Il violino

556 64 1
                                    

Io non scrivo. Io incateno paure e delusioni dietro a sbarre fatte di parole messe in sequenza che formano grate. Scrivere è come liberare se stessi, come spogliarsi del peso di un corpo materiale e diventare altro. A volte mi ripeto che ne vale la pena, soffrire intendo, credo sia giusto, lo merito, lo esigo quasi. Vedo le mie dita che scrivono battendo su dei tasti e le immagino vecchie, piene di rughe, dopo aver toccato un mondo rimarranno lì senza poter raccontare ciò che si prova. Vale la pena forse stare così male per poter scrivere in questo modo, è un giusto prezzo che pago volentieri. A volte cammino per strada e mi chiedo se sono il solo a vedere che c'è un spada che fluttua sopra di me, pronta a cadere e a trafiggermi quando meno me lo aspetto. Divago. A volte mi chiedo come sarebbe stato tutto questo senza malattia, senza i problemi, le emarginazioni, a volte mi chiedo come sarebbe stato tutto questo senza la melanconia, senza il dolore e la sua soave musica che mi accompagna. Sono un violino in un mondo di tamburi e trombe. Le mie note non saranno delle migliori e le corde si stanno rovinando sempre di più, ma almeno sono me stesso. Non sarò mai uno dei tanti triangoli che prova a fare il tamburo. Vorrei solo trovare un'arpa, una compagna di delusioni. Una persona con cui puoi stare male, non devi sorridere se non te la senti, perché io, in questo momento, non me la sento.

ØPensieriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora