Tredici

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Oggi è venerdì 13 e me ne rendo conto solo adesso.

Non sono un tipo superstizioso, eppure stavolta sento che delle energie negative si stanno allineando per farmi cadere in una grossa e profonda buca.

L'uomo che il signor Venerdì 13 ha assoldato per farci fuori è un lucano col baffo alla Salvador Dalí e vestito in lutto per la morte del surrealismo.
Il signor Mario ha paura persino di respirare davanti a lui; il fatto che lo chiami per nome, Tino, mi fa pensare che si conoscano molto bene.
Di tanto in tanto Mario guarda la sua macchia di pipì che si espande sul sedile fino ad avvicinarsi alla gamba del nostro aguzzino.
Dice: «Il ragazzo ha ragione, cerchiamo di risolverla in maniera pacifica».
«Voglio incontrare Anna e sentirmelo dire in faccia. Sono soltanto indeciso se ammazzarvi prima o dopo aver parlato con lei.»
In realtà cambia poco: saremo morti in entrambi i casi. Per giunta credo che sia un po' difficile che mia nonna si scongeli e cominci a chiacchierare dal fondo del freezer.

«Scusate se mi intrometto» dico io, «ma posso sapere cosa vuole da mia nonna?»
Non che serva a qualcosa, ma non mi piace sentirmi escluso dalle conversazioni.
«Anna mi ha sedotto e poi abbandonato per questo verme!»
«Attento a come parli!» ribatte il signor Mario reagendo di scatto.
Tino il beccamorto lo ammansisce spingendo più forte la canna del silenziatore contro il fianco. Io invece devo rassegnarmi e accettare una nuova immagine di mia nonna completamente diversa dalla tenera e rotondetta signora di terza età sforna-biscotti a cui ero abituato. Era in realtà una terribile mangiatrice di uomini: un'ape operosa che amava posarsi di fiore in fiore, o vista l'età, di crisantemo in crisantemo.

Dopo averla stecchita mi sento capace di compiere qualunque cosa pur di salvarmi. Fino a un paio di giorni fa la roba più ripugnante che riuscivo a fare era ruttare in endecasillabi; adesso, invece, potrei uccidere un uomo a mani nude – e con la stessa spensieratezza gioiosa del ballerino nello spot della TIM  – se fossi sicuro di passarla liscia.

La mia riflessione è interrotta dalla vista del controllore.
Si avvicina a noi, sorride e mi chiede: «Va meglio?».
Rispondo: «Mia nonna diceva: 'Quando si è in buona compagnia ogni male scappa via'.»
«Saggia donna, anche se mi sembra più una frase scopiazzata male da Forrest Gump. Comunque non volevo interrompere la vostra conversazione, però mi sono reso conto di aver controllato il vostro biglietto...» e indica me e Mario, «ma non il suo, signore», dice rivolgendosi al nostro aguzzino.
Tino nasconde leggermente la pistola e comincia a frugare nella tasca interna della giacca.
È distratto: non è più focalizzato su di noi.

Allora eccomi qui con un'idea estemporanea.
Afferro due pastiglie di Multicentrum (o dio solo sa cosa), le sbriciolo tra le mani e le annego nella sua birra.

«Mi spiace, credo di aver perso il biglietto» dice mentre finge di cercare ancora.
«Ah, malissimo. Dovrei farle la multa» risponde il controllore. Non riesce a nascondere un sorriso compiaciuto.
«Non credo proprio» ribatte lui con fare minaccioso.

Fatto sta che adesso siamo in un anomalo stallo alla messicana: il beccamorto ha la pistola puntata contro il signor Mario; io ho dalla mia parte le pastiglie sciolte nella sua birra in attesa di un bel sorso; poi c'è il controllore con una multa salata e infine il signor Mario, con il suo piscio che sta per strabordare sul sedile e – si spera – sui pantaloni del beccamorto.

«Pago io» dice il signor Mario, forse per tentare di riscattare la propria vita al prezzo di un biglietto Milano-Genova.

«Non sono un pezzente come voi» ribatte Tino il beccamorto.
Tira fuori una mazzetta in tagli da duecento euro, sfila una banconota e dice al macchinista: «Tenga il resto», che per la cronaca è poco meno di sette euro.
Tirchio, come tutti gli anziani.

Il controllore emette il biglietto e la ricevuta della multa, augura a tutti buon viaggio e ci abbandona al nostro destino tutt'altro che scontato.
«Ricordi quando andammo in barca a pescare ad Ancona?» chiede l'uomo a Mario.
«Ormai quasi trent'anni fa. Tino, so dove vuoi andare a parare: al nostro discorso sulla lealtà.»
Il beccamorto ora appare visibilmente agitato. Sbotta e dice: «Mi hai fregato per ben due volte. Mi hai rubato la donna che amavo e la parte che mi spetta!»
«Non è come credi.»
«Ehi, giovanotto senti bene» dice rivolgendosi a me, «se un giorno la tua ragazza dovesse fuggire con il tuo migliore amico portandosi via la parte di torta che ti spetta, cosa faresti?»
«Dipende»
«Da cosa?»
«Dalla torta. Quella con la frutta la trovo odiosa» rispondo io.
«E se fosse farcita di diamanti purissimi?»
«Direi che... aspetta, quali diamanti?»
«Non metterlo in mezzo. È solo un bamboccione» interrompe il signor Mario.

La voce del treno annuncia l'arrivo a Genova Piazza Principe tra cinque minuti. Il beccamorto afferra il bicchiere di birra e beve tutto d'un fiato.
Ci siamo: il veleno entrerà rapidamente nel suo gracile organismo da anziano.

Dico: «Ehi, sa che c'è, vecchio stronzone? Noi adesso scenderemo da questo treno e lei invece resterà qui a farsi una pennichella fino alla centrale di polizia, se è fortunato. Speri solo di non morire, nel frattempo.»
Mario strabuzza gli occhi, mi guarda sorpreso.
«Le piace la birra al veleno? Ne vuole un'altra?» continuo.
L'uomo è sorpreso. Mi guarda, poi si gira verso Mario.
«Che avete fatto?» chiede.
«Su, coraggio. Si faccia ammazzare» dico sentendomi un po' Clint Eastwood nei panni dell'ispettore Callaghan.

Mario scuote la testa. Non sembra essere convinto della mia drastica soluzione.

All'improvviso il beccamorto diventa paonazzo, comincia a rantolare mentre con una mano cerca di afferrare il vuoto attorno a sé.
Mario invece continua a scuotere il capo in segno di disappunto.
L'uomo dice: «Aiutami, giovanotto. Questo vecchio stronzone sta morendo».

Accade però una cosa che non riesco a capire.
L'uomo inizia a ridere senza controllo.
Ride così tanto da strozzarsi con la sua stessa saliva.
Un colpo di tosse bronchitica lo rimette in sesto, poi mi guarda e dice: «Credevi veramente di farmi fuori con un blando veleno? Non sai niente dei nostri vecchi tempi.»
«Quali vecchi tempi?» chiedo. Sono confuso.
«Lavoravamo insieme» spiega Mario. «Facevamo parte di un gruppo addestrato a tutto, e per essere immuni ai veleni più diffusi ne assumevamo ogni giorno delle piccole dosi.
«Mitridatismo tattico» dico io.
«Anche tua nonna lo praticava perché faceva parte del gruppo, e Tino continua ad assumerle perché è un agente ancora operativo. Ma adesso... ne ho abbastanza» dice, e con uno scatto di muscoli dell'avambraccio afferra la pistola dal lato del silenziatore, la orienta sulla pancia del beccamorto e spara tre colpi sordi; si alza e lascia l'uomo a fissare incredulo la chiazza di sangue mentre si espande rapidamente dalla pancia, a malapena distinguibile attraverso il nero della camicia.
Mario mi indica la porta d'uscita a sinistra della carrozza. Ci allontaniamo dal beccamorto sbudellato cercando di non destare sospetti tra i passeggeri, ma è proprio quando stiamo per mettere piede sulla banchina della stazione che comincio a pensare: perché nonna continuava ad assumere veleno?
Probabilmente, perché era ancora un agente operativo.

Era un bravo vicino. Salutava sempreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora