Arrivammo a casa mettendoci più tempo del solito, ma nessuno ci correva dietro e io volevo essere prudente alla guida; quando i pensieri mi affollavano la testa avevo sempre il timore di mettermi al volante e perdere la concentrazione necessaria.
Appena parcheggiai la macchina, sollevai Celeste in braccio e la tenni stretta a me. Dormiva e non volevo che si svegliasse, perché avevo paura che farla riaddormentare, poi, sarebbe stato difficile.
La ressi a me, mentre percorrevo il marciapiede ed entravo nel cortile di casa. La strinsi forte quando salii le scale, tenendomi vicino alla balaustra con il terrore che se mi fossi sbilanciata anche solo un po' saremmo cadute entrambe.
Fortunatamente ci misi poco a trovare le chiavi. Ludovica mi aveva regalato un portachiavi a forma di smile così grande che non trovarlo sarebbe stato impossibile all'interno della borsa.
Quando lo ricevetti, pensai che non avrebbe potuto farmi regalo più azzeccato, visto e considerato che non trovare le chiavi rientrava nella mia routine. La infilai nella toppa e, come sempre, feci fatica a girarla.
Probabilmente la poca forza nelle braccia che avevo o il fatto che la serratura fosse vecchia, faceva sì che entrare in casa risultasse un'impresa ogni volta più ardua. Mi sollevai sulle punte con la convinzione che il gravare del mio peso avrebbe risolto la situazione, ma l'unico risultato che ottenni fu un mugolio di Celeste.
Imitai con la bocca il suono di un fruscio e le accarezzai i capelli, con la speranza che ciò la riportasse nel mondo dei sogni. Ci riuscii e, dopo aver fatto pressione nuovamente, per miracolo la porta di casa si aprì.
Non appena varcammo la soglia, il puzzo di chiuso invase le mie narici. Storsi naso e bocca in un'espressione talmente involontaria, che mi sarei pure messa una mano sul viso per non sentire quell'odore.
Voltandomi verso il salotto, notai mia madre. Era spalmata sul divano, con una gamba a penzoloni e la testa voltata verso la televisione ancora accesa. I capelli erano raccolti in una crocchia trasandata e la coperta riusciva a garantire riparo solo a una misera porzione della sua pancia.
Scostando lo sguardo da lei, mi accorsi di come sul pavimento ci fosse un piatto con metà petto di pollo e qualche foglia di insalata a contornarlo. Capii che aveva mangiato sul divano e si era addormentata lì mentre guardava la televisione.
Era tutto così in disordine che mi venne naturale scuotere la testa. Lei non era mai stata così, era sempre perfetta, proprio come quando faceva la ballerina: ogni ciocca di capelli in ordine e una posizione eretta e mai scomposta. Oramai quegli episodi andavano avanti da moltissimo tempo e non la riconoscevo più.
Tornare a casa sentendo quell'odore e trovandola in quello stato, mi portava a chiedermi per quale motivo si stesse così lasciando andare; viveva alla giornata e non metteva più cura in niente.
Avanzai lungo il corridoio, verso la camera mia e di Celeste. La posai sul materasso e cominciai a spogliarla dai suoi vestitini, così da poterle mettere il pigiama. Era così stanca che mi lasciò fare tutto, senza lamentarsi o rifiutarsi, permettendomi in quel modo di finire nel più breve tempo possibile.
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Sonata per chi viene al mondo
General FictionPer Melissa, diciannove anni e nessuna prospettiva futura, l'amore ha il volto della figlia Celeste. La bambina è la sua unica fonte di gioia, colei che rende ogni giorno degno di essere vissuto. Quando la casa materna comincia a starle stretta, il...