Sentivo il sapore di ferro sulle labbra e sentivo la colonna vertebrale accartocciarsi su sé stessa e sentivo il mio braccio in una posizione in cui non avrei dovuto sentirlo e sentivo l'odore delle mie stessi feci avvolgermi la gola provocandomi una nauseante sensazione di vomito impellente e sentivo il calore dell'urina scorrermi lungo le gambe (anche se non riuscivo davvero a capire dove fossero le mie gambe) e sentivo un dolore paralizzante che esplodeva e sembrava quasi gridare come un essere vivo da ogni cellula, frammento ed essenza del mio corpo, talmente intenso ed insopportabile da rendermi quasi insensibile. Sentivo tutto questo, sì, ma in modo quasi indifferente, come se stessi vedendo la scena da lontano, come se non mi interessasse direttamente. Eppure, quello che davvero provavo, in quel momento, e che appariva peggiore di qualsiasi altro disagio fisico, era l'angoscia. Un'angoscia pressante e fastidiosa ed ingombrante, quel genere di angoscia che ti coglie durante i sogni, quando sai di dover andare da qualche parte ma semplicemente non riesci a muoverti (avete mai avuto sogni del genere? Io in continuazione); ricordo che il mio primo pensiero, mentre mi trovavo a terra, con il corpo completamente rivoltato e bagnato dai miei stessi liquidi corporei, mentre attorno era un caos di luci e grida e suoni, fu: "Perderò il treno"; e provavo a rialzarmi e a capire cosa stesse succedendo ma non ci riuscivo. Pensavo al treno che sarebbe partito senza di me, pensavo all'esame di Anatomia che avrei dovuto sostenere un'ora dopo e a cosa sarebbe successo se mi fossi presentata in ritardo e pensavo che probabilmente non sarei mai più riuscita a rialzarmi dalla strada e che probabilmente non mi sarei mai laureata e che probabilmente avevo sprecato la mia vita e che probabilmente... ma non ebbi molto tempo per pensare. Fu un attimo, un attimo denso e concentrato di sensazioni spiacevoli e pensieri caotici e cieca angoscia, ma passò. Dopodiché chiusi gli occhi e la mia mente semplicemente si spense. Per sempre.
O, almeno, questo era quello che credevo. Mi ci volle un po' per rendermi conto che se riuscivo a credere questo, significava che non mi ero del tutto spenta, che qualcosa di me ancora sopravviveva. O meglio: ero morta. Ero decisamente morta. Il mio corpo era morto e così anche la maggior parte di me; ma qualcosa c'era. Un'essenza, un pensiero. Ero ancora lì, da qualche parte; e gridavo. Gridavo con tutta la forza della mia mente quell'angoscia che ancora non si era sopita, quel rimpianto disperato, quella rabbia così cieca ed irrimediabile. Se solo avessi potuto avere un'altra occasione. Un altro po' di tempo, solo un po'. Solo un anno. Solo un mese. Solo un giorno, perfino; ma un altro po' di tempo. E pregai, non so bene chi, o cosa (non sono mai stata una persona molto religiosa); ma ero lì, sospesa in quella sorta di limbo incorporeo nel quale sopravviveva solo il mio dolore e pregavo. Non ho davvero idea di quanto tempo io sia rimasta in quello stato: in quella dimensione galleggiante il tempo (come qualsiasi altra cosa) funzionava in maniera diversa; o, per meglio dire, non scorreva affatto. Ad ogni modo, ad un certo punto, respirai.
Respirai e mentre l'aria mi invadeva la gola provocandomi un colpo di tosse mi resi conto di possedere nuovamente un corpo e, superato lo shock iniziale, aprii gli occhi: la luce mi ferì le pupille. Un numero indefinito di sensazioni mi colpì allo stesso momento ed inizialmente era semplicemente troppo, tutto insieme: i suoni, gli odori, i colori. Ero tornata. Di nuovo viva, in carne ed ossa, in quella strada. Mi ci volle qualche secondo per riprendere possesso delle mie facoltà fisiche e mentali, ma poi mi resi conto: ero di nuovo in quel punto, sul marciapiede, a pochi metri dalla strada sulla quale ero morta, travolta da un'auto in corsa. Ero lì. Viva. Com'era possibile?
-Ventiquattro ore - gridò all'improvviso una voce che sembrava provenire direttamente dalla mia testa; era femminile e robotica, simile ad una di quelle voci registrate che si sentono dopo aver digitato il numero dell'operatore telefonico. Eppure non proveniva dal mio telefono, ma dal mio cervello, come se qualcuno avesse inviato un messaggio direttamente all'interno della mia scatola cranica; ma chi? Dio? O forse il diavolo? O qualcosa di completamente diverso di cui non avevo ancora contemplato l'esistenza?