C.i.a.o, i.o s.o.n.o J.en.n.y.f.e.r

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Su, su ce la puoi fare. Era tutto quello a cui riuscivo a pensare. Vincere.

Non giudicate. Si potrebbe dedurre che la mia fame di gloria fosse distruttiva, la mia vita lo era già, distrutta intendo. L’unica cosa che mi rendeva viva era superare me stessa. Avevo faticato un anno, volevo dimostrare quello che ero capace di fare.

Oh, mi presento Jennyfer Mason, conosciuta nella città di Santa Clara come la ragazza invisibile. Ho 17 anni, ancora per poco, vivo in California con la mia famiglia, se così posso chiamarla. Sono stata adottata, mia madre è in prigione per aver ucciso mio padre. Pensandoci mi viene da ridere, mia madre ha ucciso mio padre? Puff, se non ne fossi stata testimone visiva non ci avrei mai creduto. Carmen è la mia madre adottiva, sinceramente non ho la minima idea del perché si sia spinta così in la, non so come abbia potuto scegliere proprio me di tante belle ragazze.

Io non sono bella, ho lunghi capelli neri, due grandi occhi azzurri e un corpo allenato.

Pratico lo street running da quando feci i primi passi, amavo correre con mio fratello Jess, lui era più bravo di me in tutto. Lo è ancora in verità, non lo vedo dal mio tredicesimo compleanno. Non ho la più pallida idea di dove viva o dove si trovi in questo momento; l’ho odiato con tutto il mio cuore il giorno in cui tornata da scuola avevo trovato questo foglietto spiegazzato buttato nella spazzatura. Mia madre aveva stretto i pugni e, come il suo solito, aveva cominciato ad urlare quanto il fatto che Jess se ne fosse andato fosse interamente colpa mia. Lo avevo odiato a morte perché mi aveva lasciata da sola, perché non mi aveva portata con lui. Certo io non ero la migliore figlia del mondo, la notte sgattaiolavo fuori per andare in palestra e allenarmi con la mia squadra, non lo reputavo un atto di disubbidienza pura, ero pulita! Niente alcohol, niente erba, niente feste, nessun ragazzo o amico con idee rivoluzionarie. Ero soltanto Jennyfer la street runner, niente di catastrofico. Sbagliato! Immaginate la reazione di mia madre quando mi beccò fuori dal letto, sul davanzale del balcone pronta a saltare.

“Dio santo, Jared chiama l’esorcista! Tua figlia vola!”, si certo, l’esorcista. Mi aveva afferrato per un braccio prima che raggiungessi il tetto della palazzina di fianco alla nostra.

“Forse dovrei valutare l’opzione di rinchiuderti in quel manicomio che mi ha consigliato il tuo amico, come si chiama?”, non era in grado di intuire quando qualcuno mi odiava così profondamente da consigliarle di rinchiudermi, lei lo chiamava ancora il MIO AMICO.

Mona non sapeva nulla della mia vita, soprattutto non conosceva Taylor Lantern; era il ragazzo più odioso ci fosse in questo mondo! Non sapeva quando stare zitto, quando farsi i fatti suoi e soprattutto non sapeva quando stare alla larga. L’intero liceo era venuto a sapere da lui l’accaduto, certo ci aveva aggiunto del suo, tutti ora sapevano che Jared lo avevo ucciso io e che mia madre si era presa la colpa perché lei mi voleva “coooosì tanto bene”, si divertente.

Tutti ci avevano creduto naturalmente. Da quel momento il mio armadietto era preda dei writers, scrivevano cose carine sullo sportello con colori sgargianti e super indelebili. Sicuramente Taylor guidava la banda, non avevo idea del perché mi odiasse così profondamente. Non avevo mai incrociato il suo cammino! In realtà lo avevo battuto un paio di volte sulla strada, anche lui ero uno street runner. Non riusciva a superarmi, forse gli bruciava la sconfitta.

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