3 anni dopo
«Celeste, stai buona. Ormai siamo quasi arrivati a casa del nonno», ripetei sbuffando. Era la quarta volta che pronunciavo quella frase e lei continuava a non ascoltarmi, come sempre d'altronde.
Mollai per un istante la mano dal volante e la allungai nella sua direzione, posandogliela sul busto così da spingerla a restare attaccata al sedile e non sporgersi in avanti.
I viaggi in macchina erano sempre difficili da affrontare perché Celeste non era mai in grado di pazientare. Potevo far partire il CD con le sue canzoni preferite, raccontarle una storia o darle una bambola da accarezzare per passare il tempo. Avrei potuto fare di tutto, ma lei non si sarebbe placata.
«Quanto manca?» cantilenò. Per un attimo mi ricordò Ciuchino in Shrek che poneva la medesima richiesta a ogni metro di strada e ormai risponderle "poco" pareva assurdo, perché lei avrebbe domandato di nuovo la stessa cosa nel tratto di carreggiata successivo.
Pigiai i pulsanti della radio, cercando di trovare un canale che potesse trasmettere qualcosa per lei coinvolgente. Come sospettavo, però, nulla riuscì a farla desistere dal continuare a chiedere e dimenarsi.
«La prossima volta dirò al nonno di venire a casa nostra per festeggiare il suo compleanno», iniziai, per poi correggermi subito dopo con: «Anzi! Ti lascerò con la nonna e andrò io da lui, visto come ti comporti».
«No», ribatté allungando l'ultima lettera. Mi venne naturale ridere, dinanzi a quella reazione, e mi passai una mano sul volto per non darglielo a vedere.
Nonostante fosse un vulcano inarrestabile, un tornado in piena azione, era sempre la mia fonte di amore giornaliera. Qualunque cosa lei facesse e dicesse mi spingeva ad adorarla e mantenere il broncio era sempre un'impresa difficile.
«Va bene, va bene. Hai vinto tu», risposi ridendo. Fu nell'attimo esatto in cui smisi di tendere le mie labbra in quell'espressione gioiosa, che vidi il semaforo rosso lampeggiare e la sbarra abbassarsi piano: treno in arrivo.
«Ma no! E andiamo. Mai che ce ne capiti una giusta», esclamai sbattendo con forza la mano sul volante. Se c'era una cosa che detestavo più di tutte, mentre guidavo per quella strada, era sicuramente incontrare la sbarra del passaggio a livello abbassata. Il tutto diveniva ancor più tragico se ad assistere alla sua discesa era io, perché ciò stava a significare che sarei rimasta per molto tempo in attesa.
Afferrai la chiave e la girai per spegnere il motore, che tanto tenerlo acceso mi portava solo a sprecare benzina e inquinare ancora di più. «Staremo ferme qui per un po', Pulcino», le dissi voltandomi nella sua direzione.
Desiderai di non averlo fatto nell'esatto istante in cui vidi come era diventata l'acconciatura che le avevo creato. I suoi capelli biondi, precedentemente raccolti in trecce simmetriche, ormai erano diventati un groviglio nel quale ogni ciocca fuoriusciva dalla presa. Mi misi le mani tra i capelli al pensiero che avevo perso un'ora della mia mattinata per sistemarla con cura ed erano bastati solo venti minuti di viaggio per rovinare tutto ciò che avevo ideato.
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Sonata per chi viene al mondo
General FictionPer Melissa, diciannove anni e nessuna prospettiva futura, l'amore ha il volto della figlia Celeste. La bambina è la sua unica fonte di gioia, colei che rende ogni giorno degno di essere vissuto. Quando la casa materna comincia a starle stretta, il...