L'oscurità è pervasa da un profumo delicato, un misto tra l'odore delle rose del giardino dietro la scuola e quello della soffice torta di mele che gli cucina sua madre una volta al mese. O è forse il fresco e pungente odore dell'erba appena tagliata? O il pesante e nostalgico sapore dell'aria subito dopo la pioggia? È steso su un enorme bolla di sapone e sta fluttuando. Dove non si sa, ma si sente in pace. Quel buio di solito sempre così sconfortante non sembra più un peso, ma appare quasi luminoso, animato e bellissimo. Un coro di violini e voci angeliche lo avvolge; o è forse la voce di sua madre che gli legge un libro? Oppure quella profonda e confortante di suo padre? Sente qualcosa sul viso. Un tocco leggero, delicato. Quelle dita affusolate, quella pelle morbida. Sa di chi è quella mano, può appartenere solo ad una persona. Sorride e schiude le labbra, per pronunciare il suo nome...
Un suono stridulo e persistente si introduce all'improvviso incrinando quel buio dolce di suoni e odori e strappandogli quella strana sensazione di completezza e pace. Lentamente, quelle vaghe percezioni iniziano a traballare, zoppicando e sfumando fino a scomparire del tutto nell'universo dimenticato del suo subconscio.
Samuel si ritrovò scaraventato nel buio oscuro della veglia.
Un buio più freddo, più reale e anche più buio. Il suono irritante e sempre più insistente della sveglia continuava a trapanargli il cervello, rendendogli quasi impossibile pensare. Allungò una mano verso la sua destra, con calma, ispezionando meticolosamente il buio: stese il braccio in modo da formare un perfetto angolo retto con il resto del busto, poi iniziò a spostarlo verso il basso, piano; le sue dita sfiorarono la superficie fredda e piatta del comodino. Accarezzò lo spazio vuoto fino a che il suo palmo non si posò sull'unico oggetto presente sul ripiano (meglio non rischiare di fare infrangere qualcosa per terra di prima mattina); poi premette il grosso pulsante della sveglia rettangolare. Finalmente la sua mente stanca e sofferente fu avvolta da un cauto e calmante silenzio.
-Sono le sei e zero sei minuti, del diciannove Ottobre duemila e diciassette – annunciò la voce elettronica e femminile proveniente dalla sua sveglia: un nuovo giorno era appena iniziato. Samuel sospirò.
Sentiva i passi di sua madre in corridoio diventare sempre più concreti e rumorosi, perciò si affrettò a girare la chiave nella serratura della porta del bagno. Suono di nocche che colpiscono il legno. Quattro tocchi precisi. Poi altri quattro.
-Sam! – la voce di sua madre risultò meno dolce di quella che gli sembrava di aver sentito in sogno, ma era anzi solida e robusta, così come Samuel l'aveva da sempre considerata – Dai, apri la porta che ti aiuto a lavarti i denti! – Lui alzò gli occhi al cielo, mentre sentiva i nervi tendersi e una sensazione di esasperazione da tempo trattenuta farsi strada come un fiume in piena tra i suoi muscoli. La represse, per quanto gli fu possibile.
-No, faccio da solo mamma, sono capace- La sua voce risultò solo vagamente isterica ed irritata. Si compiacque di sé stesso per la sua brillante capacità di mantenere la calma. Dietro al legno duro della porta ci fu un istante di riflessivo silenzio.
-D'accordò- sospirò alla fine la voce di sua madre –Vado a finire di prepararti la colazione. Stai attento –
Samuel rilassò i muscoli che stava tendendo ormai da qualche minuto e per un attimo rimase accasciato sulla porta di legno, la schiena premuta sulla superficie liscia e le mani strette attorno alla sua lampadina personale, il suo bastone. Davanti a lui il buio del bagno. Non lo avrebbe mai ammesso con nessuno, neanche con sé stesso, mai, ma si sentiva spaventato. Si sentiva sempre spaventato. Quel sentimento per lui era talmente normale da non sembrare neanche più un vero sentimento, ma piuttosto una parte della sua vita quotidiana; come l'oscurità costante, il suo bastone e il non essere mai sicuro di stare andando nella direzione giusta. Si staccò lentamente dalla solidità confortante della porta, immergendosi nel buio. Il suono metallico della punta del bastone sul pavimento gli indicava la via. Lo seguì, come una pista segreta su una mappa del tesoro, mentre con il braccio libero esplorava l'aria in cerca di un contatto solido. Lo trovò dopo poco, a mezzo metro da lui, circa all'altezza del suo stomaco: freddo e solido, il bordo di ceramica del lavandino. Ne percorse il perimetro, spostando il braccio sempre più avanti fino a sfiorare il bicchiere posto sul fondo, nella porzione del mobile attaccata al muro. Afferrò l'unico spazzolino posato all'interno (quelli dei suoi genitori erano sulla mensola, in modo da rendergli più facile riconoscere il proprio) e il dentifricio, lì accanto. Con manovre lente ma precise spalmò la pasta sulle setole, ripose il tubetto nel bicchiere e sorridendo si infilò in bocca lo spazzolino. Iniziò a lavarsi i denti, canticchiando con la bocca piena, improvvisamente di buon umore.