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Mancavano 45 minuti. Tre quarti d'ora e l'aereo di Stefano sarebbe atterrato all'aeroporto Ciampino di Roma. Il telefono di Alice squillò un'ora dopo.
"Bimba" esordì Stefano che era solito chiamarla così. "sono arrivato, questa sera al nostro solito posto, mi raccomando non un minuto dopo le dieci. Ho aspettato fin troppo"
Alice si lasciò scappare un sorriso, pensò che anche a lei era sembrato di aver aspettato fin troppo; rispose che non avrebbe fatto tardi, mise giù e corse a prepararsi. Per la prima volta si impegnò, e non sapeva neanche perché ci teneva ad essere tanto bella. Le dieci arrivarono prima di quanto lei potesse immaginare. Dalla telefonata alle ore successive le era sembrato che il tempo volasse e d'un tratto si era ritrovata tra le braccia di Stefano senza neppure accorgersene. Non era cambiato di una virgola, solo i capelli, mori, li aveva rasati. Non si poteva dire lo stesso di Alice, che a parere di Stefano si era fatta ancora più bella, ma questo non glielo disse. Le disse, però, tutto quello che aveva fatto e visto. Londra le sembrava un posto magnifico da come ne parlava lui. Ma non si illuse troppo, Stefano avrebbe potuto parlare di spinaci con dei bambini e questi non avrebbero visto l'ora di rimpinzarsene. Parlarono ore e ore, seduti sulla loro panchina.
Alice guardava il cielo, pensava che nulla di più monotono e antico potesse esserci, eppure quella notte sembrava diverso.
"Ho un regalo per te" interruppe i suoi pensieri Stefano.
Prima che Alice potesse chiedere di cosa si trattava lui aveva tirato fuori da dietro la schiena un pacco dalla forma rettangolare, mal incartato. Ma non ci fece caso. Si chiese, però, dove l'avesse nascosto tutto quel tempo. Elaborò diverse spiegazioni per rispondersi a questa domanda, ma di nuovo Stefano interruppe i suoi pensieri; "Allora, lo apri o no?"
Alice lo aprì impacciata e il più rapidamente possibile, era curiosa di sapere cosa celasse quell'orribile involucro. Una scatola di cartone anonima le si presentò tristemente, non c'era nulla raffigurato o scritto che potesse farle capire cosa contenesse. Ma questo non fece altro che alimentare la sua curiosità, mentre Stefano accanto se la rideva beffardo. Alice apriva il suo regalo e lui incrociò le mani dietro la testa agganciandole tra di loro con le dita, sorrise e sollevò il sopracciglio destro come se volesse sbirciare. Le mani di Alice adesso stringevano una macchinetta fotografica istantanea, una polaroid. Fin da bambina era stato il suo sogno averne una e a Stefano lo diceva spesso, ma non si sarebbe mai immaginata che lui potesse farle un regalo simile. Non sapeva cosa dire, rimase per qualche istante a fissarla  incredula e quando si decise ad aprire bocca per ringraziarlo, in qualche modo, lui si alzò repentino, come se si fosse appena ricordato di dover prendere l'ultimo autobus per tornare a casa. "Andiamo a catturare cose", disse. Alice aveva ancora gli occhi lucidi, non era mai stata brava a nascondere le sue emozioni, per quanto ci provasse. "Andiamo!" confermò lei, senza pensare a cosa volesse intendere per 'catturare cose'.
"Con questa puoi catturare tutto quello che vuoi" la informò Stefano. Alice ci pensò. "Non posso catturare la statua della libertà", Stefano la guardò distratto "Perché no? Chiamo un taxi, andiamo a New York... Taxi!" Alice si mise a ridere, pensò che mai aveva potuto riconoscere una fantasia genuina, come quella di Stefano, se non nei bambini. "In America non ci si può arrivare con un taxi dall'Italia" "Ti sbagli, è chiaro che tu sia mal informata; hanno brevettato, costruito e approvato da poco dei taxi subacquei, così da rendere l'America raggiungibile anche in questo modo" ma Alice non ascoltò quest'ultima assurdità che Stefano aveva appena detto, era tornata a fissare il cielo. Poi aveva sussurato, quasi involontariamente, ancora persa tra gli astri, che avrebbe voluto catturare il big bang. Tutti avevano accesso a fotografare la statua della libertà, ma il big bang nessuno l'aveva mai preso. "L'universo non sono in grado di polverizzarlo e poi crearlo di nuovo. Però se mi dai del tempo posso costruire una navicella spaziale, portarti a una distanza sicura e se ti accontenti del mondo lo faccio esplodere, puoi fotografare questo fenomeno" le rispose Stefano, perso a sua volte negli occhi di Alice, che trovava molto più belli del cielo. "Dovremmo vivere nell'universo, poi" "Non è un problema, io ci sono abituato!" "Ci sei abituato?" "Certo, non ti ho mai raccontato di quella volte che ho vissuto per due mesi su una stella?" Alice abbassò lo sguardo e sorrise, in quegli anni aveva imparato a stare al suo gioco, perché stranamente quello che lui diceva sapeva sempre di magia e poesia, e Alice si lasciava sollevare da terra. "No, non me lo hai mai raccontato" Stefano indicò la stella più luminosa di quel cielo estivo. "Si chiama Vega, fa parte della costellazione della Lira. Era abitata solo da un silenzio assordante e da un profumo di gelsomini. Era ricoperta di una sabbia bianca, piena di piccoli granelli bluastri in minore percentuale, da un unico punto ben preciso potevi sentire delle onde infrangersi contro gli scogli di un mare che non esisteva" Alice fissò la stella, se la immaginò come Stefano la stava raccontando, ma i suoi occhi non si erano accesi come lui sperava. "Non mi credi?" le chiese. Lei continuò a fissare la stella senza dargli una risposta. "Chiudi gli occhi e apri le mani a conca" riprese. Alice non esitò a farlo. Stefano si portò una mano in tasca, strinse un pugno e lasciò cadere una sabbia bianca con dei piccoli granelli blu tra le mani di Alice. "Apri gli occhi e guarda".
Cercava di nascondere il suo stupore e voleva a tutti i costi mantenere la sua parte razionale lucida. In quell'istante, però, con un pezzo di stella tra le mani, non aveva pensato cosa potesse essere in realtà, come era suo solito fare quando Stefano ne diceva una delle sue. In quell'istante, Alice, aveva iniziato a credere nella magia.

Quando sogna un bambinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora