Capitolo 1

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Qualcuno stava facendo suonare un motivo popolare.
Sasuke per un istante ebbe la tentazione di estrarre il revolver e mettere fine a quella voce lamentevole che divertiva tanto un gruppo di buontemponi decisi ad animare la loro serata e stare fuori tutta la notte, ma si trattenne: i bravi poliziotti non sparano ai jukebox. 
Il bar era quasi deserto in quella squallida serata di mercoledì ed era per questo che vi era entrato invece di andare nel solito locale dove avrebbe incontrato amici e colleghi. Non voleva parlare con nessuno. 
Era stato in quel locale altre volte, di solito il sabato e la domenica era pieno, ma durante la settimana, dopo le ventidue, vi regnava la calma. 
Un buon posto per starsene soli. 
Peccato che quella sera, un gruppetto composto da tre ragazze e un ragazzo poco più che ventenni avesse riempito il vecchio e quasi inutilizzato jukebox di monetine. In fondo al locale c'era una coppia di anziani e poi lui, seduto al bancone. 
Tutta lì la clientela del Kirin Bar. 
Si allarmò nel veder aprire le porte, l'ultima cosa che voleva in quel momento era vedere un giornalista o un reporter, aveva passato una giornata infernale e nemmeno i tre generosi bicchieri di whisky on the rocks lo avevano calmato. 
Aveva i nervi a fior di pelle, ma si rilassò nel vedere che la nuova arrivata fissava il barista e non lui. 
"Ti do cinque dollari se fai tacere quella macchina infernale" sibilò la nuova arrivata, sventolando una banconota sotto il naso del barista - che le fece un sorriso divertito - e sedendosi a due sgabelli di distanza da Sasuke. 
Il poliziotto la osservò, mentre si toglieva l'impermeabile gocciolante a causa della pioggia che cadeva quel giorno sulla città e ordinava un Manhattan che, grazie all'efficentissimo barman, pochi secondi dopo arrivò tra le sue mani. 
"Voi due avete davvero un'espressione triste, sapete?" interloquì l'uomo. 
"Ho avuto una brutta giornata" rispose la donna, dopo qualche minuto speso ad assaporare il cocktail. 
"Anch'io" aggiunse Sasuke. 
Lei gli lanciò un'occhiata veloce, dandogli modo di vedere un paio di occhi verde acqua che lo colpirono nel profondo, anche più del bizzarro colore di capelli - rosa - e della corta gonna blu che le arrivava alle ginocchia, lasciando intravedere un bel paio di gambe. 
"Sono stata licenziata" mormorò, per poi riprendere a sorseggiare la bevanda,"potrei capirlo se non fossi stata una brava dipendente, ma essere licenziata perché la nuova fidanzata del capo ha bisogno di un lavoro, è davvero troppo!"
Lui la guardò senza commentare. 
"La mia macchina poi fa uno strano rumore metallico. E quando sono arrivata a casa ho trovato in segreteria vari messaggi di mia madre che continua a chiedermi perché abbia rotto con Kiba la settimana scorsa ed è convinta lo abbia fatto per dispetto a lei che muore dalla voglia di avere dei nipotini! Tra l'altro era pure il mio capo e non ha perso tempo a rimpiazzarmi con un'oca bionda!"
"Bastardo!" sussurrò Sasuke a bassa voce, ma lei diede segno di averlo sentito visto che annuì con forza. 
" La mia amica Ino mi ha suggerito che se fossi andata dal parrucchiere mi sarei sentita meglio. Tagliare i capelli e fare cambiamenti piace a noi donne. E invece questo è quello che ho ottenuto" aggiunse, indicandosi i capelli, malamente tagliati fin sotto l'orecchio,"sembra abbiano usato delle cesoie e mi hanno sbagliato la tinta! Sembro un salmone."
Nonostante fino a un attimo prima ritenesse impossibile tornare ad essere allegro, un angolo della bocca dell'uomo si alzò in un mezzo sorriso. Quella donna era uno spasso.
"A te invece cos'è successo?" gli chiese, ciarliera. 
"Non mi va di parlarne" ribatté lui, secco. 
"Scusa. Sono stata invadente e troppo affrettata nel raccontare cose personali ad uno sconosciuto" fece subito marcia indietro, vedendolo incupirsi. 
"Il detective Uchiha ha avuto una giornataccia" rispose il barista. 
Bene. Ora anche lei sapeva che lui era un poliziotto.
Inconsapevolmente si spostò più vicino con lo sgabello e confessò: "Ho ucciso un uomo"
Non vedendo sul suo volto alcuna reazione particolare, continuò: "Deidara, ladro e spacciatore, ha cercato di rapinare un piccolo supermercato. C'erano una madre che voleva accompagnare il figlio a scuola e altre sette persone. Lui ha perso il controllo perché in cassa c'erano solo cento euro, così ha puntato la pistola alla testa della donna. Lo conoscevo, sapevo di cosa era capace e..."
"E gli hai sparato tu" finì lei.
"Sì. L'ho ucciso."
Rivisse nella sua mente, per l'ennesima volta, il momento in cui aveva premuto il grilletto... Il rosso sangue che sgorgava dalla spalla e dalla testa del criminale... Le urla...
"Oh!" disse lei, "Hai fatto bene!" alzando il drink in un brindisi. 
Lui la osservò sconcertato. Che fosse già ubriaca?
Si spostò di uno sgabello e la sconosciuta fece altrettanto, arrivandosi tanto vicino che le loro ginocchia si urtarono appena. 
"Sakura Haruno."
"Sasuke Uchiha" rispose lui, stringendole la mano. 
In quel momento il jukebox ricominciò a suonare. 
"Speravo si fosse zittito per sempre" si disperò la donna, stringendo tra le dita le corte ciocche di capelli.
Sakura sapeva bene di non reggere l'alcol, di non dover bere. Da quando era entrata però, si sentiva meglio.
Era stato il cocktail o il sapere che quello sconosciuto stava passando qualcosa di peggio di quello che era capitato a lei che l'aveva fatta sentire meglio?
Non aveva un lavoro, né un uomo né prospettive per il futuro. 
Aveva un mutuo da pagare, le ultime rate dell'auto da saldare, l'assicurazione... e doveva pur mangiare 
Eppure tutto era sparito. 
L'unica cosa che voleva era far tacere quell'aggeggio e il detective al suo fianco sembrava dello stesso avviso. 
Quando era entrata nel locale, aveva capito immediatamente che era un poliziotto, aveva visto spuntare il revolver da sotto la giacca e il distintivo attaccato alla cintura. Non le era sembrato il tipo che abusava del potere che un'arma può dare e nonostante tentasse di sembrare freddo, leggeva il tormento e il senso di colpa per aver stroncato una vita nei suoi occhi. Era sicura che quella sera non le sarebbe successo nulla di male. 
Il jukebox continuò a suonare anche dopo che il gruppo di ventenni ebbe lasciato il locale. L'avevano talmente riempito di gettoni che probabilmente sarebbe andato avanti tutta la notte.
"Non ti ho mai vista qui"
"Vengo per pranzo due volte a settimana, Kakashi prepara discrete insalate e pessimi caffè," sorrise verso il barista "anche se i suoi cocktail sono ottimi"
L'ufficio! Tutti i suoi guai le ripiombarono addosso. Per più di tre anni aveva lavorato come programmatrice di computer e all'occorrenza si occupava anche di pubbliche relazioni essendo una piccola ditta. Ma ora cosa avrebbe fatto?
"L'ultimo giro lo offro io" propose Kakashi, posando sul bancone le loro bevande e cominciando a riordinare i tavoli. 
Erano le due di notte e nel locale erano rimasti solo loro. 
Quell'ultimo drink le diede fin troppa carica, infatti, salutò i due uomini con fare fin troppo allegro e un'andatura non proprio diritta, afferrando ed indossando malamente l'impermeabile e lasciando i soldi del conto.
Non fece in tempo a fare più di due passi che si ritrovò Sasuke al suo fianco.
"Non è prudente guidare nelle tue condizioni"
"Non lo farò. Abito a quindici minuti da qui. Andrò a piedi. Ti ho detto che la macchina fa uno strano rumore, no?"
Lui si limitò ad annuire e a seguirla, senza proferire parola. 
Era evidente che in quelle condizioni non la ritenesse capace di arrivare illesa a casa, ma di certo stare sotto la pioggia senza ombrello lo avrebbe fatto ammalare, per quello lei era combattuta tra il desiderio di dargli la buonanotte, lasciandolo andare, e la paura di rimanere sola.
Li accompagnava solo il rumore dei loro passi lungo la strada bagnata e il lieve picchiettare delle fini gocce di pioggia. 
Le loro figure si riflettevano sfocate e surreali nelle vetrine dei negozi, così vicine eppure così lontane. 
Un piccolo dislivello la fece inciampare, ma lui fu pronto ad afferrarla e un tuono squarciò il silenzio, facendola sobbalzare e stringere forte a lui.
Si ritrovarono così avvinti in un abbraccio, coi volti vicinissimi e scorgendo un'immensa tristezza negli di lui, Sakura cedette alla tentazione di accorciare ancora le distanze. 
Le loro labbra si toccarono esitanti, in un contatto leggero, poi si fecero più pressanti, forti, esigenti. Si consumarono, assaporando l'uno il sapore dell'altro, quasi soffocando per l'ipossia, ma niente esisteva in quel luogo privato in cui le loro menti e i loro corpi intrecciati si erano rifugiati 
Si staccarono a fatica l'uno dall'altra. Riprendendo fiato, ma continuando a toccarsi, incuranti della pioggia e di essere nel bel mezzo della strada. 
Trentun anni e si ritrovava senza lavoro, senza fidanzato, senza un progetto per il futuro. Se fosse morta in quel momento gli unici a piangerla sarebbero stati i suoi genitori ed Ino. Eppure in quel momento si sentiva intera, serena, realizzata. Le braccia di quell'uomo la avvolgevano proteggendola dal freddo della notte e decise che per una volta, una volta sola, poteva fare una follia.
Lui la guardava interrogativo, non era stata sua intenzione seguirla per approfittarsi di lei, ma non poteva negare di aver cercato tutta la sera di ritrovare un po' di calore umano dopo quanto successo in quel supermercato. 
Le sistemò meglio il cappuccio, scivolato per l'impeto dei baci, la prese per mano e insieme, correndo sotto la pioggia, girarono a destra al primo incrocio, raggiungendo un vecchio edificio che una volta era stato un luogo elegante ma che ora aveva ceduto all'incuria del tempo, la cui scritta luminosa, Akatsuki Hotel, si rifletteva sulla strada. 
Lui entrò per primo, strizzando gli occhi per adattarsi all'intensa luce che metteva in evidenza l'arredamento vecchio e le brutte cicatrici che deturpavano il volto dell'impiegato dietro il bancone. Non era il più rassicurante degli spettacoli a quell'ora della notte. 
Quest'ultimo non sembrò stupito di veder entrare due persone zuppe d'acqua, tuttavia, visto il distintivo di Sasuke, si mise subito sull'attenti.
"Io non ho visto né fatto niente."
"Bene" si limitò a rispondere lui, domandandosi che tipo di persone frequentassero quel luogo. Tuttavia era troppo stanco per indagare. 
"Voglio una stanza"
L'uomo gli porse il registro degli ospiti, che si affrettò a firmare, e un mazzo di chiavi.

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