Capitolo 4: Confessioni Imprigionate

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«Sì, tu chi sei?» chiese Mark.

«Adam Ramìrez.», la voce aveva un forte accento spagnolo.

«Un messicano di nome Adam: ora le ho sentite davvero tutte! Io sono Mark.»

«Si, non me lo dire, amigo. Mia madre era una grande fan di Bryan Adams.» Accennò un sorriso. «Che grado ti hanno dato?»

«Come?»

«Il grado di isolamento, lo chiamano così. Sono tre: il Primo, quello più blando, ti permette di avere accesso ai libri, alla macchina da scrivere e alle visite una volta a settimana. Con il Secondo non ti lasciano neanche le tue mutande o i tuoi calzini, cazzo! Ti devi mettere i vestiti usati da tutti gli altri cabrón qui dentro. Il Terzo è al limite dello schiavismo, amigo. Libri, deodorante, dentifricio, visite: nulla di tutto questo! Solo un paio di francobolli per inviare qualche lettera de mierda

«Dalla puzza che sento addosso, sicuramente la seconda cosa che hai detto.»

Un gelido silenzio scese sulla conversazione. Entrambi sapevano quale sarebbe stata la domanda seguente.

«Allora... perché sei qui?»

«Sono innocente!» rispose Mark.

«Certo, amigo. Come tutti qui dentro! Anche io all'inizio ero come te. Questo posto ti cambia. Io sono cambiato... ora sono sincero con me stesso. Ho accettato le mie colpe, le mie responsabilità.»

«Allora sii sincero anche con me, "amigo".»

Adam fece una lungo sospiro. Si avvicinò alla porta della sua cella e cominciò a parlare attraverso l'unico spiraglio. «Sai, nella vita puoi fare molte cose sbagliate, ma le scelte... beh amigo, le scelte sono quelle che ti segnano per sempre.»

Mark si stese sul materasso, incrociando le mani dietro la testa e portando il mento verso l'alto.

«La mia di scelta sbagliata si chiamava Lucas. Eravamo amici da una vita e condividevamo tutto: donne, droghe, soldi e auto. Per fartela breve, un giorno avevamo adocchiato questa Camaro del 2006, motore aspirato V8, 380 cavalli, cerchi in lega da 22 pollici.» disse cercando di suscitare l'interesse di Mark.

«Non ne capisco molto.»

«Un sogno su quattro ruote, amigo! Comunque, ormai erano giorni che girava intorno al nostro quartiere e fantasticavamo su come avremmo potuto rubarla. Che ingenui del cazzo eravamo...» la voce di Adan si incupì improvvisamente. «Quella sera la coca ci aveva dato la forza per mettere in pratica le nostre fantasie. Lucas era riuscito anche a procurarsi una Glock semiautomatica senza numero di serie. Io dovevo fare solo da palo e controllare la zona fuori alla casa mentre lui, intimidendo il proprietario, doveva prendere le chiavi. Cazzo, con il cervello annebbiato sembrava un fottutissimo piano perfetto.» Adam fece un pausa. I fumosi ricordi si ripresentavano davanti ai suoi occhi a mano a mano che li raccontava. «Poco dopo che Lucas era entrato nella villetta, sentii uno sparo. Mi precipitai all'ingresso. La porta era socchiusa. La testa non smetteva di martellare. Il cuore mi scoppiava in petto. Feci per aprirla, ma l'entrata era bloccata dal cadavere di un uomo. Alzai la maglietta sul naso: la puzza di sangue fresco non mi faceva respirare. Sussurrando chiamai Lucas. Mi rispose di raggiungerlo subito nella cucina.» la voce di Adam si spezzò improvvisamente. «Poco prima di raggiungerlo, sentii altri due colpi di pistola: "l'uomo non è da solo in casa", pensai. Arrivato in cucina vidi Lucas fermo in un angolo, mentre il corpo inerme di una madre e la sua bambina erano stesi sul pavimento nel loro stesso sangue. Mi bloccai. In lontananza, le sirene della polizia fecero agitare ulteriormente Lucas, che mi scaraventò di peso in auto. Ero immobilizzato dallo shock. Continuava ad urlarmi qualsiasi cosa per farmi riprendere. La polizia ci stava addosso. Lucas mi passò la sua Glock, dicendomi di sparare agli sbirri. Ancora confuso dalla droga e dall'adrenalina, cominciai a far fuoco sulle macchine della polizia. Non so come, ma centrai l'autista di una volante. A quel punto anche la polizia rispose al fuoco. Le pallottole erano vicine. Troppo vicine. Una trapassò la carotide di Lucas. Perse il controllo della macchina e, poco dopo, finimmo fuori strada.» Adam si sedette sulla branda osservando le mani che gli tremavano vistosamente. «Le ultime immagini che ricordo chiaramente, sono quelle di Lucas che sporco di sangue mi fissa con i suoi occhi spenti e io che vengo tirato fuori dall'auto da un agente. Complice di un triplo omicidio e killer di poliziotti: ecco la corsia preferenziale per finire qui.»

«Cazzo, Adam. Come faccio a competere con una storia del genere?» Mark accennò un sorriso.

«C'è poco da sfottere! Guarda che...»

«Ehi tu, stronzo!» sbraitò la guardia fuori dalla porta di Mark. «Fa' silenzio la dentro e metti le mani qui.»

«Che succede?» chiese Mark, mentre infilava entrambi i polsi nell'apertura rettangolare della porta.

«Il telefono. Qualcuno ti cerca.» Le manette fecero un leggero click. «Non fare altre domande del cazzo e muoviti!»

Il detenuto che stava lavando per terra aveva lo sguardo fisso sul pavimento. L'odore di acqua sporca ristagnava in tutto il corridoio. In un angolo, un sudicio telefono a muro aspettava il suo arrivo. Mark sollevò con difficoltà, a causa delle manette, la cornetta bluastra da sopra al telefono a gettoni e rispose. «Pronto? Chi è?» La sua voce riecheggiava nella silenziosa corsia. «Come hai detto? Quali problemi? Di che tipo?» Il tono di voce si alzò. « No! No! Ascoltami bene. Il compito di tenerla d'occhio è il tuo! No, no... questi sono i tuoi cazzo di problemi... noi abbiamo un accordo, ricordi?» Malgrado sussurrasse, quelle parole sembravano scaraventate sul suo interlocutore come un machete. «Non mi interessa! Te ne devi occupare tu e attieniti al piano... non permetterti più di contattarmi di nuovo qui dentro, mi hai capito?» Mark sbatté furiosamente la cornetta. Il sangue gli ribolliva nelle vene e gli occhi gli si iniettarono di sangue. Lanciò un'occhiata al detenuto con lo scopettone tra le mani, che non si era perso neanche una parola di quella scena.

«Tu! Sai che ore sono?» gli chiese Mark, mentre si toglieva i tondeggianti occhiali dal viso e li riponeva nelle tasche dei pantaloni arancioni.

«S-scusa, n-non lo so ami...» Non fece in tempo a finire la frase, che Mark gli si scagliò contro con una forza animale. La forte testata aveva rotto il setto nasale del malcapitato e il sangue gli usciva copiosamente dalle narici e dalle labbra, andando a riversarsi sul pavimento bagnato.

«Che cazzo fai?» urlò la guardia in fondo al corridoio.

Un ghigno soddisfatto comparve sul viso di Mark che intanto, delicatamente, si rimise la montatura degli occhiali sul naso, mentre veniva accerchiato da tutte le guardie del piano.

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