7. Ritorno a casa

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Dieci giorni dopo Anita viene dimessa e, nonostante qualche livido sul corpo e giramenti improvvisi di testa, sembra stare molto meglio. Quando le mostro il denaro recuperato al club – con stupore mi sono accorta di aver ricevuto diecimila bolivar anziché ottomila – comincia a urlare come una pazza, dapprima per la mia missione suicida, come definisce sempre i miei colpi di testa, poi per la gioia.
«Soave, non capisco come tu ci sia riuscita!» esclama ridendo e fissando i soldi che ha in mano. «Ci sono duemila bolivar in più!»
«Lo so, me ne sono accorta solo a casa. Non capisco perché.»
«E' un miracolo. E siccome io non credo nei miracoli, specialmente quando c'è di mezzo Mauricio Vargas, ti prego di raccontarmi per filo e per segno cos'è accaduto in quell'ufficio.»
L'accontento e dieci minuti dopo cala il silenzio mentre ci osserviamo perplesse. Detti a voce alta, i fatti dell'altra sera sembrano ancora più bizzarri e dall'espressione della mia amica mi accorgo che anche lei è piuttosto incredula.
«Quindi mi stai dicendo che l'uomo al telefono gli ha chiesto di togliere il vivavoce e da quel momento Vargas ha deciso di graziarti?» chiede scettica.
«So che è bizzarro ma... si, è andata così.» rispondo stringendomi nelle spalle. «Ovviamente i due episodi non sono collegati tra di loro, non conosco l'uomo che era dall'altra parte della cornetta, ma può semplicemente essere che gli abbia comunicato qualche affare urgente di cui occuparsi e lui abbia deciso che non valeva la pena di far perdere del tempo con me alla sua guardia.»
Anita mi fissa con aria incredula e inarca un sopracciglio rossiccio. «Non voleva perdere tempo con te e ha chiesto a Pete di riaccompagnarti fin sulla soglia di casa? Quell'autista è il suo uomo di fiducia.»
«E' l'unica spiegazione che mi sono data, altrimenti non saprei cosa pensare.»
«E da quel giorno non hai più avuto notizie?»
«Zero.»
«Non hai idea di chi potesse essere al telefono?» incalza e sbuffo spazientita.
«Anita, cosa accidenti vuoi che ne sappia? Chi credi che possa mai conoscere io in quell'ambiente?»
«Forse però lui conosceva te. Hai detto di aver pronunciato il tuo nome completo mentre era in vivavoce.»
«Ne dubito fortemente. Non ho niente a che fare con quella gente.» borbotto. «Comunque direi di smettere di preoccuparci, qualunque cosa si accaduta è storia vecchia. Sei a casa, stai guarendo, hai i tuoi soldi e sei finalmente padrona della tua vita. Cosa farai?»
La vedo dividere il denaro che ancora stringe in mano e poi passarmene una parte. «Questi sono tuoi, prendili.»
«Cosa? Quelli sono i tuoi soldi.» mi affretto a dire senza toccare le banconote.
«Denaro che non avrei mai più visto se non fosse stato per te.» commenta. «Sono tremila bolivar. I duemila che Vargas ti ha dato in più e mille di ringraziamento da parte mia.»
«Smettila, Ani. Non voglio quei soldi, ho un lavoro, servono molto di più a te.»
«Presto ne avrò uno anche io.» dice e si apre in un sorriso felice. «Una delle dottoresse dell'ospedale ha voluto che le raccontassi la mia storia e mi ha proposto, quando mi sarò ripresa del tutto, di fare da babysitter ai suoi due bambini. Hanno tre e cinque anni.»
«Oh, mio Dio! E' una notizia meravigliosa, tu adori i bambini!» grido premendomi le mani sulle guance e sentendomi straordinariamente felice per la mia amica. Quand'eravamo piccole diceva sempre che sarebbe diventata una maestra d'asilo, poi l'impossibilità a studiare le ha reso il progetto impossibile da realizzare. Anche io mi trovavo nelle sue stesse condizioni economiche ma, a differenza sua, ero più votata allo spirito di sacrificio piuttosto che all'appagamento immediato fornito da un lavoro da ballerina nei night e, grazie all'intercessione di un prete di una delle missioni per adolescenti disagiati, ero riuscita ad ottenere un prestito studentesco che, a ventisette anni, stavo ancora pagando con il lavoro da cameriera. Fare l'assistente sociale non mi avrebbe permesso di vivere dignitosamente e ripagare il mio debito, la quasi totalità dei finanziamenti che riuscivamo faticosamente ad ottenere veniva destinata ai bambini che ancora scorrazzavano per i tanti ranchos di Caracas.
«Si, è una notizia fantastica. E la paga è buona, mi daranno millecinquecento bolivar a settimana.»
«Splendido!» esclamo battendo le mani. «Sono strafelice per te!»
«Anche io sono molto felice. Per questo voglio che tu abbia questo denaro. Sono tuoi, ti spettano di diritto.»
«Ani...»
«Ti prego, Soave. Mi hai aiutato così tanto negli ultimi periodi, e non parlo solo dell'aver recuperato il denaro per cui, tra l'altro, hai corso dei rischi folli. Mi riferisco anche a tutto il resto, per me se più di una sorella. Consentimi di fare qualcosa per ricambiare.»
La fisso per diversi istanti, poi annuisco. «Anche tu per me sei più di una sorella.» sussurro commossa e lei, sorprendendomi, si lancia verso di me e mi butta le braccia al collo.
«Sta iniziando un nuovo capitolo della nostra vita, pulguita.»

SoaveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora