Too much

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Beckett's pov

Stiamo entrando nello scantinato dov'è rinchiuso Castle. Mi muovo cautamente, spalle al muro e pistola puntata di fronte a me, ma non riesco a fare a meno di pensare che qualche secondo potrebbe fare la differenza. Che lui potrebbe essere in pericolo proprio ora. Che potrebbe avere un coltello alla gola, una pistola puntata alla tempia. Mi giro verso la swat e poi mi guardo attorno. Il luogo pare deserto, e non sembra che ci siano pericoli imminenti. Non resisto più, e mi metto a correre verso l'unica stanza illuminata, ignorando gli urli bisbigliati di Esposito e Ryan.
"Castle! Sono io, sei lì?" sussurro disperata nel silenzio. Nessuna risposta.
Kate stai calma, non perdere il controllo. Lui è ancora vivo, là dentro, da qualche parte.
Ispeziono visivamente la stanza prima di entrare, riprendendo la cautela persa. Le pareti sono di un azzurro tendente al grigio, uguali a quelle che avevo visto tante volte in terapia intensiva. C'è un orologio appeso alla parete di fronte a me, e una specie di lettino in mezzo alla stanza. È inclinato verso il fastidioso ticchettio delle lancette, perciò non riesco che a vederne il telaio. Alla sua destra vedo un tavolo con diverse fiale e alcune flebo.
Oddio cosa gli hanno fatto.
Cerco di rimanere lucida. Osservo la finestra: per un abile cecchino non sarebbe difficile trapassare un vetro così sottile. Me ne tengo alla larga. Avanzo con prudenza verso il lettino. Sento quell'odore ferroso così familiare. Sangue.
Oh mio dio Castle. Nono, non può essere.
Con velocità rimetto la pistola nella fondina, fregandomene dei possibili aggressori. A grandi passi elimino la distanza tra me e il lettino, ignorando beatamente quel dannato protocollo.
Lo vedo. Steso. Morto. Su quella fottuta barella.
No, ti prego no. Non di nuovo, no.
"RICK! OH MIO DIO, RISPONDIMI!" gli urlo disperata.
Faccio un sospiro profondo. No, è impossibile che sia successo di nuovo.
"Ascoltami bene, Richard Alexander Rodgers Castle. Tu adesso vai in ospedale e ti svegli."
Le lacrime iniziano a sgorgare dai miei occhi. Ma seppur non riesco quasi a parlare continuo, con la speranza di cambiare la realtà, riducendo le mie parole ad un filo di voce disperato.
"Rick, ti prego...ho bisogno di te, ti prego...Rick..." gli sussurro accarezzandogli freneticamente la faccia, scostandogli i capelli dal viso, asciugandogli le lacrime ormai secche. I singhiozzi mi scuotono così forte da impedirmi di respirare, di parlargli.
Sento una mano cingermi la spalla.
No, basta. Non di nuovo, non ancora.
So perfettamente cos'è, di cosa si tratta. È pena, compassione, dolore altrui che cerca invano di consolare il mio dolore. È un incubo, deve esserlo.
Sento il suo profumo, c'è ancora. Ho la sua lacca tra le dita. Macchie del suo sangue sui vestiti, sulle labbra che lo hanno baciato un'ultima volta. E il mio corpo reagisce alla sua morte come a una potentissima scossa elettrica. Una serie di ricordi mi balena in mente, e in pochi secondi rivivo tutto, dal primo incontro. Mi pare di rivivere il suo caldo, confortevole abbraccio. Riesco persino ad assaporare le sue morbide labbra, con l'aroma di caffè che pervade la stanza, e il suo sorriso sul mio, fronte su fronte, ansimo su ansimo.
"Beckett? Ehi, Beckett!"
Ryan mi interrompe, quasi strappandomi via da quel bacio passionale, che si sarebbe sicuramente tramutato in qualcosa di più carnale.
Riapro gli occhi, e lo vedo. Un attimo prima era sopra di me. Ora è solo un freddo, inerme corpo senza vita.
È troppo, è decisamente troppo.
Sento le gambe cedermi, la vista annebbiarsi, due braccia che mi afferrano.
Poi, più nulla.

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