8. RIFUGIO MARINELLI.

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Era una tiepida giornata di fine giugno ed eccomi ancora a Campo Moro ma questa volta verso il rifugio Marinelli Bombardieri.
Superata la diga, ancora all'ombra, ci incamminammo per un ripido sentiero che costeggia il Sasso Moro e che presto ci portò sopra l'Alpe Musella, baciata dal primo raggio del sole, da dove saliva il dolce  suono dei campanacci.
Superato un tratto pianeggiante ci trovammo di fronte ad una dura salita verso il Rifugio Carate e, poco sopra, il Passo delle Forbici dall'omonimo nome della montagna di fianco.

Durante la salita dovemmo superare sette dossi chiamati "i sette sospiri" ma credo che, prima di arrivare al Carate ebbi fatto molto più di sette sospiri: che faticaccia!
Il Carate é un rifugio costruito da poco dai membri del CAI di Carate Brianza ed infatti non era stato ancora inaugurato.
Ancora un'oretta e saremmo arrivati al Marinelli.
Al Passo delle Forbici una folata di vento mi costrinse ad abbassare il viso e appena lo rialzai rimasi a bocca aperta; il Bernina si ereggeva in tutta la sua altezza e bellezza come un grande re che domina le montagne attorno insieme al suo consigliere, il Pizzo Palú.
In basso c'é il ghiacciaio con i suoi mille pericoli ma che si ritirava a vista docchio; chissà se quell'imponente riserva d'acqua dolce sarebbe durata ancora a lungo!

Ora il sentiero sassoso era di nuovo all'ombra della montagna ed eravamo perseguitati dalle folate di vento che ci rallentavano facendoci sprecare energie e tempo preziosi.

Una volta raggirata la montagna ebbi un tuffo al cuore: due laghetti dall'acqua verde smeraldo si intonavano perfettamente al limpido cielo e per finire il tutto c'erano gli spruzzi di neve fresca sulla roccia che riflettevano i raggi del sole ormai alto sopra le nostre teste.
In alto, sulla sinistra, si scorgeva il Marinelli separato da noi da una dura salita al sole.
Poco dopo trovammo i resti di un aereo che fungevano da monumento in memoria del pilota dell'aereo abbattuto e poi schiantato in quel punto dove una volta arrivava il ghiacciaio.

"Uno-due", " uno-due", ripetevo nella mia mente mentre inspiravo una volta, con il naso, ed espiravo tre volte piú velocemente. Quei respiri mi arrivavano dritti al cuore dandomi la forza morale, oltre a quella fisica, per continuare.
Una volta raggiunto il rifugio ebbi il secondo tuffo al cuore della giornata: finalmente arrivato!

Mi godei tutto il panorama all'ombra del rifugio mentre mangiavo il mio solito panino al salame e pensai a quanto fossero belle queste montagne, senza pericoli e stupende...ma allora perché molti alpinisti partivano per l'Himalaya se avevano già delle montagne così belle vicino a casa loro? Per inseguire la gloria? Ma spesso morivano e allora perché rischiare? Il loro non era coraggio ma imprudenza!
Fui chiamato alla realtà da mio padre e masticai l'ultimo pezzo di pane per poi ripartire ma non da dove eravamo venuti ma dal vallone dello Scherschen che, a detta del rifugista, era da non perdere.
Risalimmo un pezzo verso il ghiacciaio per poi scendere seguendo la corrente dei molti ruscelli oltrepassando spesso ponti traballanti ma sicuri.
Il sentiero era tutto sassoso e si potevano trovare molti minerali spaccando le pietre ogni tanto ci abbassavano per prendere delle pietre; se erano leggere (simbolo che probabilmente dentro c'era un minerale) le rompavamo e trovammo un quarzo quasi trasparente e melo misi nello zaino al sicuro.
Percorremmo un ruscello particolarmente grande, che nel tempo aveva eroso il terreno sottostante creando dei piccoli canyon profondi tre - quattro metri, in cerca del ponticello che trovammo poco dopo.
Entrammo nel vallone vero e proprio superando dossi pieni di fiori dai mille colori mentre nell'aria vagavano mille profumi diversi rendendo quel posto un paradiso terrestre.

Il sentiero si fece piú pianeggiante ricongiungendoci al ruscello ora diventato piú grosso perché formato da tutti i corsi d'acqua trovati fino ad ora.
Ad un certo punto mi sfrecciaroro davanti quattro cuccioli di marmotta intenti a giocare fra loro e furono preda dell'obbiettivo della mia macchina fotografica mentre sacappavano sul Sasso Nero.

Mi sentivo benissimo come se quel posto fosse casa mia o una parte di me; il silenzio mi avvolgeva svuotandomi la mente e trasportandomi in un universo parallelo lontano dalla vita stressante di ogni giorno e non sentivo nemmeno la fatica anche se camminavo da piú di 6 ore sotto un sole cuocente. Una volta girato a destra verso l'Alpe Musella abbandonai quel posto fatato e tornai alla vita normale sulla terra e la fatica torno e una volta raggiunta l'Alpe le gambe non mi reggevano piú e sentì la mancanza di quel paradiso che attraversavo poco fa.
Arrivati alla macchina mi appoggiai al sedile e ci sprofondai dentro addormentato e cullato dai dolci ricordi della giornata.

SCUSATE SE É TANTO CHE NON AGGIORNO MA HO AVUTO DEI PROBLEMI TECNICI VISTO CHE L'APP MI TAGLIAVA MOLTI PEZZI.
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