18 - Dimenticare.

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Non mi uccidete. Vi amo.

È successo tutto troppo velocemente. Da quando sono entrata in questo campo la mia vita è cambiata totalmente: non avevo amici, ora ne ho almeno cinquanta, sparsi per tutta Italia. Ho fatto attività fisica, mi sono divertita veramente, ho capito che stare con le persone giuste non è affatto spiacevole. Sono riuscita a porre la mia fiducia in mani di altri, cosa per me molto difficile.
In due mesi il mio atteggiamento è cambiato, anche se di poco. Adesso ho un approccio più diretto con le persone, riesco a chiedere informazioni stradali senza vergognarmi a morte. Insomma, un bel risultato.
E devo dire che non voglio tornare a casa. Con i miei genitori ci sto bene ma non riesco a parlarci come faccio con un amico, non è lo stesso. Certo, mi mancano, mi manca un po' il mio letto morbido e il mio computer scarico. Mi mancano le mie serie tv e tutte le schifezze che mangiavo.

Ma adesso, più di tutti il mio pensiero fisso è Mario. Voglio sapere se se l'è cavata o se adesso è dentro. Ai messaggi non mi risponde, non riesco più ad aspettare.
L'annuncio della cena risuona per tutto il campo, decido di andare in mensa e prendere due cose al volo, per poi tornare a sdraiarmi in questa panchina.

«Alice è da un giorno che non mangi niente, prendi qualcosa in più di un misero toast.» non rispondo ai rimproveri di Pier, che si rassegna.
Vorrei dirgli grazie, perché si preoccupa per me, ma non mi va di parlare. È uno di quei giorni in cui vuoi solo stare tranquilla, senza parlare e senza troppe persone intorno.

Sento bussare alla porta della mia casetta, sono ormai le dieci di sera e stavo per mettermi a letto, in assenza di altre cose interessanti da fare. 
Dato che sono sola e nessuno può fare gli onori di casa al posto mio, mi alzo di malavoglia e apro la porta.
Davanti a me vedo Mike, che mi incita a seguirlo. Mi porta fuori dal campo dove c'è parcheggiata una volante. Inizio a sudare freddo.
«Alice, i carabinieri vorrebbero portarti in caserma per interrogarti, so che non c'entri niente e a maggior ragione non devi temere niente.» inizialmente mi rifiuto.
«Alice, così potrebbero pensare che c'entri davvero qualcosa. Dimostrati disponibile e digli quello che sai.» annuisco, agitata e un poliziotto mi accompagna dentro l'auto. «Avverto i tuoi!» Lo sento urlare da fuori l'auto. Annuisco, ma i miei genitori non sono la mia preoccupazione più grande in questo momento.

Arrivati in centrale mi portano in un semplice ufficio, un po' spoglio e mi fanno sedere davanti ad un uomo in divisa.
«Alice, io mi chiamo Marco, sono il commissario.» annuisco, aspettando che continui.
«Bene, andiamo al sodo, tu sei la ragazza di Mario Molinari, giusto?»
«Sì.» dico, con voce tremante.
«Sai perché è stato arrestato?» rimango in silenzio, con il cuore che batte velocemente. «Per possesso di stupefacenti.» si risponde, da solo.
Mi guarda, appoggiando le mani incrociate tra di loro, sulla scrivania.
«Sai se è stato lui a fare uso di stupefacenti o qualcun'altro?» d'istinto nego, ma lui sembra poco convinto.
«Devi essere sincera. Potresti aiutarci molto e aiutare lui.»
«Non ha preso niente lui.»
«Perfetto, quindi sai chi è stato?» scuoto la testa, negando. Il commissario fa un respiro profondo, si siede meglio sulla sedia e avanza con il busto verso di me.
«Qualsiasi cosa che sai dilla, potrebbe aiutare Mario a non andare in prigione.»
«Ho già detto quello che so.» dico, evitando di guardarlo negli occhi. Il commissario mi guarda, freddo.
«E tu, hai mai fatto uso di stupefacenti? Magari spinta dal tuo fidanzato e i suoi amici?» chiede, un po' irritato.
«No e ho già detto che Mario non fa uso di stupefacenti.» questa volta lo dico con decisione, alzando lo sguardo.
«Dovremo fare degli esami, se sarai pulita te ne potrai andare.»  Si alza, lasciandomi lì. Dopo poco un altro poliziotto mi fa alzare e mi porta in un corridoio con quattro piccole celle.Mi spinge dentro una di queste, dove si trovava un'altra donna. Il poliziotto chiude la cella e se ne va.

«Ma che cazzo, un po' di delicatezza!» urlo.
«Ciao cara, finalmente, qualcuno che mi fa compagnia!»  esulta la donna dietro di me. mi giro e la guardo, spaventata.
«Tranquilla, non sei finita in prigione.» mi sorride. «È una detenzione provvisoria, fino a che non ti verranno a prendere i tuoi genitori, se sei minorenne.»
«Il commissario ha detto che devo fare degli esami.» .
«Erba? Tranquilla, non c'è niente di male, è normale alla tua età» dice la donna. Decido di non dire niente. Voglio solo andarmene da qui.
«Io di solito finisco qui per l'alcol, ma questa volta per prostituzione, mi rilasceranno tra un paio di giorni. Mi hanno beccato!» fa un risolino, forse per calmarmi, ma non sono calma per niente. Annuisco e mi guardo intorno.
Ci sono delle sedie, disposte in fila. Mi siedo su una di esse, è piccola e scomoda.
Sbuffo, cercando di prendere sonno, anche se su una sedia è un po' difficile. Mi stringo nella felpa grigia, temendo per me, ma anche per Mario.
Mi chiedo dove sia. Però se ci penso bene, lui può essere qui o se gli è andata bene, potrebbe essere tornato a Genova.  Mi alzo e cerco di guardare nelle altre celle, ma non riesco a vederlo.
Ho paura che sia finito davvero dentro, lui non ha comprato l'erba e se magari si decidesse a fare i nomi finirebbe tutto. Però di certo non dirò niente, gliel'ho promesso.
Per me è già difficile la detenzione provvisoria, non oso immaginare quella definitiva. 

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