4. La Bailarina Borracha

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Non avevo voluto spiegare il significato della mia affermazione ad Anita che mi aveva implorato di non fare gesti sciocchi mentre lei era ricoverata. L'avevo ovviamente rassicurata e avevo tutte le intenzioni di mantenere la promessa dato che non ci tenevo affatto a fare la sua stessa fine, ma questo non mi avrebbe impedito di provare a reagire all'ingiustizia e a far valere i diritti della mia amica, che si trovava licenziata e senza il denaro che le spettava solo perché aveva rifiutato di inchinarsi ai viscidi desideri sessuali di qualche grasso cliente. E lei che ancora metteva in dubbio la propria moralità. Avrei tanto voluto che si vedesse come la vedevo io, che si stimasse come la stimavo io... forse a quel punto si sarebbe finalmente convinta che della propria vita poteva fare ciò che voleva, che sarebbe potuta diventare qualunque cosa avesse voluto, senza accontentarsi di quell'esistenza squallida. Mi era venuta in mente la frase di Papa Giovanni Paolo II a proposito del prendere in mano la propria vita per farne un capolavoro e speravo tanto di potere, un giorno, convincere Anita a fare lo stesso.

Nei giorni seguenti avevo chiesto un consiglio all'avvocato che prestava servizio nel nostro ufficio e mi ero accorta che non mi era scoppiato a ridere in faccia per una pura questione di rispetto verso la mia persona.

«Soave, credimi... non c'è niente che tu possa fare per riavere indietro il denaro della tua amica, a meno che loro non vogliano darglielo. Della qual cosa dubito fortemente, dato che si trova in ospedale.» aveva detto reprimendo un sorriso, per poi aggiungere, con una punta di preoccupazione nella voce: «Quindi ti prego di non buttarti in cose stupide o insensate come sei solita fare. Abbiamo già un sacco di nemici con il lavoro che facciamo qui, senza che tu vada in giro a inimicarti la fascia malavitosa della movida di Caracas.»

«Voglio solo che Anita abbia ciò che le appartiene, con quei soldi potrebbe ripartire per fare ciò che vuole.»

«Con ottomila bolivar?» aveva domandato scettico e avevo scrollato le spalle.

«Sarebbe un punto di partenza.» avevo risposto seccamente. «Nando, dimmi la verità: c'è qualcosa che sarebbe utile alla mia causa?»

«Solo conoscere personalmente il Padreterno di quella gente potrebbe aiutarti.» aveva commentato troncando qualunque speranza da parte mia. Alla fine avevo comunque deciso di fare un tentativo e in questo momento mi trovavo davanti alla Bailarina Borracha. L'insegna al neon era spenta ed era chiaro che il locale non era ancora in fase di attività poiché erano solo le sei del pomeriggio. Il genere di clientela che frequentava quel target di locali prediligeva uscire molto più tardi, ma io non avevo alcuna intenzione di trovarmi nel pienone della serata. Senza contare che non volevo dover tornare a casa molto tardi. La Bailarina si trova nel quartiere de La California, relativamente tranquillo perché frequentato da molti turisti, ma io dovevo arrivare fino a La Dolorita, e in quelle zone il discorso cambia eccome.

Mentre attraverso la porta d'ingresso, sulle cui vetrate il disegno di una danzatrice cubana fa bella mostra di sé, mi riprometto per la millesima volta di acquistare una vecchia auto non appena messa da parte una somma di denaro sufficiente. L'interno del locale è buio sebbene fuori ci sia ancora molta luce e devo dare il tempo ai miei occhi per adattarsi prima di riuscire a scorgere qualcosa. Un paio di camerieri stanno lustrando il bancone circolare che separa le due sale e la musica si diffonde dall'impianto con un sottofondo piacevole. Ciò che non trovo affatto piacevole è il palco al centro dell'ambiente su cui svettano due pali da striptease che mi forniscono una chiara immagine del genere di "arte" che si consuma lì sopra. E Anita è una di quelle artiste.

"Era una di quelle artiste." mi rammento da sola e questo pensiero mi dà nuova spinta per portare a compimento la mia missione. Risolta la faccenda, la mia amica sarà libera di ricominciare.

«Salve.» saluto educatamente il barman, un bel ragazzo sui venticinque anni dal colorito scuro.

«E' ancora presto.» borbotta senza sollevare la testa.

«Non sono qui per bere.» spiego fremendo perché mi guardi. «Sto cercando il responsabile di questo posto.»

Qualcosa nella mia richiesta deve richiamare la sua attenzione perché mi fissa per alcuni momenti e nel suo sguardo mi pare di scorgere dell'astio. «Sei quella nuova?»

«Quella nuova?» chiedo confusa.

«Quella che deve sostituire Anita.»

"Oh."

«Si, sono io.» mento e lo vedo squadrarmi con aria critica.

«E ti presenti vestita così?»

«Cos'ho che non va?» mi offendo e lui fissa la mia camicetta azzurra abbottonata fino al collo e i miei jeans con un'espressione di tale ovvietà che mi sento avvampare.

Ok, forse ho capito a cosa si riferisce.

«Ho il cambio. Mi dici o non dove posso trovare il responsabile?» mi stizzisco e lui scrolla le spalle e mi indica un bodyguard vestito di nero dall'altro lato della sala, accanto a una porta di un pacchianissimo fucsia acceso, e riprende a lucidare il bancone, ignorandomi completamente.

Mi trattengo dal richiamare la sua attenzione per dirgli che è un maleducato e mi dirigo verso la guardia a cui reitero la mia richiesta e anche quello mi fissa con aperta disapprovazione.

"Avrei dovuto vestirmi come una spogliarellista per farmi dare retta?"

«Sono quella nuova.» dico decidendo di utilizzare la mia bugia fino in fondo. L'omone non si scompone più di tanto e, senza una sola parola, mi apre la porta fucsia dietro cui partono delle anguste scalette nere illuminate da neon fluorescenti. Non mi rimane altro che salire e quando mi trovo davanti un'altra porta, prendo un respiro profondo e busso.

O la va o la spacca.


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