Daisy - Now

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Il passo di Elizabeth vi ha condotte ad uno spiazzo che neppure se ti avessero costretta - avevi espresso solennemente - avresti voluto testare con le tue scarpe di marca.

La scarsità di auto ti permette di comprendere che l'orario non è casuale: Beth non desidera essere notata, non vuole che alcuno sappia che s'è ritrovata a prestare delle preghiere odiose e morbose a qualche morto.

Cammina con velocità, si rinchiude nel cappottino verde di un tessuto leggero, afferrato poco prima di uscire dal suo armadietto, e supera persino la donna grassa assisa al di dietro di un ampio stand di fiori. 

Ti assicuri che lei non si volti, che il candore delle sue gote impaurite la conduca lontana dall'ipotesi che tu la stia seguendo. Detesti il trovarti in questo postaccio, tutto ciò che t'attraversa dispensa la tua arroganza. Incerta è la compassione che dovrebbe risiedere nel tuo corpo, sicuri i movimenti che ti introducono alla donna che dal grattarsi la scollatura, si rivolge a te con un sorrisino cafone. «Ciao, bella. Che ti serve?» sarebbe sconveniente presentarti ai piedi di una ragazza andata priva di decori. Manchi di già di rispetto, ma l'educazione non ti è nuova e «Un girasole, per favore.» inclini il capo, cerchi di ascoltarla, ma l'attenzione che possiedi viene attratta dall'aggeggio che squilla dati i messaggi continui che ricevi.

«Mi hai sentita?» sebbene il tono sia tranquillo, le parole si ripetono quasi con durezza nelle tue membra. La bocca della donna si inarca in una smorfia persuasiva e giocosa, i tuoi occhi, li stringi in fessure e «Può ripetersi?»

«Dicevo che non mi sembrano adatti i girasoli. Non se devi visitare una persona che non c'è più.» chiude la frase con fretta e si appoggia col fondoschiena al bancone. Ti sfida con lo sguardo vispo. «La persona in questione amava i girasoli.»

«I tulipani.»

«Scusi?» la interroghi con fare preoccupato. Il telefono, lo posi nella tasca della giacca leggera che indossi ed aggiusti con nonchalance alcune ciocche dei capelli curati.

«La persona in questione amava i tulipani.»

«Che ---»

«Credi di essere la prima? Invece, no. So dove andate, voi giovani che di mattina vi seguite a vicenda.» così dicendo, afferra dei fiori preparati e te li porge. Tulipani gialli. Fa cenno di non volere in cambio dei soldi, «Non mi costano chissà quanto tre tulipani gialli.» e tu li prendi con freddezza. Il tatto è irrigidito, percepisci ogni singolo pelo delle tue braccia da adesso. Brucia la sensazione, ti accorgi di una sensibilità inesperta che se ne va fiorendo nel tuo intestino e si ramifica, imperterrita. Ramificandosi, ramificandosi, arriva ai polmoni e li circonda con disprezzo; li attanaglia, ti soffoca. Scuoti il capo, non lo accetti, questo sentimento. Deglutisci. Cammini verso l'entrata del cimitero.

Il tuo ateismo ti impone di non tenderti verso un aldilà, ma cercheresti volentieri della pietà eterna per l'infatuante senso di colpa che, rimuginandoci, perviene insolente stritolando le tue misere cellule.

Cammini, stringi a te i fiori, vuoi andare via da questo posto. E mi senti, ascolti le mie prime flebili parole perforare il tuo udito. Lo sguardo che mi rivolgi è crudele. Se fossero coltelli, le tue occhiate, collasserei al terreno, aspettando la tua risoluzione come una persona disumana.

È la sbornia, che credi?, pare che tu mi stia dicendo. Il tuo incamminamento non è cedevole, persiste come sano, privo di colpe. Desisti dall'agguantare le mie accuse e pensi di procedere senza fratture.

Ma eccola, ecco che i tuoi occhi scuri incontrano la figura ricurva e piangente di Elizabeth ai piedi di una tomba grigiastra. E come adoreresti se il tempo venisse in contrasto con lo spegnimento vissuto da una delle tue migliori amiche. Sarebbe avvincente, poetico. Degno dei libri che leggi quando ti manca un'abitudine per riempire e gonfiare lo scorrere della tua vita.

Ti sistemi ad una distanza debita, accovacciata, e la ascolti pregare. Continua a recitare frasi di cui di rado hai sentito per davvero. I suoi arti sembra che tremino e tutto, ogni fattezza della Beth che hai conosciuto - finalmente te ne rendi conto - è a terra, disintegrata e ammonita.

La vedi che tira fuori dalla tasca dei pezzi di carta e che, alzandosi, cerca un posto in cui sistemarli. Lo trova - o così credi - e si inginocchia per scavare a mani nude. Le sue movenze appaiono disperate, i singhiozzi di tremenda agonia e poco impiega a sotterrare la carta dapprima raccolta dalla tasca del suo cappotto delicato.

Si solleva, ora è rincuorata, un sorriso percuote le labbra sottili che accentua con del trucco che non le dona e, regalando un ultimo segno della croce, corre via dalla tomba.

Respiri con certezza, compi un passetto, qualcuno in più, e dopo aver risposto a dei messaggi, ti accovacci accanto alla tomba, la quale è mancante di foto. La metteranno, non mi riguarda,  ti affermi e inizi a scavare lì dove ha agito Elizabeth.

Nemmeno un minuto, le mani sporche di terra, i tulipani gettati al di sopra del tumulo visibile, qualche bestemmia impropria e il cuore ti cade nello stomaco.

La tua inflessibilità viene nociuta dal ritrovare di ben tre le lettere. La gola è secca e termini per doverti reggere quando ne leggi le didascalie.

Per Carolina. Per la Morte.
A Carolina. Alla Morte.
Di Carolina. Della Morte.

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