Capitolo 10 - Preoccupazioni e dubbi

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Era quasi l'alba e Jasmine non vide il motivo di tornare a letto, non sarebbe riuscita a riprendere sonno. Si mise i vestiti del giorno prima, poi lasciò una nota ai genitori sul tavolo della cucina, dicendogli che era uscita a portare fuori Finn e che sarebbe tornata presto. Una volta fuori si prese qualche minuto per apprezzare la fresca aria del mattino. I primi raggi del sole illuminavano già tutto e gli uccelli iniziavano a cinguettare sui rami.

Mise le mani in tasca e fu in quel momento che venne sopraffatta dalla paura. Che fine aveva fatto la sua collana? L'aveva messa in tasca, ne era sicura! Entrò di nuovo in casa e la cercò ovunque, senza risultati. Capì che probabilmente l'aveva persa il giorno prima, mentre scappava. Riuscì e con Finn si affrettò a rifare la strada che portava alla spiaggetta, ma non trovò nulla. E se la polizia l'avesse trovata? Era comunque un oggetto che indicava il suo passaggio in quella zona, se fossero riusciti a risalire a lei. Cercò più volte sul terreno e sotto i cespugli ma fu tutto vano. "Merda! Dovevo perdere proprio quella?! E proprio ieri?"

Sull'orlo di una crisi di panico, arrivò alla spiaggetta. Nulla indicava che lì fosse accaduto qualcosa nelle ore precedenti. Non c'erano più i rifiuti, le tende e le macchie di sangue sulla sabbia. Avevano ripulito tutto alla perfezione in poco tempo. Jasmine pensò che con tutto quello che succedeva lì ogni estate, dovevano essere abituati oramai.

Convinta che non avrebbe più ritrovato la sua collana se ne tornò a casa. Prima di entrare fece un respiro profondo, indossando la sua migliore maschera da "tutto va bene". I suoi genitori erano svegli e in cucina, intenti a fare colazione. Si sedette con loro a mangiare i pancake che Anna aveva preparato e fecero una chiacchierata sulle persone che avevano conosciuto fino ad allora.

Quando entrambi i suoi genitori andarono a lavoro, Jasmine tornò a preoccuparsi per la sua collana. Aveva promesso a sua madre che non avrebbe causato problemi e lo aveva promesso anche a se stessa. Ma che cosa avrebbe potuto fare?

Non trovando una soluzione, si decise a seguire il suo piccolo piano per dimostrare a Jason la sua buona fede. Ci teneva ad essere una buona vicina di casa con lui.

Insieme a Finn, come il giorno prima, andò in città con la bicicletta. Aveva ancora bisogno di una cosa.


Jason era a casa sua, nella stanza di sua madre. All'inizio era una camera da letto, ora era una specie di santuario dedicato a lei. Aveva messo il letto e la maggior parte dei mobili nella stanza degli ospiti, quasi mai utilizzata per quello scopo, da quel che si ricordava lui. Aveva riempito la camera di candele, che si preoccupava di tenere sempre accese, e al centro aveva messo un tavolo rotondo, coperto da una tovaglia azzurro chiaro ora praticamente grigia a causa dello sporco accumulatosi attraverso gli anni. Sopra il tavolo la testa e il maglione di sua madre e un medaglione con la foto di lei all'interno, ai piedi di esso i resti irriconoscibili di alcune delle sue prime vittime e quelli più recenti della ragazza che aveva ucciso sulla spiaggia.

Se ne stava lì, inginocchiato davanti a quella specie di altare improvvisato, col machete ancora sporco di sangue sul pavimento accanto a lui. Si sentiva stranamente confuso, non sapeva cosa pensare di quella ragazza appena trasferitasi. Jasmine aveva fino ad allora dimostrato di essere diversa dalle altre persone che aveva incontrato, e ucciso, ma solo perché non aveva fatto nulla che potesse disturbarlo. Sapeva di averla spaventata, lo aveva fatto di proposito, voleva vedere come avrebbe reagito. Si aspettava che scappasse, ma non solo quello. E poi lei non aveva chiesto aiuto a nessuno, non aveva detto nulla di lui neanche ai suoi genitori da quello che aveva capito e la sera le aveva mandato un biglietto, l'aveva salutato e, cosa che più di tutte lo aveva confuso, gli aveva sorriso.

Quasi non ricordava più l'ultima volta che qualcuno gli avesse sorriso. Quasi, perché di certo non avrebbe mai potuto dimenticare il sorriso dolce che sua madre gli rivolgeva. Lo rivedeva ogni volta che finiva di eliminare gli intrusi, e insieme a quello poteva ancora sentire la sua voce.

Quali erano le vere intenzioni della ragazza? Aveva cercato di non pensarci, di convincersi che non era importante, ma quella domanda continuava a tornargli in testa.

Era lì davanti a sua madre in quel momento per chiederle consiglio. Cosa doveva fare? Cosa voleva che lui facesse?

Non ricevendo nessuna risposta ed essendo stato lì a lungo, si alzò e se ne andò in camera sua, sedendosi sul suo letto, ormai troppo piccolo per lui. Prese dalla tasca la collana con la maschera e il biglietto, fissandoli intensamente come se avessero potuto dargli la risposta che cercava. Ma anche da loro ovviamente non arrivò nulla.

Andò nella camera degli ospiti, ora trasformata in una sorta di magazzino e aprì un portagioie di legno, completamente pieno di collane, bracciali ed anelli delle sue vittime. Teneva tutto quello che trovava addosso alle sue prede. Non i vestiti ovviamente, a meno che non fossero adatti a lui. In tutti quegli anni aveva raccolto un bel po' di roba, creando una specie di collezione. Mise tra gli altri i gingilli che indossavano le ragazze al lago, le uniche cose che indossavano in realtà. Stava per metterci anche la collana con la maschera, ma poi pensò che quella meritava un posto speciale, quindi chiuse la scatolina e la appoggiò sopra il coperchio insieme al biglietto.

Poi andò a recuperare il machete e il corpo della ragazza e attraverso una botola nel pavimento del corridoio arrivò nelle gallerie della miniera che si diramavano sotto quasi tutto il territorio forestale di Crystal Lake. Anche le gallerie erano piene di oggetti, armi e trappole, ma al momento era interessato alla fornace. Si liberava così dei cadaveri. Metteva da parte tutto quello che non si bruciava o che poteva essergli utile e poi li metteva sopra un tavolo accanto alla fornace. La accese e mentre aspettava che il calore aumentasse iniziò a fare a pezzi la giovane con una mannaia. Il terribile suono del metallo affilato prima sulla carne, poi sulle ossa e infine sul legno rimbombava per i cunicoli sotterranei. Anche se la maggior parte delle volte Jason arrivava al tavolo con un solo colpo netto.

Dopo aver fatto ciò che doveva uscì all'esterno per il suo solito giro di controllo.

Fu in quel momento che per un attimo gli balenò in mente l'immagine della lapide di sua madre, così seppe cosa doveva fare.

Doveva andare al cimitero.






Angolo Autrice:

Salve a tutti!

Come va?

Siamo arrivati al 10° capitolo della storia! Bisogna festeggiare! *stappa lo champagne*

Come vi avevo già detto il Jason di questa storia è un misto di quelli che si vedono nei vari film (ad esclusione di Jason X, ovviamente XD), così come l'intero territorio di Crystal Lake. Ho voluto mantenere la stanza dove Jason tiene la testa di sua madre, ma invece di farlo vivere in una baracca, ho scelto di farlo stare nel cottage vicino al campeggio dove vivevano lui e sua madre prima che tutto precipitasse. Un po' come fanno vedere nel remake, ma non mi sembrava giusto mettere la testa di sua madre in un buco nel muro del bagno. Del remake invece ho apprezzato l'idea della miniera sotterranea e ho voluto inserirla nella storia.

E se qualcuno si sta chiedendo che aspetto abbia questo Jason sotto la maschera e i vestiti, ho scelto quello del 7 film, ma col viso un po' più umano, rispetto a quello da zombie in decomposizione che vediamo nel film.

Ma allora, cosa ne pensate di questo capitolo? Non siate timidi, fatemelo sapere!

A presto!

Welcome to Crystal Lake (ITA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora