Compagno di giochi

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[Non sarà proprio uno spoiler di Lost In Our Dream se leggete, forse farà avanzare una ship e sarà più divertente, ma se non volete proprio sapere nulla prima del tempo non andate avanti con la lettura]


"Vuoi giocare a palla con me?" disse sorridendo, pregustando già il divertimento.

"No, mi dispiace..." fu la deludente risposta della ragazza "vado di fretta!" si giustificò.

"Oh... va bene" disse il bambino, visibilmente triste.

Quella che avrebbe dovuto essere la sua compagna di giochi si allontanò.

Lui riprese a passeggiare per il quartiere, sotto l'ombra degli alberi frondosi di quella stradina.

Procedette calciando il pallone e correndoci dietro. Si era stufato; non era divertente.

Poche pallonate dopo scorse un gruppo di bambini proprio nel centro del parco della cittadina.

Strinse al petto il pallone e si mise a correre verso di loro.

"Ehi!" urlò nella loro direzione. Molti si girarono, altri non sembravano averlo sentito.

Li raggiunge e finalmente chiese, speranzoso: "Volete giocare con me a palla!?"

Il bambino al centro lo guardò in malo modo, spegnendo il suo sorriso.
"No." rispose secco, riabbassando gli occhi sul videogame a cui stava giocando.

"Ma... perché!?" chiese il bambino, deluso.

"Perché è da poppanti!" si fece sentire un'altra voce, scatenando l'ilarità del gruppetto.

"Non é vero!" si offese lui.

Tutti continuarono a ridacchiare.

"Mia mamma diceva sempre che dovete provare una cosa prima di dire che non vi piace!" continuò, arrabbiato.

Dal gruppo spuntò una bambina: "Ci gioco io a palla con te!" disse con un sorrisetto antipatico.

Un barlume di speranza si fece largo nel cuore del piccolo, sentendo quelle parole.

"Sì!" gridò entusiasta, allungando l'ultima vocale mentre saltellava.
Porse poi la palla alla bambina, che la posò a terra e la calciò, con tutta la forza che aveva, proprio dall'altra parte della strada.

Tornò subito dopo nel bel mezzo del gruppo, tra gli applausi e le risate dei suoi amici.

Si sentiva preso in giro. Era di nuovo triste.

Si allontanò scoraggiato dai bambini, verso la palla.

Non gli restava che sdraiarsi sotto l'ombra del grande albero all'entrata del parco e cercare qualcuno che avesse voglia di giocare con lui.

Si distese.
L'erba fresca gli solleticava il collo. La palla impolverata giaceva alla sua sinistra, a contatto con la corteccia della quercia.

Era rimasta sempre con lui. Era l'unica cosa che non l'aveva mai abbandonato. Sperava solo che non la rubassero.

Una brezza leggera sfiorò il suo viso, e il bambino cadde in un sonno tranquillo.

Un leggero tocco lo svegliò.
"Ehi" sussurrò qualcuno, molto vicino a lui.

Aprì gli occhi.

Una bambina stava cercando di svegliarlo.

"Che cosa c'è...?" chiese, con la voce ancora assonnata.

"Ho visto quei bambini portarti via la palla, e l'ho ripresa per te!" sorrise lei.

Il bambino sentì il suo cuore risplendere, sentendo quelle parole.

"Davvero!?" chiese, felice.

La piccola annuì.

"Grazie!" si mise a saltellare.

Si calmò di colpo, pensando se fare quella domanda.

"Vuoi...?" iniziò, indicando la palla che aveva in mano.

Lei lo guardò, in attesa della fine della frase.

"Vuoi giocarci con me?"

La bambina annuì nuovamente, sorridendo.

"Evvai!" riprese a saltellare.

"Come ti chiami? Io sono Noah. Lo so che è un nome un po' strano" ridacchiò "ma mia mamma mi chiamava sempre così" si presentò.

"Io sono Rebecca. Il tuo nome non è strano, ha un bel suono" anche il suo nome era bello, pensò Noah.

"Vieni, Rebecca! Conosco un posto perfetto per giocare!"

Poco dopo si trovavano nel grande prato che Noah aveva pensato.

Iniziarono a giocare. Passaggi, pallonate, tanti altri giochi.

Finalmente Noah era felice.

Qualcuno voleva giocare con lui.

Qualcuno forse gli voleva bene.

Anche lui poteva avere degli amici.

Poi parlarono, di tutto e di più. Passeggiarono calciando la palla insieme.
Risero per le cose più stupide.

Si sentiva capito, si sentiva voluto bene.

Voleva che quel giorno non finisse mai.

Non voleva tornare a casa dalla nonna. Voleva restare con Rebecca.

I capelli castani, morbidi come quelli di sua madre. Gli occhi scuri e allegri.

Era la sua unica amica. La conosceva solo da un giorno, ma le voleva bene. Le voleva più bene della sua amata palla.

La palla che non l'aveva mai abbandonato.

Sì, avrebbe voluto stare insieme a Rebecca per sempre.

Purtroppo, però, fu costretto a svegliarsi dal suo pisolino sotto l'albero e a prendere la sua amata palla, per poi tornare a casa con la delusione nel cuore, accompagnato solo da tramonto.

Da un'altra parte, però, chissà dove, una bimba di nome Rebecca faceva la stessa cosa.

Fonte d'ispirazione: bambino nel gioco "The last day of June".

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