Capitolo 5

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"Soldi spesi inutilmente, soldi buttati nel cesso."
"Shawn smettila, non è affatto vero."
Mio padre rise sarcasticamente.
"Davvero?" Alzò un sopracciglio.
"Schizzofrenia e voci nella testa? Non si preoccupi, sarà risolto in un batter d'occhio." Disse mio padre imitando la voce del mio dottore. "Sono mesi che andiamo lì. Mi sembra di star esagerando qui."
"Mica pretendi che passi in un paio di giorni? È comunque una patologia..."
"So cos'è cara, ma vorrei giusto specificarti che non siamo proprio ricchi."
"Ma non possiamo lasciare nostra figlia in quelle condizioni."
Sbuffò mia mamma.
"Ho un'idea, rinchiudiamola in un manicomio." Disse mio padre, orgoglioso della sua geniale, a detta sua, proposta.
Mia madre lo guardò furibonda
"Mi sono stancata del tuo comportamento! Ti sembrano cose da dire!"
Un vaso venne preso dalla credenza e venne schiantato al suolo, venendo rotto in mille pezzi.
"Tu! Vorresti dire che tu ti sei stancata Corinne? Tu! Mentre tu ti lamenti del mio comportamento, sono io che mando avanti questa famiglia con i miei sacrifici; sono io che lavoro ogni fottuto giorno per pagare quella fottuta clinica del cazzo per il problema Rosemary; sono io che devo lavorare il doppio del dovuto per mandare Margaret e Rosemary a scuola; Tu invece! Che cazzo fai! La parrucchiera? Scommetto che è un lavoro faticosissimo e che torni ogni giorno a casa stremata. Non lavori nemmeno tutto il giorno, non puoi permetterti di lavorare."
"Smettila Shawn, pensi di essere l'unico a fare dei sacrifici qui? È vero, tu lavori il doppio, ma chi è che ti fa trovare un pasto caldo a tavola? Chi è che si occupa della casa e delle nostre figlie? Chi è che porta Rosemary e Margaret a scuola? Chi è che le aiuta a fare i compiti? Chi è che porta Rosemary dallo psicologo? CHI!? TU SEI TROPPO IMPEGNATO A LAVORARE E A LAMENTARTI PER ACCORGERTI CHE LORO HANNO BISOGNO ANCHE DI TE, OLTRE CHE DEI TUOI SOLDI, PER ACCORGERTI CHE IO HO BISOGNO DI TE! SENTIAMO LA TUA MANCANZA IN QUESTA CASA, MA A TE SEMBRA NON FREGARE NULLA DI NOI!
Non hai capito proprio un bel niente Shawn."
Mia madre stremata, infuriata e senza fiato, mio padre accigliato e confuso dalla rivelazione di mia madre; era questa l'ultima cosa che avevano visto i miei occhi innocenti, l'ultimo ricordo che avevo dei miei genitori, anche se non vorrei ricordarlo. Quello che accadde dopo la litigata dei miei fu orribile, un'altra cosa che vorrei cancellare dalla mia mente. Ricordo le scale diroccate che percorsi per salire al piano superiore, la mia casa era vecchia decenni, la famiglia Blake viveva lì da generazioni; mio padre era legato a quella casa, lì aveva passato i migliori anni della sua vita e non aveva intenzione di andarsene. Una volta mia madre mi disse che anche se avesse voluto, non avremmo potuto cambiare casa per mancanza economica, le chiesi anche se fosse a causa mia, però, non ebbi mai risposta una certa: o cambiava discorso, o si inventava qualche scusa poco plausibile, a parer mio, per andarsene; qualche volta aveva provato a negare, ma si era resa conto anche lei che mentire non era il suo forte.
Margaret, eccola lì, distesa sul letto sorridente: sta guardando soddisfatta il suo ennesimo disegno, anzi, capolavoro.
"Ehi, ti piace il mio disegno?"
"Sì, sai cosa penso dei tuoi disegni, per me, sono sempre spettacolari."
Rise.
"Non esagerare, mi diletto, non sono granché infondo."
Disse mostrandomi il disegno di una casa, la nostra casa. Il disegno poteva essere confuso per una fotografia, per quanto fosse perfetto.
"Stai scherzando vero? Poi vorresti dire che esagero: la parola capolavoro sminuisce il tuo disegno Margy." Dissi con naturalezza. Era la verità.
La vidi spalancare gli occhi per la felicità, li vedevo quasi brillare.
"Allora lo faccio vedere subito a mamma e a papà, saranno entusiasti, soprattutto papà, amando l'arte come me."
Già, papà, oltre a fare l'architetto, faceva anche il pittore, lavoro che gli costava ore intere della giornata. La mamma aveva ragione: il papà non c'era mai.
A proposito di questo, mi sbalzò bella mente, come un lampo, la conversazione, anzi la litigata pesante avuta tra i nostri genitori.
"No Mar, ora mamma e papà sono impegnati a litigare per pensare al tuo disegno."
Sbuffò e butto per terra il disegno, incrociando le braccia.
"Di nuovo."
"Come di nuovo?"
Margaret mi guardò sorpresa, forse aveva appena capito di aver parlato sin troppo, ma ormai era tardi.
Aveva gli occhi spalancati, non proferiva una sola lettera.
"Cosa intendevi con di nuovo?"
Diede un calcio alla sedia disposta accanto a lei, poi, dopo essersi calmata, prese un respiro profondo e si decise a rispondermi.
"Non è niente di grave Rose, ai genitori capita di litigare fra di loro, fa parte del normale ciclo di una coppia sposata e non."
Non l'ascoltai più di tanto, per un attimo mi passò davanti la sensazione di essere io la causa di tutto questo: ero io che dovevo andare ogni settimana in clinica per curarmi e questo portò mio padre a lavorare il doppio, di conseguenza lui era più stanco, nervoso ed irritabile; poi io non facevo progressi con la cura dallo psicologo, da quello che avevo più o meno capito, e quest'altra cosa li portò allo sfinimento, facendoli litigare.
"È colpa mia, vero?"
Mi sedetti sulla poltrona vicino al mio letto, incominciai a tremare senza motivo e a sentire un fischio continuo e assordante che mi fece portare automaticamente le mani sulle orecchie, come se in qualche modo lo potessi fermare. Ma il fischio, proveniva dalla mia testa, niente lo avrebbe fermato.
Margaret mi prese le mani e le tenne fra le sue, iniziando a parlare in modo dolce e rassicurante.
"No cucciola, non è colpa tua, non è mai stata colpa tua. Come ti ho già spiegato,..."
"Papà ha detto che le cure non servono più a nulla, che devo essere rinchiusa in un manicomio. Ha detto che non vuole spendere soldi per una cosa inutile come questa; mamma mi ha difeso ed ecco che hanno preso ad urlarsi fra di loro."
Mi sorrise debolmente.
"Vedi Amore, non sei tu la causa, è nostro padre che ha detto che le cure erano inutili, è papà che spara cavolate. Non ti manderanno in un manicomio."
Qualcosa in me scattò.
"SÌ, MA SE NON FOSSI MAI NATA, NON SAREBBE SUCCESSO NULLA DI TUTTO QUESTO, SE NON FOSSI MAI ESISTITA, TUTTO SAREBBE PERFETTO IN QUESTA FAMIGLIA!"
"Rosy, calmati,"
Mi prese per le spalle.
"andrà tutto bene. Tutto quello che hai detto è una stupidaggine"
Lì non riuscii più a controllarmi, ero persa per sempre.
Mi guardai allo specchio: i miei occhi erano rossi, le pupille dilatate. Sembravo un mostro, e forse lo era davvero. Nel riflesso vidi mia sorella che mi guardava, ma, come detto in precedenza, ero andata persa, non ragionavo più, non ero più me stessa.
Sollevai lo specchio , e, con una forza che non mi apparteneva, gliel'ho sbattei sulla nuca, ferendola mortalmente. Ricordo ancora il suo sguardo impaurito e lei che cercava di scappare; ricordo il corpo travolto dallo specchio, il sangue che sgorgava all'infuori, come un loop infinito.
Mi inginocchiai dinanzi a lei e la osservai impassibile.
Le urla dei miei, la mamma piangente e il papà preoccupato che mi scuoteva bruscamente, chiedendomi cosa fosse successo.
"Sono stata io." Sorrisi. "Non la sopportavo più."
I miei chiamarono l'ambulanza e la polizia. Continuai ad osservare il corpo esanime di mia sorella, vicino a lei, cosparso di vetri e sangue, c'era il suo amato disegno, il suo ultimo disegno; lo presi e lo piegai, nascondendolo nella mia tasca.
Fui portata via, senza che io mi opponessi in qualche modo.
Per mia sorella non ci fu nulla da fare.
Ormai era morta, era andata via per sempre. Non avevo ancora preso piena coscienza della morte di mia sorella. Ero ancora troppo impegnata a combattere contro me stessa.
Avevo ancora il suo disegno. Era il mio portafortuna.


Rosemary Blake: Storia di un'assassinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora