Cap.10

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Il mio piede premeva l'acceleratore sempre più forte, dovevo sbrigarmi, dovevo tornare al sicuro, dovevo ricrearmi il muro di mattoni che Adam mi aveva demolito.

La strada era deserta alla mia sinistra avevo la corsia di sorpasso, a destra solo un'immensità di alberi ricoperti di bianco, arrivai a quasi 160km/h quando la macchina iniziò a sbandare, la patina ghiacciata che si era formata quella notte sulla strada fece slittare le ruote, non riuscivo a tenere il volante, stavo andando troppo veloce, il cuore mi arrivò in gola, le mani mi sudavano, ero terrorizzata, per la prima volta provai paura, una paura che non puoi ingoiare e sotterrare nelle viscere, no, una paura concreta, la paura di morire.
Mi passò davanti la vita, rividi mio padre in giardino che sorrideva alla mamma, la piccola mano di Megan che affermava la mia dolcemente, mio padre sdraiato a letto che mi sorrideva amaramente, mia madre in parte.
Cercai in tutti i modi di sterzare aggrappandomi letteralmente al volante, premetti col piede sul freno talmente forte da farmi male, niente, non riuscivo a controllarla.
La macchina si diresse a grande velocità verso il bosco, piangevo e urlavo, non riuscivo a fermarmi, non riuscivo a cambiare direzione, non vedevo niente, ero immersa nel buio, dopo pochi secondi sentì lo schianto.
Venni come tirata verso il parabrezza, le mie mani si staccarono dal volante, i piedi vennero trascinati verso destra, la schiena in avanti, un dolore lancinante alla testa mi fece perdere conoscenza.
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Aprii gli occhi, era ancora tutto buio, non riuscivo a capire né dove mi trovassi né cosa mi fosse successo, ero ancora sotto shock, cercai di muovermi ma qualcosa mi teneva ancorata al sedile, con un lento movimento cercai di schiacciare la sicura della cintura, il braccio faceva tremendamente male, riuscì dopo svariati tentativi a slacciarmi da
quell'abbraccio mortale, guardai dritta davanti a me, non potevo crederci, ero ancora viva, mi presi la faccia fra le mani e mi misi a piangere, ero felice, per una volta ero davvero felice.

La testa faceva male, la gamba destra non la sentivo, la schiena era un dolore unico, per non parlare del braccio.
Con un lento movimento aprì la portiera,  cigolò rumorosamente, mi appoggiai a questa con il braccio sano per far leva e darmi la forza per uscire da quel rottame.
Appoggiai lentamente sul prato bagnato il primo piede, proseguendo con il secondo, sentì una fitta alla gamba destra, il dolore era insopportabile, non resse facendomi così cadere a terra.
La neve gelida ricopriva la parte superiore del mio corpo, non riuscivo a capire se provavo piacere o dolore, il freddo anestetizzava leggermente il male delle contusioni superficiali ma allo stesso tempo aumentava quello delle ferite aperte, ero completamente in balia del nulla, cercai di alzarmi ma senza risultati, ero incapace di compiere qualsiasi movimento qualsiasi mossa, ero totalmente bloccata a terra.
Iniziavo a sentire gli occhi pesare, ero stanca, il buio mi cullava come una madre affettuosa, non avevo più voglia di combattere quel giorno...

Prima che i miei occhi e i miei sensi cedessero nuovamente sentii una voce...
-Magari il diavolo finalmente é venuto a prenderti e a portarti in un luogo più adatto a te.-
Sputò la mia coscienza, wow nemmeno io riuscivo a sopportarmi.
-Magari un giorno, ma non é oggi.- sussurrai
sentì una mano prendermi un braccio prima di crollare come la bella addormentata.

It is not a love songDove le storie prendono vita. Scoprilo ora