[Salve! chiedo scusa in anticipo per la lunghezza eccessiva del racconto, ma era davvero necessario per riuscire a scrivere tutto ciò che volevo scrivere. Comunque il racconto è suddiviso in più paragrafi, in modo che possiate leggerlo anche un po' per volta, se preferite! Detto questo, buona lettura!]
Lo specchio scuro e scintillante vibrava, increspando le immagini tremanti riflesse sulla sua superficie e rendendo quasi mobili quelle sfere lontane che, apparentemente minuscole, svettavano in alto, inchiodate a quel soffitto di cielo da cui traspariva solo una millesima frazione della straordinaria ampiezza di quell'infinito universo costantemente in espansione. Giochi di luci e colori si alternavano su quell'acqua di vetro, quella distesa silenziosa ed enorme, quello stralcio nostalgico di un paesaggio che ormai non esisteva più. La neve fragile aveva abbandonato ogni purezza; i frammenti delicati e bianchi erano ora calpestati, frantumati e sporchi, tra i piedi scalzi e gli zoccoli e le zampe pelose e sanguinanti e i supporti metallici arrugginiti e le lacrime disperse e ora congelate. Un clangore caotico ed assordante spezzava il freddo statico dell'aria e serpeggiava tutto intorno, come un assordante presagio.
La piccola creatura dal manto verde scuro e le lunghe orecchie penzolanti arrancava con stanchezza tra le strade inclinate e affollate di quel gelido paese della Norvegia, in quell'angolo di pianeta a lui così sconosciuto. Il bagliore luminoso e appariscente del sistema nervoso centrale che illuminava il suo stomaco (i cui meravigliosi e scintillanti colori erano da sempre stati motivo di vanto per la sua specie) si intravedeva ora, appena visibile nell'oscurità di quella sera spenta, pulsare di una flebile luce giallastra, fioca ed intermittente. Gli occhi gommosi, che solitamente guizzavano in ogni direzione, iper mobili e quasi liquidi, giacevano annacquati e flaccidi, all'interno di quelle tonde cavità che solcavano il suo muso stanco. La schiena era curva, piegata dal peso di una grossa sacca che pendeva come un feretro sulla sua schiena, e le zampe asciutte e sottili, simili a storte canne di bambù, si piegavano ad ogni passo con maggior curvatura, e con maggior fatica si risollevavano ogni volta, trascinando verso l'alto quel corpo che appariva ad ogni nuovo movimento più pesante. Eppure non si fermava. Sembrava animarlo qualcosa, come una forza invisibile che premeva all'interno di ogni punto del suo corpo squamoso e lo spingeva a continuare arrancando, in quella fila quasi infinita di creature stanche. Poteva essere la paura, a farlo camminare. Eppure le grida di quelle grosse armature nere e i lampi fosforescenti che fuoriuscivano di tanto in tanto dalle armi oblunghe e che si schiantavano o nella pietra, a pochi metri da lui, o nel ventre tenero di qualche strano essere, non sembravano neanche sfiorare le sue lunghe orecchie. Poteva essere l'istinto di sopravvivenza. Eppure non emetteva neanche un sussulto, quando qualcuno degli uomini che si trovavano insieme alle armature robot, tirava un calcio per puro divertimento alle sue ginocchia. Poteva essere speranza. Eppure lanciò uno sguardo indifferente, passando di fianco ad uno dei tanti fogli sbiaditi e stropicciati che giaceva a terra, raffigurante quel volto pallido e sottile i cui occhi di un verde vivido sembravano quasi trapassare la carta. Non provò niente, alla vista del grumo di saliva che si staccava con disprezzo dalle labbra della grossa creatura pelosa che camminava davanti a lui, e che affondava sulla fronte di quel volto così famoso e allo stesso tempo così impalpabile. Non provava rabbia, verso quel volto; non come la maggior parte delle creature della galassia. Non provava odio, verso quella figura leggendaria che si pensava stesse lottando per la libertà di tutti, ma che tuttavia pareva invisibile, e che non aveva impedito la loro cattura, le loro sofferenze, le loro morti. Non provava niente, così come non si prova niente verso qualcosa che si ritiene inesistente. Una figura leggendaria, mitologica quasi, una favola che gli esseri viventi provenienti dai pianeti più disparati ma accomunati dalla stessa, tetra ed invalidante stanchezza, avevano iniziato a raccontarsi per sopravvivere: così la pensava, quella creatura verde bottiglia. Dunque non era la speranza la forza che lo costringeva a porre un muscolo avvizzito davanti all'altro, anziché lasciare che il suo stanco corpo collassasse, proprio lì davanti alla grande piazza che avevano ormai quasi raggiunto, come tanti altri davanti a lui avevano già fatto. Nulla di tutto questo. Ma qualcosa. Qualcosa c'era. E fu quel qualcosa che lo indusse a bloccarsi di colpo. Era appena giunto davanti all'ampia piazza che si apriva intorno all'enorme edificio nero, (che non era in realtà un edificio bensì una gigantesca astronave) talmente imponente da sovrastare con la propria ombra quasi un terzo della città, oscurando le case e ponendo tutti gli stanchi e impauriti abitanti in una condizione di costante ed insidiosa oscurità. A pochi metri da quella piazza, si fermò. A causa di quel movimento improvviso, la creatura nera dietro di lui quasi inciampò, agitando convulsamente per rimanere in piedi le sue due gambe esili e sottili, che spuntavano in maniera ridicolmente sproporzionata dall'enorme corpo lucido sovrastante. Gli urlò contro qualche strano improperio in una lingua gutturale a lui sconosciuta; ma la figura verde non sentì. Tutti i suoi sensi erano concentrati sulla grande proiezione che brillava nell'aria attraverso una luce verde fosforescente, lì dove ormai era tradizione proiettare lo spettacolo serale (se spettacolo lo si poteva chiamare). La luce del suo ventre iniziò a pulsare ad un ritmo forsennato, variando il colore con sempre più intensità, e i suoi occhi, non più spenti, erano puntati su una sola figura all'interno di quell'enorme proiezione. Una sola, minuscola figura. Fu proprio in quel momento, che all'improvviso, forse per un caso fortuito, forse per il destino o forse per la volontà di quella Forza che ormai tutti avevano smesso di invocare, gli androidi che circondavano i prigionieri si bloccarono di colpo, tutti contemporaneamente, come se fossero stati tanti bambini intenti a giocare ad un-due-tre-stella. Fu solo per un secondo, ma bastò. La creatura iniziò a correre.