4~Moon

2 1 0
                                    

La foresta guardò Moon coi suoi mille occhi. Iridi castane di pigne vanitose; globi blu di ruscelletti giocondi; occhietti verdi di aghi sospettosi. La gatta era fuori posto, lì, ma nessuno aveva il coraggio di dirlo. Il bosco sapeva bene che dietro di lei si stendeva un velo rosso sangue, esattamente come sapeva che presto esso sarebbe calato anche su di lui; eppure non osava muovere un solo ramo nel terrore di essere esso stesso la causa di quel sipario pronto ad essere abbassato su una scena di morte. C'era solo una semplice promessa pronta a rovinare quelle scenetta di falsa quiete; sarebbe accaduto qualcosa lì, qualcosa che avrebbe trasformato la selva in una rossa rosa. Era inevitabile.
Mentre le piante attorno a lei la indicavano coi loro mille rami Moon rimaneva imperturbabile e tranquilla. Camminava in silenzio, senza una meta. La sua mente vagava in pensieri intraducibili a parole, un piano di immaginazione troppo alto: inutile perchè esageratamente eletto.
La gatta era irrimediabilmente dispersa, fisicamente e spiritualmente. Camminava trascinando le zampe sovrappensiero e spostando il terriccio così che la terra più fresca nascosta sotto aiutasse i polpastrelli a lenire i loro tagli. Accanto a lei, dopo aver valutato attentamente la situazione, alcuni uccellini becchettavano i vermicelli che venivano scoperti da quella camminata medicativa. Piccoli topolini le attraversavano la strada, lanciandole occhiate preoccupate. La gatta, però, non si li degnava di uno sguardo; in effetti non pareva nemmeno vederli.
Il fatto era che... attorno a lei il mondo viveva.
Lei no. Come al solito.
Lei moriva.
Ambe due le azioni sono all'imperfetto, continuano, sono pressochè uguali e portano alla stessa morte... l'unica differenza è che la seconda indica il sapere di starci andando incontro, mentre l'altra significa totale e timida ignoranza. Niente questione di tempo: chi sta vivendo potrebbe essere schiacciato da un masso e morire prima del morente.
Allo stesso modo "visse" e "morì" ci fanno sapere che ora, il soggetto, non esiste più. Vivere e morire non sono verbi poi tanto diversi. E Moon lo sapeva. Del resto chi meglio di lei? Lei che stava vivendo tanto quanto morendo. Era mortalmente viva. Come ogni essere. Ma in lei quell'ossimoro era così forte! faceva quasi male. Come? Servirebbe una padronanza idilliaca delle parole per spiegarlo. Moon, certo, non l'aveva; si accontentava di sentire, come sempre. Estrapolato dal contesto, ridicolizzato, era ciò che noi definiremmo "zombie": un morto vivente.
Dunque, mentre la mummia sulla cui schiena le bende si erano bellamente decomposte mostrando il marrone del cadavere si tirava avanti ignorando il mondo, Moon, due voci più forti chiare e significative di tutti i suoni attorno conquistarono pian piano il bastione decadente che era l'attenzione di Moon. Erano voci dai toni concitati: si assomigliavano nel loro giovane ed anonimo timbro: l'unica cosa che li poteva differenziare era il fatto che uno tendeva a parlare velocemente, facendo suonare tutto ciò che diceva come un fiume di "r" ed "s", lettere sulle quali si soffermava in modo particolare; l'altro, invece, aveva una velocità normale di parlata ma tendeva ad abbassare o alzare la voce a fine frase. Assieme, il loro litigio, formavano una montagna russa di "rrrrssssrsrssssrssssrrrss". Era, in verità, piuttosto piacevole da ascoltare in quanto il suono era facile da separare dal significato; nonostante ciò Moon preferì ascoltare per bene i discorsi.
"...mio!"
"Non è tuo! L'ho ucciso io, deficiente!"
"Sai cosa vuol dire che l'hai cacciato nel "mio territorio"? Che, dannazione!, tutte la prede che si trovano entro i suoi contorni sono mie! vive o morte che siano, ammazzate da me o meno!"
"Tu, grassone, non saresti mai riuscito a prenderla ti ripeto!"
Moon ridacchiò avendo velocemente carpito il senso del discorso. Tentennò un solo attimo, poi continuò per la sua strada, che la portava proprio oltre quei cespugli che nascondevano i due litiganti.
Una volta districatasi dall'ultimo rametto che la teneva attaccata alle foglioline si schiarì la voce di modo da farsi notare dai due gatti che si stavano contendendo una lepre e che l'avevano sino ad ora totalmente ignorata. Esserre, il velocista, era un grande gatto ocra dagli occhi azzurri, mentre Suggiù, quello che saliva e scendeva, aveva un bel manto castano scuro e occhi quasi neri. Gli occhi blu e nocciola dei due la trapassarono per bene quando fu notata, poi Suggiù sciolse la tensione, rise, ed esclamò al cielo: "Ecco ciò che ci serviva!" e poi si rivolse a Moon stessa: "Gentile viandante, sarebbe disposta ad aiutarci nell'uscire di una disputa?". La gatta scrollò il capo, ridendosela interiormente per l'improvviso cambio di gergo da parte del gatto castano scuro.
"Oh, mille grazie! Mille grazie! Lasci che le spieghi... vede, questa lepre è stata da me cacciata -qui ci fu un improvviso abbassamento di voce- nel territorio di colui vicino a me. -voce nuovamente normale- Come lei potrà ben dedurre dalle nostre stazze assai differenti, le assicuro che lui non sarebbe mai stato in grado di catturare questa preda: di conseguenza ritengo di essere il più meritevole di mangiare questo bottino... -Il tono qui si fece sbrigativo- Allo stesso tempo il qui presente sostiene che qualunque bestia nel confine del suo territorio sia sua di diritto... -tono normale, parole malignamente sorridenti- Lei a chi darebbe ragione, di grazia?".
Moon li guardò attentamente, fingendo di ponderare attentamente le parole, come un vero saggio avrebbe fatto. Inizialmente era stata in effetti piuttosto indecisa visto e considerato che non troppo tempo prima era incappata in un problema simile, da lei però velocemente risolto in un morso ben piazzato. Questi due, però, non erano tipi da sistemare questioni così, poiché se lo fossero stati il problema non si sarebbe nemmeno posto. Nonostante la naturale simpatia per il furbo Suggiù, Moon decise di pensare veramente come un saggio avrebbe fatto e così riportò la mente ai bei tempi di quando era cucciola e la nonna le raccontava fiabe e favole.
Il responso, in breve tempo, le fu chiaro. La voce le uscì forte e senza esitazioni: "Mio modestissimo parere è, che ambe due meritiate parte del trofeo... Ma dividerlo a metà sarebbe certo inutile e stupido in quanto rovinerebbe solo la preda e nessuno ne guadagnerebbe, mi pare ovvio. Uhm... ciò che io penso, è che la divisione si potrebbe fare basandosi sui meriti di ciascuno: dunque tu, cacciatore, riceverai le zampe e la testa, scatola della mente, che sono le cause per le quali il padrone di casa non sarebbe riuscito a catturare la preda... a quest'ultimo rimarrà il corpo, con tutto ciò che l'animale ha usato per mangiare la sua erba e vivere sfruttando ciò che possiede".
I due rimasero a bocca aperta quasi quanto lo era stata lei alla realizzazione delle sue abilità giuridiche. Moon si sentì orgogliosa come non mai.
Subito Esserre eseguì e si mise a ringraziara l'eremita delle sue così intelligenti parole. Suggiù lo imitò.
La gatta, come "onestissimo e meritatissimo compenso" ricevette il nullaosta a fermarsi nel territorio di Esserre. La cosa rese la gatta estremamente felice. Dunque ringraziò, liquidò le sequele di sproloquie che uscivano come vomito dalle bocce dei due, e si allontanò nella sua nuova casa, pronta a cacciare legittimamente, per la prima volta dopo lungo, lungo tempo.

Giro di viteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora