34 | compromise

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Ruth's point of view

Il sole inonda la camera e accanto a me Jason sta tirando giù tutti i santi, per essersi scordato di abbassare le tapparelle la sera prima.
Io, invece, sono ancora immersa nel sonno e nel momento in cui apro gli occhi, essi chiedono pietà non appena vengono accecati dalla luce, incominciando anche io a maledire il cestista.
Insomma, di sicuro non mi aspettavo di svegliami con la colazione a letto o, tanto meno, di ritrovarmi un modello a fare lo spogliarello, ma come minimo non con il sole in faccia.

"È presto, chiudi quelle cazzo di tapparelle." borbotto estremamente contrariata all'idea di dover affrontare la giornata così presto e Jason, come ogni essere normale, si trova nella mia stessa barca.

"Non ho intenzione di alzarmi." controbatte e io affondo il viso sul cuscino, allungando la mano per vedere l'ora al cellulare.

"Se non ti alzi immediatamente, ti giuro che non rivedrai la mia amichetta per un lungo periodo." provo a minacciarlo, anche se la voce mi esce assai roca, e non con la decisione che avrei voluto mostrare.

"Vado, vado." sbuffa, tirandosi in piedi seccato, mentre io sorrido soddisfatta, ma neanche il tempo di avvicinarsi alla finestra, che la porta della stanza si spalanca annunciando l'ingresso della dolce Sophia, la benedetta donna che ha messo al mondo quel coglione di Jason.

"Buongiorno, ragazzi! La colazione è pronta, sbrigatevi a scendere." ci comunica teneramente, e vorrei solo sotterrarmi sotto terra, date le condizioni in cui siamo entrambi: io solo in intimo, per mia fortuna coperta dalla trapunta del letto, e lui in boxer neri, non poco appariscenti.
Detto ciò, esce dalla camera come se nulla fosse, come se non fossero le otto del mattino, di una fottuta domenica.

"Mi prende per il culo, vero?" mi domanda sarcastico Jason, ancora in piedi con un occhio mezzo chiuso, e a petto nudo.
Non ho neanche la forza di ammirarlo, rendiamoci conto.

"La madre è tua, non mia." dico, invidiandolo nel profondo, ma desiderando anche d'essere in un'isola sperduta per dormire fino a quando voglio.
Ma le gioie, non le ricevo mai.

"Ma io mi chiedo, non poteva mandarmi un fottuto messaggio o chiamarmi? Non c'era bisogno di venire fino a qua!" impreca contro sua madre, anche se non lo pensa davvero, perché sappiamo entrambi che è contento di rivederla, come ogni figlio lo sarebbe.

"Non ho le forze di alzarmi, Jason." ammetto, anche se ne era già consapevole, girandomi verso il soffitto, mentre lui mi guarda dall'alto, non collegando subito le mie parole. Ma quando lo fa, si accende subito, come fosse una lampadina, e salta sul letto, che rimbalza sotto il suo peso.

"Del bel e sano sesso ti sveglierebbe alla perfezione." commenta malizioso, ma anche se la proposta mi piace assai, sono costretta a rifiutare dato che riesco a mala pena ad aprire gli occhi, come potrei mai togliermi il reggiseno.

"Trova un'altra serratura da aprire con la tua chiave." replico, vedendolo subito spegnersi, come se gli avessi detto che il suo cane è appena morto.

"Ma la chiave apre solo la tua serratura." cerca di ammorbidirmi, e ci sarebbe pure riuscito, se non fosse stato per le urla della madre che giungono dal piano terra, che ci intimano di scendere per fare colazione.

"Ma porca puttana!" esclama e in fretta e furia, va verso le scale senza neppure aspettarmi. Non ci do molta importanza e prendendo un paio di pantaloncini e una maglietta a maniche corte, li raggiungo tranquillamente. Improvvisamente, quando li vedo alle prese in cucina, mi intenerisco: parlottano scherzando, si spingono leggermente e si abbracciano. Quando si rendono conto della mia presenza, Jason prende le distanze, imbarazzato; ah, gli uomini!
Sophia mi stampa un bacio sulla guancia e prendendo la sua borsa, si indirizza verso l'uscita, ma poco prima che metta fuori piede, addita suo figlio:"Se non ti vedo alla finale, ti faccio diventare una femmina! Ho sempre desiderato una bambina."

"Ti voglio bene anche io, mamma." ridacchia l'altro, probabilmente abituato alle minacce che al posto di intimorire, ti provocano risa.
Sventolo la mano per salutarla e una volta rimasti soli, io e Jason facciamo colazione.

• • •

"Andiamo, piccola, sono già bravo di mio, non mi serve che mi alleni." Jason palleggia la palla facendola poi passare con estrema facilità tra le gambe, avanti e dietro. É da più di mezz'ora che stiamo giocando, o meglio dire, lui che corre e io che tento scarsamente di marcarlo. Sono sempre stata competitiva anche se spesso la voglia era poca, mi impegnavo per vincere.

"Perché non andiamo a casa? É l'ultimo giorno che stiamo qui, domani dobbiamo partire." insiste, avvolgendomi la vita con le braccia.

"Devi allenarti! Non giochi da quando siamo qui."

Onestamente mi interessa poco e niente, ma ormai l'ho promesso a sua madre e non posso permettere che il mio ragazzo faccia schifo alla finale di questo fine settimana.
Oddio, l'ho appena definito il mio ragazzo?

"Lo so, ma non vuol dire che faccia schifo adesso. Ti prego, andiamo a divertirci a casa! Magari facciamo una bella doccia assieme."

"No." obietto e poi mi viene un lampo di genio, "Tu devi allenarti, ma ovviamente giocare in campo non ti esalta quanto giocare a letto... perciò, che ne dici di un compromesso?" deglutisco sapendo già che me ne pentirò, ma é una testa calda quanto me e l'unico modo per smuoverlo é venirgli incontro.

"Cioè? Giochiamo a basket a letto?"

"No, razza di coglione. Facciamo solo una partita" lo insulto, rubandogli la palla e poi elenco a fatica:"Ad ogni canestro da un punto, un bacio; ad ogni canestro da due punti, una doccia assieme e, infine, ad ogni canestro da tre punti, uno spogliarello privato."

Mi fissa sorpreso e incredulo, come se stesse per scoppiare a ridermi in faccia con tanto di schizzi di saliva, ma no, si limita a un sorriso che di innocente non ha proprio nulla.

"Per quanto riguarda me, ad ogni canestro da un punto, un massaggio; ad ogni canestro da due punti, mi compri tutto il cibo che voglio e, infine, ad ogni canestro da tre punti, mi regali una tua maglietta o felpa."

"Ma fai sul serio?" si accerta e visto che il danno é ormai fatto, inarco un sopracciglio, con fare di sfida e gli rispondo con un'altra domanda:"Tu che dici?"

"Che abbia inizio la partita allora."

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