2. Visitatori inattesi

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«Soave?» sento chiamare il mio nome e sussulto, alzando la testa di scatto dai moduli di affidamento che sto compilando e guardo la mia collega Ines, una paffuta cinquantenne con corti capelli ricci e carnagione chiara, che ha infilato la testa nello stanzino che definisco "ufficio". «C'è la polizia per te.» mi dice a voce bassa, con un tono cospiratorio.

Sgrano gli occhi e appoggio la penna mentre un'espressione perplessa deve dipingersi sul mio viso. «La polizia per me? Ti hanno detto cosa vogliono?»

«No, solo che ti cercavano.»

Guardo la richiesta sulla mia scrivania e penso a cosa possano volere da me. Sicuramente questa visita ha a che fare con uno dei casi di cui mi sono occupata, i bambini che cerchiamo di togliere dalla strada sono molti – troppi – e spesso le storie non vanno a finire bene. O loro scappano, o le famiglie affidatarie li restituiscono come se fossero dei pacchi troppo ingombranti o, in alcuni casi limite, hanno trovato delle situazioni domestiche di violenze e abusi che ci hanno costretto ad intervenire. Quello che ho davanti in questo momento è il caso del piccolo Gustavo Gimenez, quattro anni e orfano di una prostituta uccisa nel Barrio pochi mesi fa. Padre non pervenuto. Una coppia di Houston vorrebbe averlo in affido e si è trasferita a Caracas per sei mesi, come previsto dalle nostre normative, per un periodo di prova. Sbuffo e scuoto i capelli lunghi che mi si sono appiccicati al collo per il caldo: nonostante il ventilatore al soffitto, la temperatura è troppo alta. Mi alzo in piedi e annuisco, è evidente che il piccolo Gustavo dovrà aspettare.

«La signora Villalba?» domanda un agente in divisa.

«Sono io.» confermo stringendo la mano che mi tende e salutando con un cenno del capo il suo collega che si tiene leggermente in disparte. «Cosa posso fare per voi?»

«E' una faccenda personale. Riguarda la signorina Soria.»

Un brivido mi corre lungo la schiena e deglutisco mentre una scossa di paura mi attraversa il cervello e le membra. «Anita? Cosa le è successo?» ansimo.

«E' in ospedale. Ha detto di non avere parenti e di rivolgerci a lei.»

«Sono io la sua famiglia. Sta bene?»

«Non è in pericolo di vita.» risponde tranquillizzandomi solo a metà. «Se vuole andare da lei è al reparto traumatologico del Perez Carreno.»

«Traumatologico? Ha avuto un incidente?»

I poliziotti si scambiano una rapida occhiata, poi tornano a guardarmi. «Diciamo di si. E' stata aggredita fuori dal suo posto di lavoro.»

«Questo non è possibile, è stata licenziata due settimane fa.»

«Da quel che ci ha detto era tornata per cercare di farsi riprendere a lavorare. Non è andata bene.»

«Cazzo! Era tornata in quello schifo di posto?» sbotto incredula.

«Conosce bene "La bailarina borracha?"»

«Solo perché ci lavorava Anita. Non è il mio genere di divertimento quello che fanno lì.»

«A cosa si riferisce esattamente?» chiede e io gli rivolgo un'occhiata carica di ovvietà.

«Andiamo. Sappiamo tutti cosa succede in quel night club così come in molti altri della zona.»

«Eppure la sua amica ci lavorava.»

«Con mio grande disappunto. Ma ci servono soldi, abbiamo un affitto da pagare.» la difendo istintivamente. Io posso dirle che quel posto è una merda ma non permetterò a degli estranei che non sanno niente di lei e di ciò che abbiamo passato di insinuare qualcosa sulla sua condotta morale.

«E lei come mai non lavora lì, allora?» incalza lui.

«Io sono un'assistente sociale.» lo rimbecco. «Lavorare in posti del genere andrebbe in contrasto con il mio lavoro. E comunque sia faccio anch'io la cameriera, sergente Aguillar.» lo informo leggendo il nome sulla sua targhetta poiché non si era presentato.

«Dove?»

«In una caffetteria, tre volte a settimana. Faccio la mattina e a mezzogiorno vengo qui e ci resto tutto il giorno. Devo pagare il prestito con l'università.» lo fisso negli occhi con disapprovazione poi mi stringo nelle spalle. «Finito l'interrogatorio?»

«Stiamo soltanto raccogliendo informazioni.» mi informa e io mi trattengo dal sollevare gli occhi al soffitto.

«Se cercate informazioni su quel che è successo ad Anita andate a cercare il signor Vargas.» sibilo e mi viene quasi il vomito nel vedere l'espressione di disagio che si dipinge sul volto di entrambi gli agenti nel sentire quel nome. «Io non posso aiutarvi.»

Consci di trovare un muro da parte mia annuiscono e si congedano, lasciandomi furente e preoccupata. Mi affretto a cercare Ines per informarla che ho bisogno del resto della giornata libera, poi vado a recuperare la mia borsa ed esco nel caos della città, raggiungendo a piedi la fermata dell'autobus che porta al Perez Carreno.


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