Capitolo 3

821 43 3
                                    

Selene Aggarwal incarnava a pieno lo spirito degli anni '90. Era stramba, trasandata, vestiva spesso panni maschili e mimetici. Da quel che so ascoltava musica strana e per nulla commerciale, passava dal punk anni settanta al punk rock di quei tempi per poi arrivare a musica più leggera, come britpop o alternative. Le piacevano quei piccoli gruppi, formatosi da poco e completamente sconosciuti. Aspettava per ore che mtv trasmettesse una loro canzone ed in quel preciso istante cantava come una vera furia, fingendosi la cantante del brano. Odiava quei gruppetti da quattro soldi, che in poco riuscivano a raggiungere i primi posti nelle classifiche per i loro toni estremamente pop.
Per non parlare dei cantanti solisti. Ma comunque, come ho già detto, questo non ci interessa.

Come dicevamo, si era ritrovata chiusa in una stanza con un probabile psicopatico a non so quanti chilometri lontana dal centro.
Non era preoccupata, solo scocciata. Ovviamente avrebbe preferito fare altro che stare seduta in un angolino a girarsi i pollici. Di tanto in tanto guardava il ragazzo, anche lui se ne stava per i fatti suoi a leggere una rivista.

«Davvero? Sei serio? Perché diamine mi hai rapita, fatta portare qui per poi ignorarmi miserabilmente? Non ha senso!» la ragazza si era alzata, piazzandosi scioccata al suo fronte con entrambe le mani aperte.

«Sì, hai ragione. Ti va di fare un tuffo in piscina?» aveva proposto, tirandosi in piedi e poggiando il giornale sopra il suo letto.

La ragazza crucciò il volto, guardandolo male.
Sbuffò, avventandosi contro la porta. Le sue scarpe strusciarono un po' contro il pavimento in legno. Aaron l'osservò, lasciando che il suo volto assumesse un piccolo sorriso.

Selene cominciò a muovere rapidamente le maniglie delle due porte, ma queste erano chiuse a chiave.

«Andiamo! Non vorrai mica segregarmi qui dentro? Non ti facevo così psicolabile»

Il ragazzo ridacchiò, avvicinandosi percettibilmente alla ragazza.
Sbattè una mano contro la porta, guardandola dritto negli occhi, come lei stava già facendo. Entrambi si ritrovarono ad alzare un sopracciglio, ma mentre nello sguardo di Selene c'era solo noia ed una punta di disprezzo, in quelli di Aaron c'era malizia, ma non nel senso cattivo del termine. Gli venne da ridere vedendo quanto la ragazza fosse determinata.

«Allora? Sai, la porta è ancora chiusa» gli sussurrò, come se volesse rivelargli un segreto.

Roteò gli occhi, rise ancora divertito per poi tornarla a guardare.

«Voglio conoscerti. Credo che tu sia una delle prime persone a non conoscermi, mi incuriosisci» aveva fatto salire la sua mano destra e lentamente si stava avvicinando alla ragazza, che -repentinamente e senza spostare gli occhi dai suoi- si era spostata leggermente.

«Forse non ci siamo ancora capiti bene» iniziò lei, stirando in avanti le braccia, con uno sguardo basso e intimidatorio: «Non m'interessa chi tu sia, non m'interessa vederti in TV e soprattutto...» si fermò, leccandosi per un momento le labbra «non ho la ben minima intenzione di conoscerti».

Era la prima volta che Aaron veniva trattato così, era abituato ad essere pregato affinché facesse un autografo a qualche ragazza delirante o, semplicemente, la chiamasse per nome.

Reagì in uno strano modo: non disse nulla, semplicemente. La guardò ancora, questa volta in modo molto più contrito, ma non demorse, tornò a sedersi sul suo letto, poggiò il suo mento tra i palmi della mano e per un instante parve pensare a qualcosa. Prese un grosso respiro.

«Cosa pensi di me?» le chiese, puntando ancora una volta i suoi occhi in quelli della ragazza, ora lontana qualche metro.

Selene  rimase spiazzata, non si aspettava quella domanda, non se l'aspettava per nulla.
Lei non pensava nulla su di lui, aveva sentito qualche volta nominare il suo nome per televisione o nominare da qualche sua compagna. Quando lui l'aveva spinta in quel vicolo, aveva solo formulato qualche pensiero, non esattamente gentile. Sì, lo riteneva un ragazzo carino, ma sicuramente non per lei.
Lo riteneva troppo nella norma e sicuramente era un po' troppo sopravvalutato per essere uno dei "migliori modelli" di quel decennio. A volte le persone fanno conclusioni troppo affrettate.

«Credo che le persone come te siano soltanto dei fenomeni da baraccone»

«Come sei esagerata, io non la penso così. Alla fine il nostro compito è solo quello di onorare il bello» contrabbattè subito Aaron, sbuffando un po' e muovendo le sue spalle.

«Ecco, è esattamente questo che mi dà fastidio. Non essere superficiale, la bellezza non è unica ed appare in tutte le forme. Avere una bella faccia non vuol dire essere "belli"»

«Se non sono così bello come tu dici, perché ho così tante fan, allora?» cercò di farle notare.

Il suo problema era proprio questo e Selene l'aveva centrato in pieno: la sua superficialità. Poteva sembrare stupido di questo modo, ma non lo era; aveva soltanto bisogno di qualcuno che lo aiutasse a liberarsi di quella patina esteriore. Era come se fosse ricoperto di cellofan, per arrivare alla persona che realmente era, aveva bisogno di essere srotolato. Lo so, questa metafora fa schifo, ma non mi va di dirvi cose troppo scontate e poi, se preferite ho anche il pruliball, quell'anti stress che scoppietto sempre mentre sono sul divano.
Ma comunque, basta divagazioni, concentriamoci su di loro.

«Le tue "fan" hanno tra i 13 ed i 16 anni, sai, si scocceranno anche loro un tempo di te e, soprattutto, crescendo capiranno che ciò che idolatravano a quell'età fosse altamente stupido» gli fece notare Selene, portando le sue mani in vita.

«Tu ne hai 17, non è che sia così lontana da loro. Comunque, ti dirò di essere d'accordo solo per finire questa discussione. Ora, che ti va di fare? Non ti ho fatta venire qui per farmi una ramanzina»

«punto primo: perché conosci la mia età? Sei una spia? Hai per caso un fascicolo pieno di mie informazioni personali? Punto secondo: non essere sessista, non voglio avere ragione solo perché sono donna, e con questo non voglio dire che non ne abbia, sarei ipocrita a non esserlo. Punto terzo: ci terrei a sapere... sì, esattamente perché sono qui?» gracchiò, mettendosi -ancora una volta- sulle difensive.

Lui si alzò, assumendo il suo solito sguardo ammiccante.
Le si avvicinò, ancora una volta, cominciando a toccarle un po' i capelli, lei lo guardò, ronfò un po', ma non lo allontano.

La moda di quei tempi non era quella di oggi, i jeans attillati non erano ancora spopolati nei magazzini e non avrebbero fatto la loro comparsa ancora per un po', tra i giovani era comune infilare maglie di qualsiasi taglia, l'importante era che fosse quella sbagliata per l'individuo. Negli anni '90 spopolava la moda street e le strade pullulavano di adolescenti vestiti in quel modo.
Aaron era uno di quelli, nonostante fosse un modello di una certa importanza, amava indossare larghi jeans e maglie abnormi con disegnini stupidi o marchi come Adidas o Nike. Un must erano le magliette a righe e l'abbondante utilizzo di tessuto di jeans.

«Bambina, te l'ho detto, voglio conoscerti» le sussurrò, suadente, arrotolandole una ciocca di capelli.

«Non sì può avere tutto ciò che si vuole dalla vita, mi spiace»
Voleva dargli una lezione, questo era sicuro e certo ci sarebbe riuscita.
«Adesso lasciami andare, non vorrai mica far morire il mio Tamagotchi?»

Milk and honey «Timothée Chalamet»Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora