3~Ice

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Le foglie sotto le zampe di Ice scricchiolavano piacevolmente. Erano tutte belle secche, di un caldo marrone. Componevano un mantello disteso sul terreno della foresta. Guardavano tutte in su, invitando le sorelle, ancora strenuamente appigliate al ramo genitore, a scendere fino a loro. Qualcuna delle resistenti seguiva il consiglio, abbandonandosi timidamente ad un soffio di vento che pareva più rozzo degli altri sebbene docile e carezzevole mentre le strappava dal nido familiare.
Ad Ice quasi pareva di poter sentire quelle tante vocine sussurrate da sotto i suoi piedi e da sopra la sua testa: una era stridula ma dolce... doveva per forza provenire dalla fogliolina gialla che le osservava di sottecchi poco più indietro; le mille gridoline degli aghi che cascavano solo quando qualche fratellino prendeva loro il posto non smettevano mai di cicalare. Il tono suadente, le parole brucianti, la vocetta lucente di veleno vellutato; questa era una di quelle che cambiavano pian piano: ora era malevola, ora malinconica, ora invitante. Ice alzò lo sguardo e imbrinò con gli occhi ghiacciati una foglietta rosso vivo: si distingueva enormemente dalle altre, pareva un brutale diesis fra mille soavi bemolle.
La gatta le si avvicinò. Che strumento sarebbe stata in un'orchestra, la sua purpurea compare? Sicuramente un sensuale violoncello, fatto di curve invitanti e voce profonda creata per dire parole di lussurioso amore. Il felino ridacchiò e soffiò via la figlia sanguinante dell'albero che la osservava severamente dall'alto. Fece un lieve inchino alla vista di quel maestoso re e passò oltre.
La luce stava iniziando a calare. Ice non si fermava se non per fare qualche considerazione riguardo ad un tono particolarmente vivace nel paesaggio o ad un insetto che sembrava tale e quale ad una pietra preziosa.
"Ma che tronco ben fatto che avete, Signor Faggio!"
"Mister Scarabeo: le mie congratulazioni! ha un colorito invidiabile!"
E rideva! rideva! Era una di quelle giornate in cui, qualunque cosa accadesse, non poteva fare a meno di ridere.
Sghignazzava, fra un respiro affaticato e l'altro, anche quando la strada cominciò a farsi un poco impervia, e prese una via ascendente. Gongolava alla vista della lunga camminata compiuta e quella ancora da macinare. Era imbattibile. Invulnerabile. Era ubriaca di gioia. Stava viaggiando verso la fine delle sue fatiche. Tante stagioni a torturarsi, e ora aveva trovato la cura. Come il vino scende veloce mentre è tracannato dai soldati pazzi di paura, l'effimera felicità cominciava a girarle nelle vene, più efficace di qualunque droga o liquore. Pura e semplice leggerezza d'animo. Alcol allo stato più puro, e dall'effetto puramente estraneativo. Una dolce ebbrezza. Un mondo di caldi colori. Il freddo sciolto via da un abbraccio.
Ice era felice. Sì. Ma la sua felicità era falsa, nata da un sentimento falsificato: esagerato, irrealistico. Quella non era gioia vera. Era una mera copia. Bella, non c'è che dire, ma pur sempre una copia. Ma ci si accontenta. Ed Ice si crogiolava in un'emozione creata a tavolino da una parte più interna di sé per mandarla avanti.
La bellezza del mondo, però, aiutava; aiutava veramente. Essa non era cedevole. Preesisteva e sarebbe a lungo andata avanti quando i suoi occhi non avrebbero più potuto gustarla. Le mille foglie, uniche ed imperfette. I raccapriccianti quanto ipnotici insettini. Gli alberi sorridenti. Persino quella salita non poteva che far aumentare l'eccitazione e il desiderio di sapere cosa si trovasse alla sua sommità... Ma solo ad un cuore risciacquato dal desiderio di essere triste. Perché un po' è anche questo: vuoi essere triste, perché permettersi della gioia ti farebbe solo uscire di personaggio. Esistono giornate felici, ma sono sporadiche macchie, errori di sistema.
Sono triste. Sono triste. Sono triste. Sono triste. SOno feLiCE. Sono triste. Sono triste.
E via così.
Cerchia l'intruso. Difficile?
Eppure Ice non era quel genere di personaggio; a lei piaceva tanto essere allegra. Le piaceva così tanto che non riuscire ad esserlo le faceva male. Era per questo che inseguiva un sogno, mentre scalava quel monte. Essere un fantasma di sé, abbandonando un futile corpo mortale fatto di paure, tristezza e dolori. Un sorriso perenne. Bello perchè irraggiungibile. Già... Cosa sarebbe successo ora che era praticamente giunta alla meta? Sarebbe veramente stato tutto così idilliaco?
Ed eccoli! Ecco là i pensieri pronti a riportarti ad una realtà cruda e ancora sanguinante.
Ice spalancò gli occhi e buttò fuori dell'aria, vomitando assieme ad essa la falsità di quella giornata. I colori sbiadivano, si scioglievano.
La gatta alzò lo sguardo: un lago riverberava della luce del tramonto. I raggi infuocati lambivano le acque, incenerivano le foglioline posate sulla superficie. Il colore dei flutti era di un verde profondo, che si lasciava perforare ed intarsiare dalla luce che fece risplendere tutte le armature di guerrieri oramai passati. I rami di un salice piangente accarezzavano languidamente il blu, e vi dipingevano cerchi concentrici.
"Sì... io sono... spaventosamente..." Ice mormorò, la voce come un rantolo. L'ultima parola non uscì dalla sua bocca più forte di un sospiro, ma le rimbombò forte e chiaro nella mente: "...felice"

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