Capitolo 9

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«Ma sei stupida? Così mi offendi!» contrabattè James, dandole un lieve pugno sulla spalla. Lei sussultò, si massaggiò brevemente la spalla e poi si portò a sedere, guardandolo dall'alto.
«Circa dieci giorni fa ti stavo raggiungendo al Lonesome Street Caffee quando un ragazzo mi ha travolto in pieno, portandomi con sè in un vicolo, tappandomi la bocca»
Selene vide la mascella di James farsi più marcata, mentre lei cercava di ingoiare.
«Era Aaron Pollock, quello stupidissimo modello di cui ultimamente non si smette di parlare. Be'... fatto sta che ha preso questa strana fissa per me ed ogni tanto me lo ritrovo tra i piedi.» concluse lei, cercando di sembrare il più impassibile possibile e di far sembrare l'accaduto come una faccenda da niente, un evento superficiale. Non voleva far preoccupare James nè spaventarlo, per Selene Aaron era totalmente innocuo.
«E... ti ha fatto qualcosa? Nel senso, ti ha fatto del male?» domandò dolorosamente James, in un certo senso gli dava fastidio che la sua migliore amica passasse del tempo con un altro ragazzo. Lui l'aveva vista crescere, l'aveva vista fortificarsi. Selene era indipendente, per James lei aveva bisogno solo di lui per essere felice.
Sotto questa prospettiva James era molto possessivo, gli avevano già strappato la madre, non voleva che anche Selene se ne andasse via da lui.
Sono sempre stato convinto che dietro la storia di sua madre ci fosse altro e a quella età i sentimenti possono travolgerti, senza lasciarti scampo.

«Scherzi? No, no! Assolutamente no!» ridacchiò brevemente Selene «è un bravo ragazzo, tranquillo, è troppo ingenuo per fare del male»

James la guardò un'altra volta, leggermente preoccupato, per poi stringerla tra le sue braccia.

D'altro canto, Aaron era molto stanco ed annoiato, stava discutendo da circa un'ora con il suo manager e con quello di Raquel. L'essere stato avvistato con Selene -ragazza totalmente sconosciuta agli occhi del pubblico- sarebbe potuto essere controproducente: doveva portare avente la finta relazione con Raquel, ma lui era stanco. Gli andava bene presentarsi ogni tanto a qualche evento con quella ragazza ma ciò non doveva limitare la sua vita privata, se voleva degli amici era libero di farseli, con o senza Raquel.

Tra l'altro Raquel non gli piaceva neanche un po', per carità, i corti capelli biondi e la pelle così calda la rendevano una ragazza veramente carina e sensuale, ma Aaron aveva altro per la mente. Forse due occhi autunnali e dei capelli neri come la pece.

«Aaron, santiddio, ti ripeto che è molto importante che tu, adesso, rispetti i patti del contratto, lo stiamo facendo per te e per il tuo futuro» ripeté ancora il suo manager, camminando avanti e indietro, agitando le mani. Il Signor Postman, a differenza di Mark, non era molto paziente ed accondiscendente con Aaron. Ovviamente rispettava i canoni del suo mestiere: far apparire Aaron sempre al massimo e far sì che la sua fama non muoia, ma i battibecchi con il ragazzo aumentavano sempre più man mano che il successo del ragazzo aumentava; alla fine Postman gli voleva bene, credeva in lui e lo riteneva un ottimo ragazzo, ma aveva paura che così facendo tutto ciò che avevano costruito potesse sfuggirgli dalle mani.
Il Signor Postman aveva creduto in lui, era stato lui a scegliere Aaron per rappresentarlo, vedeva in lui cose che non vedeva in altri ragazzi, ma ormai il ragazzo del Nevada genuino e dallo splendido sorriso stava scomparendo e stava lasciando posto alla sua nemesi: una piccola rockstar indisciplinata ed arrogante.

