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«Non ho intenzione di andare a Daegu.»

La voce di Taehyung tremava leggermente, ma le sue parole erano ferme, come una presa decisa dopo una lunga esitazione.

«Ma sei sicuro?»
Jungkook lo guardava con apprensione, studiando ogni minima espressione del suo volto, come se cercasse di leggere fra le righe, di capire cosa lo stesse trattenendo davvero.

Taehyung si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo.
«Ti prego, la sola idea mi mette ansia. Tornare lì, da estranei, in una casa che non conosco... lontano da te.»
Si passò una mano tra i capelli, nervoso, mordendosi il labbro come faceva da bambino quando cercava di trattenere le lacrime.

Era da una settimana che il discorso tornava a galla, ogni giorno, più insistente.
Una settimana in cui Taehyung, con timidezza e fragilità, continuava a cercare conferme.
E Jungkook, con pazienza e dolcezza, gliele dava tutte.

Perché la verità è che quando, giorni prima, aveva visto Taehyung crollare alla notizia della separazione imminente, con le spalle che tremavano sotto il peso dell'abbandono, non aveva avuto dubbi:
non l'avrebbe lasciato andare.
Non di nuovo.

In quel momento, Jungkook aveva compreso una cosa:
non importava più chi avesse sbagliato, cosa fosse successo in passato o quanto si fossero fatti male.
Avevano bisogno l'uno dell'altro.
Punto.

Sua sorella, con la maturità di chi sa quando farsi da parte, aveva scelto di accettare il trasferimento dai parenti a Daegu.
«Voglio che tu abbia lo spazio per ricominciare,» gli aveva detto.
Così, il giorno del rilascio, era arrivato.
Le valigie erano pronte. Gli scatoloni sistemati. Il letto rifatto con lenzuola pulite.

Taehyung, seduto sul bordo della barella che lo aveva accompagnato per settimane, guardava Jungkook preparare le ultime cose con una strana luce negli occhi.
Una luce che parlava di gratitudine e paura.
Di voglia di fidarsi... e terrore di cadere.

«Davvero, starò in disparte. Non voglio creare disturbo. Posso aiutarti con le faccende, posso dormire per terra, davvero, non—»

«Tae, non disturbi. Ci sono solo io.»

Lui rise, ma fu una risata fragile, incrinata.
«Beh, non vorrei che la tua ragazza si stufasse della mia presenza...»
Stava ancora evitando il suo sguardo, come se avesse paura della risposta.

«Non ho nessuna ragazza.»
Jungkook lo disse con calma, ma con la fermezza di chi è stanco di giustificarsi.

«Allora... il tuo ragazzo?»
Ancora quegli occhi bassi. Ancora quel tono impastato d'insicurezza.

Jungkook sbottò, ma senza rabbia. Con il bisogno sincero di farlo smettere di dubitare.
«Non ho neanche un ragazzo, Taehyung. E basta con queste paranoie.
Non importa cosa abbiamo passato.
Non importa quanto tempo abbiamo perso.
Io ti voglio qui.
Non ti lascerò più andare, capito?
Non mi darai alcun fastidio. Questa è casa tua. E tu... tu sei parte di me.»

Lo disse tutto d'un fiato, quasi senza respirare, come se ogni parola fosse un peso che aspettava da anni di essere liberato.

Taehyung lo guardò finalmente, negli occhi. E per un momento sembrò sciogliersi, come se quelle parole avessero raggiunto una parte di lui che era rimasta congelata da troppo tempo.
Un nodo in gola, un tremolio nel petto.

La ferita dentro di lui, quella vecchia cicatrice fatta di silenzi, solitudine e senso di abbandono, non era ancora guarita.
Ma per la prima volta, sentiva che forse, accanto a Jungkook, avrebbe potuto iniziare a rimarginarsi.

«Grazie,» sussurrò.

«Non ringraziarmi,» rispose Jungkook, con un tono che era quasi una carezza.
«Resta. E basta.»

Tra loro, la tensione era sottile ma costante.
Come un filo teso che li univa e allo stesso tempo minacciava di spezzarsi.
Lo sapevano entrambi: avrebbero discusso. Avrebbero litigato. Avrebbero ricordato cose che facevano male.

Avevano ancora troppe storie in sospeso.
Troppe parole non dette.
Troppe ferite da ricucire.

Eppure, nessuno dei due fece il minimo accenno al fatto che in quella piccola casa c'era solo una camera da letto.
Solo un letto.

Perché in fondo, lo sapevano:
non avevano davvero bisogno di due stanze separate.
Ciò che avevano perso, potevano ricostruirlo.
E ora erano finalmente nel posto giusto per farlo.

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