Capitolo 5: i Bei Tempi

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Il rombo zoppicante del motore risuonava in tutta la vallata: la Dodge Charger di Markus aveva avuto tempi migliori. Ormai solo il suo vecchio amore per quell'auto lo frenava dal rottamarla una volta per tutte.

L'interstatale 15, che si snodava in direzione delle imponenti montagne, era praticamente deserta. Solamente qualche pick-up e i giganteschi camion, carichi di lunghi tronchi di pino, percorrevano quelle strade incastonate in una serie infinita di foreste di sempreverdi e basse montagne. Orizzontalmente al sole, che stava tramontando, il cielo aveva assunto un colorazione rosata. Le nuvole scure e cariche di pioggia, poste sopra a tale spiraglio, creavano un contrasto cromatico incantevole. La suggestiva atmosfera era accentuata dal riflesso di tutti quei colori sul fiume che scorreva adiacente alla strada che riportava a Missoula.

"... risulta ancora irreperibile Stonewood, il procuratore distrettuale noto per lo scandalo Prove Scoperte e che da diversi giorni è scomparso. La polizia continua la ricerca per..."

Markus cambiò stazione. Non sopportava i notiziari, soprattutto se alla radio. Continuava a cambiare frequenza in frequenza, fino a quando una canzone gli fece fermare il dito. Le note di Real Hero dei College & Electric Youth gli attraversarono la testa e la sua mente cominciò a viaggiare. Malgrado fosse ancora saldamente incollato al volante in pelle nera, i suoi ricordi lo riportarono lì, indietro ai bei tempi, come gli piaceva chiamarli. Quando ancora aveva tutti i capelli. Quando il ruggito di quella macchina era ancora fragoroso e prorompente. Quando ancora aveva una famiglia da cui tornare. Quando ancora credeva ciecamente nel suo lavoro. Quando ancora confidava nella giustizia e credeva nel suo lavoro. Quando ancora si sentiva un vero eroe.

Un assordante suono di trombe lo riportò subito alla realtà. Un gigantesco tir, assieme al suo rimorchio carico di tronchi di pino, puntava nella sua direzione. A causa della nostalgica trance, la Dodge aveva cambiato corsia e l'impatto era imminente. Rinsavito, Markus sterzò bruscamente. La macchina, malgrado il violento gesto, non si spostò. L'enorme camion era ormai a un passo dalla macchina. Markus decise di utilizzare il freno a mano. Lo tirò così violentemente che si sorprese di non averlo sradicato dall'abitacolo. Questa volta il veicolo, bloccato posteriormente, rispose slittando alla sinistra della corsia in un assordante stridio di gomme. Una gigantesca nuvola di polvere e detriti ricoprì la macchina finita fuori dalla carreggiata.

Una volta diradato il fitto fumo, Markus poggiò la testa all'indietro sul sedile. Con il pollice e l'indice della mano sinistra si strofinò delicatamente le palpebre stanche. Con la mano destra, invece, aprì il portacenere del lungo cruscotto in radica di noce. Afferrò tra le dita una sigaretta quasi consumata e se la portò alle labbra. Spinse il pulsante dell'accendisigari e vide che alcune bottiglie d'alcool vuote erano scivolate per terra, ai piedi del sedile. Aprì lentamente il finestrino a manovella, facendo entrare l'aria fredda dell'autunno.

«Devo proprio dare una sistemata a questo vecchio catorcio.» digrignò con il mozzicone di sigaretta tra i denti.

Il fumo che usciva dalla sua bocca andò ad unirsi a quello che usciva dall'auto rimasta ancora accesa, intanto che la musica alla radio lentamente si dissolveva.

***

«...e così usavo i soldi per comprare quella merda, invece di usarli per il mio piccolo.» la donna aveva gli occhi lucidi. «I servizi sociali me l'hanno portato via e mi hanno imposto di rimettermi in sesto se lo volevo rivedere di nuovo, ma grazie a voi ragazzi, al mio sponsor e all'aiuto di Dio... ormai sono quasi 17 settimane che non tocco una sola goccia d'alcool!»

«Grazie per la condivisione» disse in coro il gruppo di una decina di persone, mentre battevano le mani in maniera dissonante.

Il piccolo seminterrato della chiesa presbiteriana di Helena non era molto spazioso e la dozzina di sedie in legno, disposte a cerchio, di certo non aiutavano. L'unica fonte luminosa erano i bianchi neon, che pulsanti sopra le loro teste, davano all'intero ambiente una colorazione fredda e asettica. L'aria era pregna del forte odore di caffè, proveniente da alcune caraffe metalliche. Queste ultime, assieme a diversi opuscoli intitolati "La Condivisione è la mia Cura", erano disposti ordinatamente su dei tavoli posizionati in fondo alla sala.

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