Non avevo più alcuna percezione del mio corpo da tempo, ormai era rimasto solamente un vago ricordo di ciò che avvenne dopo la mia morte ed adesso la mia anima si trovava in una sorta di limbo, o meglio una prigione dello spirito. Ero circondata dall'oscurità da millenni ormai, non avevo occhi per guardare né orecchie per sentire e l'unica mia attività possibile era quella di rivivere i miei ricordi. In quell'ambiente le memorie erano nitide e ricche di dettagli, forse per la mancanza di stimoli dal mondo esterno, e rivissi la mia intera vita più e più volte nel mio flusso di pensieri, facendomi tornare in mente delle persone che avevo confinato nell'oblio delle mie reminiscenze. Ricordai Zeze, non sapevo se fosse il suo vero nome ma era la cosa più vicina ad un padre che avessi mai avuto dopo l'attacco dei demoni.
Era un uomo la cui ingordigia era tale da essere pronto ad allevare un ladro, un assassino, pur di possedere ricchezze. Mi prese con sé quando ero una mendicante, mi curò, mi fece assaporare la bellezza del lusso e del potere per poi allevarmi come un'assassina. Passai più di cinquant'anni ad affinare le mie abilità sotto la sua guida severa diventando un'ombra, una leggenda, dimenticando parole come compassione o amore. Egli fu l'unica figura che ebbi come riferimento ma le razze erano diverse e la longevità pure. Era il primo giorno dell'anno, ne erano passati centoquarantadue dall'omicidio di Thanatos, il titano della morte, e poco più che altrettanti dalla mia nascita quando ritornai a casa dopo una rapina e trovai il cadavere del maestro, ormai troppo vecchio perché reagisse, con un pugnale ancora conficcato nel petto. Il colpevole fu un uomo che si volle vendicare di lui a giudicare dal messaggio lasciato. Così persi brutalmente un padre per la seconda volta però non provai più paura, ma rabbia. Seguii le tracce dell'assassino e m'intrufolai in casa sua, dove vidi una famiglia, amore, compassione; qualcosa di cui avevo scordato l'esistenza. L'assassino stava pregando per l'anima del mio maestro ed in lacrime si accusava del gesto compiuto, era un uomo che voleva solo la sicurezza della sua famiglia e grazie a quella scena qualcosa s'illuminò nel mio cuore, come una scintilla nel buio tutti gli insegnamenti appresi dai genitori elfici ritornarono a far parte di me, ma oramai ero un'assassina, una ladra.
Il flusso di pensieri s'interruppe a causa di una scossa alla mia prigione, sentivo che finalmente stava accadendo qualcosa. Improvvisamente fui catturata da un mulinello che mi portò indietro nel mondo con una velocità ed una violenza fuori dai limiti del conosciuto.
Dopo il turbinio che subii ebbi di nuovo la sensazione di avere un corpo. Potevo sentire il mio cuore pulsare veloce nelle cavità del mio petto, sentivo l'aria scorrere attraverso le mie narici e riempire ogni spazio del mio torace e riuscii perfino ad aprire gli occhi. Abbozzai un sorriso di felicità, dopo svariati millenni potevo vivere ancora, forse il dio Kairo aveva ancora qualcosa in serbo per me. Mi trovavo in una grotta ed avevo la sensazione di trovarmi in un ambiente familiare ma non riuscii a capire il perché. Il mio corpo era atrofizzato ed apparteneva ad una giovane elfa adulta. Riuscii ad alzare il mio braccio destro a fatica che notai, una volta portato alla mia vista, essere snello e dalla pelle priva di imperfezioni. Dopo pochi tentativi riuscii a coordinare degnamente i movimenti della mia mano, seppur ancora lenti e basilari. Potevo toccarmi i capelli che sentivo soffici e setosi al tatto, portandoli alla mia vista li notai di un biondo molto chiaro e la loro lunghezza li faceva adagiare sui miei seni sodi, ma piuttosto contenuti nella grandezza. Ero ectomorfa e priva della muscolatura che avevo nell'altro corpo, ma felice d'esser viva. Mi trovavo seduta sul terreno umido e fangoso ed affondai per istinto le mani nella poltiglia chiudendo gli occhi per ampliare maggiormente il resto dei miei sensi. La bassa temperatura del fango mi fece nascere un brivido sulla schiena che pian piano percosse il resto del mio corpo, inebriando la mia mente di ogni sensazione che avevo ormai dimenticato. Indossavo solamente un mantello color sabbia che a stento copriva la mia figura, ne approfittai per scostarlo e studiarmi a fondo, rivelando un corpo in piena età puberale che visse probabilmente intorno ai centocinquant'anni (corrispondenti a quindici anni umani). Provai ad alzarmi una volta presa confidenza con le mie nuove gambe, ma tremavano ed erano prive di forza. Con fatica mi misi in ginocchio e riuscii a stare in posizione eretta solamente con l'aiuto delle mie mani che facevano leva sulla parete frastagliata e calcarea della caverna.

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Le cronache di Shanyra
Fantasi" I libri e le leggende raccontano di me come un'eroina, la salvezza del popolo, vedono in me un barlume di speranza nel buio, molti mi considerano una liberatrice. La gente mi chiama ormai da tempo "Shanyra, l'angelo della morte", sempre dalla part...