La torre si snodava alta e silenziosa forando il velo tetro e denso del cielo: non era notte né giorno, ma un tempo indefinito, in un momento indefinito, in un luogo indefinito. Apatico ed insignificante. Immerso nel vuoto doloroso del nulla.
Nel piano più alto di quella torre, sospesa in apnea oltre l'atmosfera, oltre il tempo, oltre il raggio vitale, una ragazza. I polsi doloranti, il sangue secco sul metallo delle catene, gli occhi socchiusi. Dormiva, bloccata in un lungo sonno senza sogni.
All'improvviso un suono incrinò il silenzio statico di quel luogo. Distante, flebile; come un filo sottile emerse esitante dalla nebbia eterea e apparentemente invalicabile che avvolgeva quella cupa stanza priva di tetto e la risvegliò dal suo torpore. Era una voce.
-Vieni stasera? –
La ragazza cercò di aprire gli occhi, confusa, sollevando le palpebre atrofizzate pesanti come macigni. Riconosceva quella voce. Sapeva da dove proveniva.
Dal Mondo Esterno.
Così lontano e irraggiungibile, come un miraggio; se ne era quasi dimenticata. Come poteva tornarci? Non sapeva neanche dove si trovava, ma soltanto che era lì da molto tempo. Ore, giorni, anni, decenni? Non ricordava. Il suo corpo era ormai solo un vuoto contenitore di dolore.
Ma doveva provare. Voleva provare.
Non appena la sua mente confusa formulò quel pensiero una chiave si materializzò dal nulla a pochi centimetri da lei, sul grigio cemento crepato che faceva da pavimento a quel luogo da incubo. Allungò le gambe, dapprima in un debole tentativo che diventò via via più intenso mentre i muscoli da tempo inutilizzati iniziarono lentamente a riattivarsi. Dopo alcuni minuti di sforzo sentì le dita del piede nudo posarsi sulla superficie fredda dell'oggetto di metallo. Lo trascinò verso di sé, riuscì ad immobilizzarlo tra le due piante del piede e piegò le ginocchia, portando le gambe all'indietro e cercando di avvicinarle il più possibile alle mani legate dietro alla schiena. Le sue dita sottili riuscirono finalmente a serrarsi attorno alla chiave. Non pensava che ci sarebbe mai riuscita.
Sentì un'emozione.
La sentì, ma non riuscì a ricordare il suo nome: nell'apatia in cui si trovava avviluppata da tempo immemorabile non aveva più provato una cosa del genere. Era una sensazione strana, ma piacevole. Stupita da quell'improvvisa vertigine, la ragazza impiegò un attimo per riprendersi, poi inserì la chiave nella serratura delle manette e girò.
Un allarme tonante esplose nell'aria tutto attorno, disintegrando il silenzio e scaraventando i frammenti di quella plastica quiete apparente un po' ovunque. Era un suono terrificante, intermittente, che le perforava i timpani e le penetrava dentro la scatola cranica torcendole il cervello e annodandole le budella e facendole vibrare le ossa, talmente fragili da dare l'impressione di potersi sbriciolare da un momento all'altro all'interno della sua pelle. Terrorizzata, alzò i polsi finalmente liberi in prossimità della testa e serrò i palmi delle mani contro le orecchie, con forza. Poi si sollevò sulle gambe traballanti e iniziò a correre.
Vide una scala, in fondo al tetto, che spariva nelle interiora dell'edificio; si gettò verso di essa, con il cuore che dava l'impressione di voler sgusciare fuori dal petto fuggendo dentro la gola e i timpani sempre più sofferenti a causa di quel continuo e stridulo rumore. L'aveva quasi raggiunta, quando sentì l'intera torre sotto di sé tremare, e forse anche la terra stessa, al di sotto. Si fermò di scatto, inorridita: un'enorme bestia nera aveva squarciato il telo cinereo e abulico che fungeva da cielo e ora la sovrastava con la sua ombra, sospesa proprio sopra la sua bramata via d'uscita. Il corpo era largo e tozzo, ricoperto da spessi e bitorzoluti aculei, e dal suo fondo si diramava una lunga coda bifida, grossa e spinosa, che si dibatteva ferocemente nell'aria. Ali come areoplani si estendevano gigantesche fendendo il cielo e vibrando nell'aria. Dal muso piatto spuntavano due enormi fessure orizzontali, che brillavano minacciose e crudeli di un'inquietante luce rossastra. Assomigliava vagamente ad un drago, ma qualcosa nella sua figura sibilante e disgustosa, di quel nero catrame, le ricordava di più un ragno: una creatura che avrebbe potuto prendere vita soltanto negli incubi più tetri e più oscuri di una mente deviata. Sul suo corpo, al centro, sedeva una figura incappucciata, avvolta in uno scuro mantello fumoso e svolazzante. Non fece in tempo a reagire che quell'enorme mostro si gettò contro di lei, spalancando la mandibola gigantesca e mostrando una fila di denti aguzzi e deformi. La ragazza si ritrovò a rotolare per terra, sul freddo pavimento, mentre udiva un fragoroso frastuono a pochi centimetri da lei: dalle fauci della bestia si era sprigionato un violento getto infuocato. Vide fiamme nere espandersi come un virus, incendiando la pietra tutto intorno e generando un enorme buco che come una ferita aperta sembrava sanguinare, impregnandole il naso di fumo e morte. Riuscì ad alzarsi, evitando per un soffio una seconda vampata che polverizzò il pavimento nel punto esatto in cui si trovava lei pochi istanti prima; poi si lanciò di corsa verso le scale. Non appena i suoi piedi scalzi si posarono sulle assi di legno sentì l'enorme coda bifida strisciare nell'aria come un serpente ed abbattersi contro le scale in uno stridente fragore; senza il tempo per pensare, si lanciò in avanti.