3~Moon

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Moon puntò il bianco coniglio che sgranocchiava tranquillamente l'erbetta. Lo osservò pulirsi e controllare attorno per poi saltellare poco più in là. Il suo nasino rosa annusava attentamente la terra, le sue lunghe orecchie erano slanciate verso il cielo e bagnate di luce. La gatta quasi poteva vedere il delizioso grasso dell'animaletto uscire da ogni suo poro. Moon si leccò i baffi, pregustando la preda migliore che le fosse capitata nell'ultima settimana.
Dunque la gatta marrone abbassò per bene le anche, si posizionò in modo che il petto accarezzasse la terra e controllò che la coda non causasse fruscii che avrebbero potuto allertare la bestiola. Era pronta alla caccia.
Il suo primo passo fu accurato e lento e così il secondo, il terzo e quelli a seguire; si immobilizzò per un attimo quando decise di essere abbastanza vicina, poi spiccò un lungo salto che la portò a stringere fra le zanne il collo squarciato del coniglietto. Uccidere era così semplice. Veloce. Era un valzer composto da un paio di giravolte: un, due, tre; un, due, tre e già la dama si lasciava cadere all'indietro fra le braccia del compagno.
Moon si fece distrarre dalla dolce musica che in automatico le risuonò nelle orecchie cosicché per qualche attimo non realizzò di essere seguita. Nonostante ciò appena un gatto poco più grande di lei fece per balzarle addosso lei si spostò prontamente di lato, seguendo la sua danza invisibile. In una piroetta Moon si girò ad osservare il suo inseguitore: un felino grigio dai grandi occhi gialli puntati sul coniglio che la gatta stringeva fra le fauci. Moon sorrise appena, ben consapevole che il poveretto non avrebbe avuto possibilità contro di lei nel caso avesse attaccato briga.
"Quel coniglio. È mio."
La gatta scosse la testa.
"Sei nel mio territorio. È mio."
Moon lo osservò, silenziosa.
"Hai cacciato nel mio dannatissimo territorio! È mio di diritto!"
L'animale castano scosse nuovamente il capo.
"Gatta, molla la preda." Ringhiò il micio grigio, facendo per attaccarla.
Moon sospirò e con calma dispose a terra il coniglio morto.
"Gatto, la preda appartiene solo al più forte; al più meritevole di mangiare... credi forse di potermi battere?"
"Direi proprio di sì"
"Allora lottiamo... sarà un piacere per me. Sappi solo che in palio c'è la vita"
"La vita?"
"Sono le regole che vigono dalle mie parti, Gatto. La vita"
Il grigio ebbe un tremito ma si ricompose in fretta. Si guardò indietro e tornò a fissarla.
"Come vuoi, Micio..." borbottò Moon fra i denti mentre, a un crescendo dell'orchestra appostato nella sua mente, si slanciava senza preavviso contro l'avversario. Il gatto grigio fece un balzo terrorizzato trovandosi davanti la gatta che, precisa e veloce, gli morse la gola. Il sangue che scorse a fiotti diede fin la nausea a Moon che guardò di sottecchi il grigio felino morente. La gatta era fin sorpresa che ammazzare un gatto fosse semplice tanto quanto far fuori un coniglietto. Il gatto era senza fiato, colto totalmente impreparato. Con una forza nata dalla incapacità di realizzare l'accaduto egli si girò indietro e cadde a terra. Dagli alberi trapassati da occhi vitrei di morte saltò fuori una micina di forse sette lune: era tutta bianca e i suoi occhi erano dorati. Un fiume di lacrime furono distillate dai piccoli soli che le illuminavano il muso: "Papà! Papà!" Strillò e si buttò nel mare di sangue.
Moon si fermò appena un attimo a guardarla poi volse lo sguardo altrove, raccolse il coniglio e corse. Corse più veloce che le sue zampe le permisero. Corse per cancellare dalla propria mente il pianto di quella gattina. Perché la dannata vita la terrorizzava. Il sangue che scorre nel suo letto di carne era l'Inferno di Moon.
Ciò che è morto è morto continuava a ripetersi per ogni volta essere interrotta. Ciò che è vivo... mangia, piange, grida, uccide. Ciò che è vivo prova dei sentimenti, rimpiange i morti le rimbombava nelle testa, accompagnato da note stonate. Ma Moon, a dispetto di ciò che il filo dei suoi pensieri avrebbe potuto cucire davanti agli occhi di chiunque altro, non temeva tanto di perdere la propria vita quanto di rendere quella di un'altro un inferno tale alla sua.
Uccidere, poi, era affare di un secondo. Il ricordo era effimero, affogato fra mille rivoli di sangue provenienti da mille altre uccisioni.
L'urlo di disperazione di un vivo alla vista dell'amico trapassato, invece, era tutt'altro affare. Succedeva, talvolta, e risvegliava in Moon timori sopiti... memorie rinfoderate ma pronte a sguainarsi.
Erano proprie quest'ultime che tiravano stoccate a tradimento contro il petto della gatta mentre ella correva lontano, cercando di estraniarsi da qualsiasi contatto con sé stessa. Anche questa volta in pochi minuti era già stata così annullata dall'esterno che non si fermò per più di un'ora, incespicando e sbagliando strada di continuo.
Quando i ricordi oscuri si ritirarono tranquillamente nel loro antro Moon si ritrovò a faticare nel respiro tanto era esausta. La gola le produceva un dolore lancinante accordato al male causato dalle zampe scorticate e i muscoli tirati oltre il limite. La gatta cadde a terra, credendo di morire. Il pensiero non era poi tanto terribile.
Ma subito qualcosa attirò la sua attenzione. Un odore piuttosto nauseabondo le stuzzicò le narici, alchè il felino sentì un forte conato di vomito e si ritrovò a rovesciare per terra quel poco di coniglio che le era andato di traverso mentre correva, dato che la morbida carne del bianco animale non aveva resistito a tutti quegli scossoni ed ora era dispersa da qualche parte nella foresta. Moon non se ne era minimamente accorta.
Quando sentì lo stomaco vuotato la castana sentì l'impellente bisogno di scoprire la causa di quel fetore. Perché lo aveva riconosciuto. Quello era un cadavere all'inizio della decomposizione.
Aspettò ancora qualche minuto, o forse tanti, troppi. Sentiva semplicemente che, per quanto cercasse di imporsi di tirarsi su, il suo corpo proprio non reggesse. Probabilmente dopo un'altra ora scarsa di riposo fisico, ma certo non psicologico, Moon alzò gli occhi in alto, pronta a trascinarsi in avanti. Ciò che scoprì davanti a sé era sorprendente ai suoi occhi. Una cittadina. Abbandonata. All'improvviso si sentì pronta ad addentrarsi fra quelle case cadenti, scolorite, affascinanti, cupe, scricchiolanti.
Il paesetto era molto piccolo, forse venti case di cui un paio totalmente crollate. La puzza proveniva da una delle abitazioni nelle condizioni più precarie ma ancora in piedi, sebbene incespicante.
Moon vi entrò senza alcuna esitazione.
Il corpo di un gatto color fumo era steso supino. Una nube considerevole di mosche lo copriva ma non lo avevo mangiato che in minima parte. Moon scacciò i neri insettini con la coda e prese dolcemente il cadavere. Era leggero e molto piccolo, era certamente poco più di un cucciolo che presumibilmente non era riuscito a mangiare abbastanza. Moon lo trasportò sino al confine fra città e pianura verdeggiante; lì distese il corpicino, cercando di sistemarlo un po' come se dormisse. La gatta si mise poi a scavare, il che fu piuttosto doloroso date le zampe sanguinanti, ma in non troppo tempo Moon riuscì a preparare una fossa che ritenne abbastanza profonda. A quel punto, senza nemmeno riprendere fiato, seppellì con attenzione sacrale il corpo.
Quando il lavoro fu completato la gatta buttò un sospiro di sollievo e sorrise: "Ho fatto del male... Forse troppo... Ma posso ancora trovare la luce...".
Moon passò la notte sulla tomba, e sognò il gatto di fumo salutarla con un cenno per poi tuffarsi nella terra e uscirne come il gatto che lei stessa aveva ucciso. Il grigio leccò la testolina della gattina, figlia dell'uccisione, che lo aveva seguito nella sua ascesa dalla terra. Ella osservò attentamente Moon e parlò con voce ferma: "Moon, gatta, tu sei un mostro, componi la feccia di questo mondo. Quelli come me non hanno pietà di voi. Sei la rappresentazione del male e non meriteresti che la morte. Eppure tu sarai graziata... Non per mio desiderio, sia ben chiaro, ma perché hai bisogno di essere migliore. O, per dirla più chiaramente, perché il Destino ha deciso così, nella sua malata insensatezza. E tu, per tua fortuna, stai scivolando proprio lungo la tunica di Colui verso un cuscino di velluto. La tua strada, un tempo di ruvido sacco, ti si prospetta setosa e lucente. Invece, per quanto riguarda me... be', io non esisto ora. Ma, ben attenta, esisterò. Dovrai soffrire per ciò che hai fatto a me e a mille altri ma sappi, e non usarlo come arma a tua discolpa, che le tue zampe erano guidate dal Fato e che se avessero dovuto vivere lo avrebbero fatto". La micina si bloccò un attimo, poi scattò di colpo e tranciò via un bel pezzo del collo di Moon. "Ora muori, e vedi di rinascere per bene" Ringhiò, e si dissolse, assieme al padre silenzioso, in una nuvola tempestosa.
Moon si svegliò di soprassalto.
Era ora di ripartire.

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