Capitolo 4

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L'Italia scese in guerra al fianco degli Stati Uniti.
Ogni giorno, al telegiornale, parlavano degli scontri che si tenevano tra i militari delle diverse nazioni, dei bombardamenti e dei civili che rimanevano coinvolti in essi.
A scuola vennero i militari a tenere delle lezioni su come comportarsi in caso di bombardamento o attacco di milizie straniere.
La guerra per tutti noi era una cosa del tutto sconosciuta.
Era facile parlare davanti alle notizie di un telegiornale quando scoppiava una guerra nel mondo ma ora sapevo realmente cosa provavano i cittadini Afgani, Iracheni o Siriani, la costante paura di sentirsi sorvolati da un aereo, la costante paura di vederlo sganciare una bomba che distruggerebbe la mia vita.
Arrivó l'estate passavo quasi tutti i giorni da Massimo; io e lui eravamo più che amici, praticamente fratelli, ci eravamo conosciuti ai tempi dell'asilo e da allora eravamo inseparabili.
Era un pomeriggio come tanti, Massimo ed io stavamo ascoltando le canzoni di De Andrè seduti sotto albero nel suo giardino, quando dall'orto esce suo nonno con una zappa sulla spalla e la faccia rossa per la fatica:«Ragazzi, cosa state facendo?» ci chiese:«Stiamo ascoltando un po' di musica nonno, tu cosa stavi facendo nell'orto?» gli rispose massimo:«Ohhh lascia perdere l'orto, forza venite con me» ci alzammo e lo seguimmo dentro il garage della casa di Massimo, dove c'era parcheggiata una vecchia jeep ma in ottimo stato:«La vedete questa bellezza...ha tantissimi anni ma non molla sapete, è veramente un gioiello anche se purtroppo ora ha qualche piccolo gusto, nulla che non si possa riparare...e voi mi aiuterete, stiamo in guerra cari ragazzi e non potete continuare a vivere come se non fosse successo nulla» ci spiegò e noi un po' timorosi annuimmo:«Questa non è la prima guerra mondiale che vedo...siamo solo agli inizi, quello che stiamo vivendo non è niente e quando la fame, la paura, la pazzia arriveranno dovrete essere pronti» diceva tutto mentre aggiustava una ruota alla jeep, ogni tanto si interrompeva per chiedere qualche attrezzo o per spiegarci un passaggio particolare che stava facendo:«Avete mai provato a sparare?» ci chiese:«Io con papà a caccia» gli rispose Massimo ed io feci un cenno negativo con la testa:«Ragazzi cari dovete imparare tante cose se volete sopravvivere ma c'è tempo...». Il pomeriggio passò tra aneddoti di guerra, tecniche di sopravvivenza, spiegazioni meccaniche e piccoli intervalli di riflessione. I giorni seguenti li passammo con il nonno di Massimo nell'orto o lo aiutavamo con le riparazioni della jeep. Una domenica lo stavamo aspettando vicino al cancello dell'orto ma quando si avvicina, notiamo che non è con i vestiti da lavoro:«Venite vi faccio vedere una cosa» ci disse e ci portò in garage, ci indicò la macchina e salimmo senza fare domande e lui poco dopo ci raggiunse:«Mi avete detto che non avete mai sparato seriamente...oggi imparerete a farlo, spero che non vi servirà mai ma intanto imparerete» ci spiegava mentre salivamo verso una stradina un po' stretta e circondata da verde. Parcheggiò in un grande spiazzo, appena scesi notiamo diverse cose che in macchina non si vedono come i bersagli a diverse distanze ed alcuni in movimento:«Ecco a voi i vostri fucili» disse porgendomi una doppietta, a Massimo un sovrapposto e lui aveva un semiautomatico.
«Venite con me» lo seguiamo fino ad arrivare davanti a uno dei tanti bersagli:«Forza provate a sparare...secondo voi qual è la tecnica?» ci chiede prima guardando me e poi massimo:«Beh nei film dicono sempre di avvicinare il fucile alla guancia, di socchiudere l'occhio, prendere la mira, fare un respiro profon...» tento:«Tutte cazzate che si inventano per allungare il brodo...è l'istinto quello che fa centrale il bersaglio, forza prova...il trucco è non pensarci» mi spiega interrompendomi, afferro il fucile e senza pensarci sparo ma non prendo il bersaglio:«No ricca la mira la devi prendere ma non devi pensarci troppo...mira e spara con istinto» riprovo e questa volta prendo il bersaglio, passammo tutta la giornata a sparare e a esercitarci.
Quando oramai il sole iniziava a tramontare capii che si stava facendo tardi salutai Massimo e suo nonno e tornai a casa.
Appena entrato a casa c'era mia madre che guardava la TV con gli occhi sbarrati e con le mani fra i capelli.
Mi misi anche io ad ascoltare la notizia del telegiornale, ero incredulo davanti alle immagini del notiziario, le forze aeree Russe avevano effettuato bombardamenti nelle maggiori città di Italia, Roma era stata la più colpita, gli aeroporti, le fabbriche, centrali della polizia e altri punti strategici erano stati rasi al suolo, per destabilizzare l'ordine pubblico colpirono anche diverse prigioni facendo evadere molti detenuti dai penitenziari.
Nei giorni seguenti nelle grandi città prevaleva uno stato di caos.
Fortunatamente io non abitavo in una metropoli e nel mio paesino le cose andavano abbastanza bene tranne per l'inevitabile aumento dei prezzi e delle tasse che spingeva molta gente a migrare in paesi come la Tunisia o il Marocco oppure la Svizzera dove la guerra non c'era e l'economia andava a gonfie vele.
Molte persone non riuscivano ad avere abbastanza denaro per emigrare cosi si davano alla delinquenza andando a rubare nei supermercati o nei negozi.
I giorni passavano io e Massimo eravamo diventati sempre più bravi con il fucile.
La jeep era come nuova, luccicante e perfetta, il nonno di massimo si avvicinò a lui lanciandogli le chiavi e gli disse:«Dai vediamo un po come va questa bellezza!
Ti ricordi come si guida no?» massimo, con entusiasmo, corse al posto del guidatore e mise in moto l'auto, vedendo che non faceva nessun rumore strano e si accendeva senza fatica, mi fece cenno di ok con la mano:«Forza portaci a fare un giretto» disse suo nonno. Salimmo su di essa:«Portami in ferramenta devo comprare dei semi per l'orto» disse il nonno di Massimo, così partimmo.
Arrivati scese per andare a prenderli e noi rimanemmo in macchina ascoltando Pumped up Kicks che in quel momento passava in radio.
La musica fu squarciata da un rumore secco, un rumore che in quella estate avevo sentito tantissime volte, un colpo di fucile, ci girammo per vedere cosa era successo ma la scena ferì nel profondo entrambi. Massimo vide suo nonno accasciato a terra davanti l'entrata della ferramenta, scese dall'auto correndo verso di lui, nella ferramenta oltre al proprietario si trovavano altri tre uomini incappucciati:«Perché l'hai fatto?Perché l'hai colpito ?» diceva uno a quello che impugnava il fucile, ma non rispondeva era rimasto paralizzato a guardare il corpo:«Andiamo via» disse il terzo, strattonandolo.
L'uomo si sveglio da quella paralisi momentanea di colpo:«Si».
Detto questo si misero a correre verso la loro macchina. Io, avendo capito la situazione, scesi dalla jeep e ,aperto il cofano, presi un fucile, lo caricai e sparai tre colpi verso i ladri in fuga, colpii di striscio la spalla di quello con il fucile ma riuscì comunque a scappare.
Mi precipitai da Massimo:«Non c'è nulla da fare non ha polso» mi disse mentre piangeva, il nonno era come un padre per lui e io lo sapevo bene, la sua morte avrebbe segnato profondamente Massimo e di questo ne ero certo. Lo abbracciai e mi abbandonai anche io al pianto. I giorni passavano velocemente, la situazione era sempre la stessa, io e Massimo continuammo a sistemare l'orto e a esercitarci con il fucile come se il nonno non fosse mai morto.
Alla fine dell'estate la scuola non riniziò come tutti gli anni, dissero che a causa della guerra c'erano dei problemi di sicurezza, ormai passavo le giornate solo ad ascoltare musica, ogni tanto parlavo con i ragazzi sul gruppo dei capi del San Giorgio, gli raccontai di cosa mi era capitato e mi raccontarono la loro esperienza, in molti mi dissero  che la situazioni nei loro paesi era uguale o addirittura peggio con morti e sparatorie frequenti, con una guerra nella guerra, la prima era fra le varie potenze mondiali e la seconda era fra i poveri causata dalla fame.
Alla fine mi venne un idea e scrissi un messagio sul gruppo:«Non so voi ma io non voglio più vedere persone morirmi davanti agli occhi e soprattutto non voglio trasferirmi in un'altro paese. Credo che in questo momento l'unico modo per non finire uccisi sia lottare insieme...stavo pensando e se organizzammo un campo?
Lontano dalle città, dalla violenza e dalla disperazione, durerà tutta la guerra, voi che ne pensate?»
I ragazzi erano entusiasti di questa cosa quindi fissammo dei punti per la riuscita dell'impresa: tutti avrebbero potuto portare dei ragazzi con noi, la cosa importante era che non fossero adulti.
Tutte le sq. dovevano portare una tenda e delle pentole.
Chi lo aveva poteva portare un fucile, che sarebbe stato utile per la difesa di tutti, in caso che la violenza ci avrebbe raggiunto.
A questo punto ci serviva un luogo per il campo, proposi la Semprevisa visto che aveva una fonte in cui avremmo potuto attingere l'acqua ed un prato poco distante in cui stanziarci.
Fissammo una data di pertenza, il 22 febbraio.
Ogni giorno parlavamo di questa grande idea e fantasticavamo sulla vita che avremmo fatto li sopra e non vedevamo l'ora che il fatidico giorno arrivasse.
Ma il sogno si sgretoló quando a dicembre scoppiarono una serie di rivolte, iniziate in america e successivamente arrivate fino in Europa comprendendo l'Italia.
Il popolo ormai stufo di un'amministrazione individualista e preoccupata per l'esito della guerra e meno per la miseria che essa avrebbe portato al popolo.
Molti politici morirono a causa dei rivoluzionari, altri emigrarono come stava facendo la maggioranza della popolazione.
L'Italia dopo la rivoluzione era piombata in un totale stato di caos, le reti internet erano state bloccate e molte volte non c'era nemmeno la corrente.
Anche la mia famiglia partì alla volta della Tunisia dove sarebbe stata ospite da un amico a Sfax.
Volevano portarmi con loro ma non ne volli sapere, io volevo rinascere nel mio posto, gli dissi che sarei stato sicuro li sopra e che sarebbero stati fieri di loro figlio. Perciò, con la promessa di rivederci presto, mia madre mi lascio scoppiando in lacrime e tra i singhiozzi riconobbi solo una frase:«Non morire».
Quasi tutti i ragazzi del mio reparto fecero lo stesso, infatti anche se non avevamo piu contatti con gli altri gruppi da mesi, noi il 22 febbraio avremmo scalato quella montagna con o senza di loro.
Il campo dai nostri occhi era visto come un opportunità di rinascita, dove formare una nuova società, una società fatta da scout o per lo meno da ragazzi che non sono desiderosi di gloria e denaro rispetto agli adulti, gli stessi adulti che avevano portato l'inizio della guerra.
Il fatidico giorno scesi sotto casa con lo zaino che, anche se pieno, mi dava la sensazione che nulla mi sarebbero mai bastato.
Massimo veniva con noi al campo, mi venne a prendere con la jeep di suo nonno sotto casa, misi lo zaino nel cofano assieme a quello del mio amico e ai fucili.
Ci dirigemmo in sede dove caricammo le tende e gli zaini di tutte le sq del reparto.
A causa del carico nella macchina non c'era più posto e cosi io e la mia squadriglia​ ci mettemmo sulla cappotta della jeep oppure attaccati alle pedane.
Mentre ci diriggevamo nel fatidico posto, pensavo se qualcuno degli altri gruppi si fosse ricordato di quel sogno, di quel campo, di quella idea di rinascita e speravo che non ci avessero abbandonato.
Ma oramai la nostra impresa era iniziata e non si poteva più tornare indietro.

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