertirsi.
Lei non aveva amici. Neanche uno.
Non si sentiva sola, sapeva di esserlo.
Pensava che non gli servissero gli amici, e neanche uno stupido fidanzato. Pensava che non le servisse nessuno. Era convinta di potersela cavare da sola, come aveva sempre fatto.
Era diretta al solito posto; il parco abbandonato.
A lei piaceva quel posto proprio perché non ci andava mai nessuno.
Smise definitivamente di piovere.
Non si accorse neanche di essere arrivata. Si sedette sulla solita panchina un po' umidiccia e accese una sigaretta.
Avrebbe preferito fumarsi un po' erba per calmare i nervi, ma il tipo da cui la comprava era partito, e non sapeva quando sarebbe tornato.
Non aveva voglia di cercarne un'altro, perciò avrebbe aspettato il suo ritorno.
Tolse le cuffiette, ora che poteva averlo, voleva un po' di sisenzio.
Strinse le gambe al petto circondandole con le braccia e ci appoggiò la testa. I lunghi capelli corvini la ricoprivano tutta.
Iniziò a piangere silenziosamente, fino a quando udì dei passi.
Non alzò la testa.
I passi si bloccarono proprio davanti a lei.
Era un ragazzo alto, con una cresta nera, il septum al naso e gli occhi color rame. Occhi tristi quanto quelli di Lisa.
Lui guardò con sufficienza quell'ammasso di capelli neri che nascondevano la ragazzina.
Aveva uno spinello fra le dita della mano destra e la sinistra la teneva nascosta nella tasca dei jeans neri.
Il ragazzo si portò la canna alla bocca e aspirò avidamente, poi continuò a camminare, inoltrandosi nel buio di quel parco giochi degradato.
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DESTROYED » Giorgio Ferrario
Lãng mạnUna bugia. (La storia è in pausa per il momento)