Capitolo 9. Paura d'amare- 1 parte

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GRACE

Mancavano esattamente cinque giorni a Natale, ormai era trascorso oltre un mese dalla sera in cui mi avevano trasportata in ospedale d'urgenza.

Un mese da quando avevo conosciuto il dott. Michael Reed, e me ne ero perdutamente innamorata.

Due giorni prima avevo assistito a una sorta di dichiarazione d'amore, lì nel corridoio dell'ospedale, davanti a tanti occhi curiosi puntati su di noi. Non credevo a ciò che avevo appena sentito, pensavo si trattasse di un sogno, volevo correre via da lì, tapparmi le orecchie e dimenticarmi di tutto. Alla fine, avevo trovato la forza di voltarmi e andarmene, per fortuna venni raggiunta da Madison che mi aiutò a tornare in stanza, dandomi il sostegno necessario perché non cadessi per terra. E mancava veramente poco affinché perdessi i sensi e mi lasciassi andare sul serio, ormai stanca anche solo per pensare a quello che era successo.

Hope si era praticamente trasferita da me, e a dire il vero, la sua compagnia era quello di cui avevo più bisogno al momento. «Devi andare dal dottore, Grace!»

L'unico problema era che parlava tutto il tempo di un certo dottore.

«Mai», la zittii. «Devi rassegnarti, piccola.»

«Ma ... perché? Lui ti vuole bene», insistette, mettendo il muso.

Rivolsi lo sguardo verso la finestra, pensando che quella bambina stesse mettendo a dura prova la mia pazienza, anche se aveva ragione. «Non doveva ... dirlo in quel modo, davanti a tutti. E poi, non gli credo.»

«Sei una fifona!», mi accusò. «Hai paura di andare da lui.»
Non avevo pianto, dopo quell'inaspettata dichiarazione, ma le lacrime erano rimaste immobili ad appannarmi la vista. Sentivo il petto scoppiarmi, un magone tremendo allo stomaco che via via s'allargava sempre di più. Quell'uomo mi aveva sconvolto la vita; diceva di essere innamorato di me, ma chi mi assicurava che non fosse l'ennesima presa in giro da parte sua? Come potevo fidarmi ancora di lui?

I suoi occhi, quei suoi occhi belli e sinceri.

Hope aveva ragione; ero terrorizzata, ma di soffrire ancora. Oltretutto, odiavo quell'uomo per avermi messa in imbarazzo davanti a tante persone, scegliendo un momento oltremodo sbagliato per confessarmi i suoi sentimenti, sempre che fossero autentici. Pensavo che una persona innamorata dovesse dichiarare il proprio amore in privato, non davanti a una schiera di persone in attesa che la bomba venisse sganciata. Ero talmente imbarazzata che l'unica idea venutami in mente era stata quella di darmela a gambe levate. Cos'altro si aspettava? Che gli avrei risposto che anch'io ricambiavo i suoi sentimenti? Ah, poteva scordarselo. In cuor mio, sapevo perfettamente di essere innamorata di lui, e forse di amarlo, ma da qui a dichiararlo apertamente ... avrebbero dovuto come minimo somministrarmi qualcosa di molto forte.

«Il dottore è molto bello, vero?» Hope non si arrendeva, quella bambina era testarda almeno il doppio della sottoscritta.

Cercai di darmi un contegno, ma le mie gote diventarono color del fuoco. «Un uomo come tanti altri.»

Dovevo smetterla di piangermi addosso, di ripensare alle sue parole, a quel momento magico, e guardare avanti, soprattutto dovevo cercare di essere forte. Ero pur sempre una ragazzina di diciotto anni, ma non potevo permettere a nessuno di trattarmi in quel modo. Il dott. Reed non faceva per me, dovevo ficcarmelo in testa una volta per tutte, anzi, avrei dovuto concentrarmi su Robert piuttosto. Lui sì che era un ragazzo carino e gentile, mio coetaneo, e adatto a me. Dovevo uscire da quell'ospedale e partecipare al ballo di fine anno, soltanto in quel modo sarei tornata alla mia vita.

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