Parole al vento, Aaron aveva smesso di ascoltarli all'incirca mezz'ora prima, continuava ad assecondarlo, annuendo e parlando a monosillabi.
«Va bene capo, ho capito, ora -se mi è concesso- andrei a dormire, notte» disse d'un fiato, salutando il suo manager con un cenno di mano ed uscendo da quell'ufficio senza aspettare alcuna risposta. Aaron era così: non stava ai comodi di nessuno e se qualcosa non gli andava, semplicemente non la faceva, qualsiasi fossero poi le conseguenze.

Erano circa la due di notte quando uscì da quel grattacielo enorme, le strade di Seattle non erano vuote ma neanche tanto piene. Tirava un certa brezza ed il cielo era pieno di grandi nuvoloni neri pronti a riversare tutto il loro  contenuto.
Casa di Aaron era lontana dal centro, si trovava  in un quartiere chiuso al pubblico e pieno di ville enormi e molto distanziate tra loro. Tutte erano circondate da estesi giardini e contornate da alte inferriate. Una volta raggiunta la macchina del Signor McGregor, salì, restando in silenzio per tutto il viaggio.

Quando fu dentro casa andò dritto nella sua stanza, si tolse la maglietta e le sue scarpe. Si sedette sul suo letto, restò per molto così. Era al buio, le sue braccia si stendevano rigide dietro la sua schiena, con i palmi premuti sul morbido piumino. Guardava dritto di fronte a se, stringendo tra i suoi denti le labbra chiare. Era stanco, ma non aveva voglia di riposare.

Neanche Selene riusciva a dormire.
James era andato via, da circa un'ora. Lei, dopo aver titubato un po', si era decisa a cambiarsi e ad infilarsi sotto le coperte, nella sua stanza faceva freddo, ma non troppo.
Era distesa di schiena, le braccia lungo i fianchi e la testa al centro del cuscino, guardava il suo soffitto. Lentamente chiuse i suoi occhi e delle immagini sfocate si fissarono nella sua mente. Una bambina, di sì e no cinque anni con dei corti capelli color del petrolio, ed un bambino di dodici anni; lui era come lei: folti capelli neri, occhi grandi e verdognoli.
La bambina lo seguiva allegramente saltellando e ridacchiando, ma più si avvicinava, più quel bambino si allontanava. Entrambi correvano, chi per raggiungere un fratello chi per scappare via dalla sua famiglia. Il bambino si fermò, aspettando la bambina, che non perse tempo a raggiungerlo. Appena fu al suo fianco il bambino la spinse facendola cadere con veemenza, scappando per sempre dalla vita della piccola bambina.

Selene piangeva e se ne capacitò solo quando -svegliatasi- si ritrovò raggomitolata sul pavimento, con le gambe strette al petto e la testa tra le braccia. Erano passati tanti anni, ma lei ancora ci stava male, ancora l'aspettava.

Aaron sembrava timoroso, gli sembrò strano, ma ancora pensava a quella ragazza. Le sembrava la tipica ragazza da presentare alla mamma durante le feste natalizie, quelle persone con cui fare cose strane sentendoti il più normale possibile, quella persona con cui passare attimi prolungati per tutta la vita.

Sorrise a quel pensiero e allo stesso tempo sbuffò, si sentì stupido: Selene non era per nulla la ragazza da presentare ai genitori, Raquel lo era.

Ma Raquel gli sembra una manipolatrice e di certo non sarebbe stato ai suoi maneggi. Raquel badava troppo alle opinioni altrui, era immersa nel mondo lavorativo, ed anche se all'inizio l'idea di una relazione seria non la sottoscritta l'avevo sfiorato, Selene aveva annullato ogni suo pensiero.

Era come una bimba, implosiva, ma guai se le stavi attorno. Si sentiva così attratto dal suo carattere, era convinto che sotto quella patina così dura ci fosse un cuore tenero.

Selene era come una di quelle caramelle per la gola che al centro hanno quel liquido assurdo e strano, sai che c'è ma quando arriva rimani sei sempre spiazzato, non sai come affrontarlo, e probabilmente per Aaron sarebbe stato così: avrebbe aspettato, aspettato ed aspettato e quando meno se lo sarebbe aspettato, sarebbe rimasto impreparato.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 11, 2020 ⏰

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