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I giorni scorrevano lenti, ma con una nuova costanza: ogni mattina, Jungkook varcava le porte dell'ospedale per andare a trovare Taehyung

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I giorni scorrevano lenti, ma con una nuova costanza: ogni mattina, Jungkook varcava le porte dell'ospedale per andare a trovare Taehyung.
Era diventata una routine silenziosa, un rifugio reciproco fatto di chiacchiere leggere, battute e silenzi carichi di parole non dette.

Dell'infanzia non parlarono più.
Non apertamente, almeno.
Ma sapevano entrambi che prima o poi quell'argomento sarebbe tornato a bussare.
Perché certe ferite non si cancellano. Si nascondono, si coprono di parole leggere, ma restano lì.

Parlavano del più e del meno.
Taehyung, con la solita voglia di attenzioni e coccole, non perdeva occasione per attirare lo sguardo del minore.
E Jungkook, che cercava con ogni fibra di essere freddo e distaccato, finiva sempre per sciogliersi. Bastava un sorriso. Un tocco. Una risata.

«Jungkook... grazie per esserti preoccupato, anche se ero solo uno sconosciuto su Twitter.»
Rise nervosamente, cercando i suoi occhi con una dolcezza disarmante.

Jungkook sospirò, cercando di nascondere quanto quelle parole gli avessero fatto tremare il petto.
«Eri pur sempre una persona che aveva bisogno di aiuto.
Se avessi saputo che eri tu fin dall'inizio... ti avrei bloccato.»
Scoppiò a ridere, ricevendo un pugno scherzoso sul petto.

«Aigoo~ non me lo merito!» protestò ridendo.

«Altroché se te lo meriti! Mi avresti bloccato, ti rendi conto?»
Taehyung lo guardava scandalizzato, ma con un sorriso sincero.

«Beh, tu mi hai lasciato per nove anni... saremmo stati pari.»
Jungkook lo disse ridendo, ma le sue parole rimasero sospese nell'aria.

Il silenzio calò improvviso.
Le risate si spensero.
E per un attimo, non furono più due ragazzi che scherzavano.
Erano due cuori con cicatrici troppo simili.

Taehyung si schiarì la voce, cambiando tono.
«Puoi chiedere ai dottori quando potrò essere dimesso?
Voglio parlare con te... ma non qui. Non in questo posto.»

Jungkook annuì.
Uscì dalla stanza e si incamminò lungo il corridoio, cercando un dottore. Dopo qualche svolta, ne trovò uno intento a controllare dei documenti.

«Mi scusi,» iniziò avvicinandosi, «vorrei sapere quando sarà possibile dimettere il paziente Kim Taehyung.»

Il medico lo scrutò brevemente, poi controllò alcune cartelle.
«Entro la fine della settimana potrà lasciare l'ospedale. Le sue condizioni sono stabili, ma dovrà comunque essere seguito.
Al momento stiamo cercando una sistemazione più adatta sia per lui che per la sorella.
Tornare nella casa di prima non è consigliabile.
Stiamo valutando l'opzione di trasferirli temporaneamente dai loro zii... fuori città.»

Il cuore di Jungkook si bloccò.

Fuori città?
Gli zii vivevano a Daegu.
Di nuovo lontano.
Di nuovo... perso.

Provò a parlare, d'istinto.
«Aspetti...»
Ma il medico, preso da altre urgenze, si congedò in fretta senza lasciargli il tempo di dire altro.

Jungkook restò immobile per un momento, i pensieri che gli ronzavano nella testa come un'allarme.
Non poteva permetterlo.
Non di nuovo.
Aveva appena ritrovato Taehyung.
Non poteva lasciarlo andare via. Non stavolta.

Rientrò nella stanza, cercando di mascherare la tensione.

Taehyung lo guardò, impaziente.
«Allora? Cosa hanno detto?»

Jungkook cercò di sorridere.
«Verrai dimesso entro la fine della settimana.»

«Diamine, sì!» esclamò il maggiore, sollevato, allargando le braccia come per accogliere tutto il mondo.

Jungkook lo guardò, incantato da quella reazione così viva.
Così Taehyung.

«Ora mi abbracci?» chiese con un tono che sapeva di casa.
Jungkook non rispose.
Fece solo un passo avanti e lo abbracciò, senza dire nulla.
Perché in quel momento le parole sarebbero state di troppo.

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