Capitolo 4

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"Margaret! Margaret! Torna qui, ti prego, torna da me! Io non volevo! Io ti rivoglio con me! Mi mancano i nostri momenti assieme."
Margaret si girò verso di me e con la sua voce angelica mi sussurrò:
"Ormai è troppo tardi per tornare indietro. Mi dispiace."
Mi diede un bacio sulla fronte, come faceva ogni volta per farmi calmare, e se ne andò.
La vedevo allontanarsi e sparire dopo ogni passo, mentre io, in lacrime, gridavo il suo nome; come se servisse a qualcosa: lei se ne era andata, per sempre, per colpa mia.
"Sei proprio una stupida."
Alzai lo sguardo, c'era il vuoto assoluto, eppure io l'avevo sentita quella voce.
"È solo colpa tua se sei ridotta in queste pessime condizioni."
Eccola che la risentivo, ed ecco di nuovo il vuoto assoluto, però, nonostante cercassi di negarlo
quella voce aveva ragione; da qualunque parte provenisse, aveva ragione: io ho ucciso Margaret, è solo colpa mia se non potrò più rivederla; è solo colpa mia se, pur per non ritrovarmi in quell'inferno di carcere, dovevo nascondermi su dei tetti; è solo colpa mia se sono la criminale più ricercata al mondo; è solo colpa mia se sono sempre triste e non sono più me stessa.
Piangevo, non facevo altro ormai. Quando ero in carcere era diverso: lì dovevo pensare a sopravvivere, non avevo tempo di piangere.
Mi circondai le gambe con le braccia e appoggiai la testa su di esse. Dove mi trovavo? Perché c'era del buio intorno a me? Non ricordavo di essermi spostata, dopo essermi addormentata...
"Svegliati ragazzina?"
Chi ha parlato? Non era la voce di prima. Era una voce più...umana.
"Senti, è meglio che ti svegli. Non sono un tipo calmo, quindi non farmi perdere la pazienza."
Non capivo. Da dove proveniva la voce? Perché mi diceva di svegliarmi?
"RAGAZZINA!"
Mi alzai a sedere all'improvviso per lo spavento. Non ero più circondata dall' oscurità, intorno a me c'erano dei grattacieli. Allora stavo sognando, era tutto un sogno, ma quella voce, quella che mi ha dato della stupida, mia sorella: quelli erano davvero finti? Era davvero tutto un sogno? Mi girava la testa e mi veniva da vomitare: è una sensazione orribile.
Poi l'ultima voce che ho sentito, quella che mi diceva di svegliarmi, non c'entrava minimamente col sogno. Non stavo capendo più nulla. E nel mentre stavo pensando, vidi una mano che sventolava davanti ai miei occhi. E quella voce, era di nuovo qui.
"Ragazzina finalmente ti sei svegliata. Ci sei?"
Mi girai verso la direzione da dove proveniva quella voce: era un ragazzo, forse poco più grande di me; era biondo e aveva gli occhi grigi, abbastanza muscoli, e uno sguardo confuso risaltava sul suo viso: non male direi.
"Tu chi sei?"
Sarei dovuta scappare, poteva essere uno delle persone che mi cercava, ma non mi importava molto, mi incuriosiva troppo quel ragazzo.
Ghignò. Ottimo segno direi: mi avevano trovato, ora potevamo portarmi in carcere.
"Dai, mettimi le manette e facciamola finita: non ho voglia di scappare oggi."
E misi i polsi, in modo che potesse ammanettarmi. Ma non fece nulla, anzi, mi guardò ancora più confuso di prima.
"Perché dovrei ammanetterti? Sei percaso una criminale?"
E incominciò a ridere.
E proprio scemo allora.
"Sì genio, per la precisione, sono la peggiore di tutte."
"Ah, ma quindi sei Rosemary Blake?"
"No, sono Johnny Depp. Certo che sono Rosemary Blake razza di genio! Chi altro potrei essere?"
"Non lo so, Emma Watson, lei sì che è una bella donna, non che tu sia da meno, ma Emma Watson è Emma Watson."
Mi stava irritando come pochi, ora lo ammazzo, tanto sono già una criminale, un omicidio in più non guasta, e poi un giorno mi ringrazieranno per aver salvato il mondo, levando di mezzo questo esemplare.
"Senti Einstein, ora devo andare, ma è stato un piacere, più o meno, parlare con te."
Me ne stavo per andare quando, prendendomi il polso, mi bloccò.
"Senti ragazzina, sono un tipo simpatico, non posso negarlo, ma mi dovresti come minimo un favore per quello che ho fatto."
Ero abbastanza scettica e, alzando il sopracciglio, gli dissi:
"Senti lo dico io, e poi io non ti devo un bel niente, perché, a parte avermi svegliato, non hai fatto un bel niente."
Incrocia le braccia, andandomene di nuovo. Mi bloccò di nuovo, mettendosi davanti a me.
"Ed è qui che ti sbagli ragazzina, tu mi devi un favore perché ti ho, appunto, svegliato. Immagina che qualche poliziotto ti avesse visto mentre dormivi, che avresti fatto?"
Era soddisfatto e del tutto convinto della sua opinione. Che pena.
"Mi sarei fatta prendere, così non ti avrei mai incontrato. Contento? Ho risposto alla tua domanda."
Feci per spostarmi di nuovo, ma fu tutto inutile, perché mi prese di peso e mi fece sedere di fronte a lui. Questo ragazzo ha dei seri problemi.
"No ragazzina, non sono contento, ti ho salvato la vita, voglio almeno un ringraziamento."
Sbuffai.
"Tu fino a cinque secondi fa nemmeno sapevi che fossi una criminale."
"Dettagli."
"Dettagli un corno. Poi mi spieghi perché sei su questo tetto?"
"Questo è il mio covo."
"Il tuo che?"
"Il mio covo ragazzina, sai cosa sono, no?"
"No guarda. Comunque perché sarebbe il tuo covo?"
"Be', diciamo che più che altro è la mia ancora di salvezza: nessuno riesce a sfuggire dalla padella di mia madre, una volta che ti ha adocchiato."
"Una padella?"
Dissi con un sorriso divertito, anche se non sapevo se ridere o essere sbigottita, per via della situazione.
"Mia madre è una tipa alquanto violenta, ed io un tipo alquanto vivace. Combaciamo alla perfezione."
Incominciai a ridere come una matta: stavo immaginando la scena, ed era uno spasso.
Lui mi guardò un po' sorpreso: non immaginava che incominciassi a ridere e nemmeno io; era da tanto che non ridevo, da quel giorno di anni fa che non lo facevo, anche per questo smisi di farlo."
"Scusa, ora devo andare, stare troppo in un posto potrebbe insospettire."
E mi alzai.
"No raga...volevo dire Rosemary, non te ne andare."
"Cosa vuoi ancora?"
Era meglio che facesse in fretta, mi stava venendo da piangere, e preferivo stare sola.
"Voglio conoscere la tua storia. Per piacere."
Lo guardai interdetta per un po', poi, prendendo tutte le mie ultime forze, mi girai verso di lui.
"Se mai un altro giorno. Te lo prometto, se mai ci rincontreremo."
"Va bene." Mi sorrise; feci lo stesso anche io, instintivamente, era da tanto che qualcuno non mi sorrideva, a parte stupidi ghigni e falsi sorrisi da parte delle guardie del carcere.
Saltai il primo grattacielo, quando, con gran voce, il ragazzo mi parlò.
"Sebastian, mi chiamo Sebastian, sai, nel caso ci rincontrassimo."
Mi girai nella sua direzione, ma era già scomparso.
Guardai davanti a me: ero circondata da immensi palazzi.
E così si chiamava Sebastian.

Rosemary Blake: Storia di un'assassinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora